mercoledì 29 dicembre 2010

Arte contemporanea II: "Concetto spaziale: trasparenze"

Non so se Lucio Fontana abbia mai intitolato così una delle sue opere, ma suo è il ghirigoro di luce che si intravede riflesso nel margine superiore di questa foto, scattata ieri pomeriggio dall'ultimo piano dell'Arengario, in una sala a grandi vetrate da cui si gode una vista incantevole, che da sola varrebbe il prezzo del biglietto, se l'avessimo pagato... Eh sì, perché fino alla fine di febbraio nella nuova sede del museo del '900 a Milano si entra gratis. Basta mettersi il cuore in pace e rassegnarsi a una buona ora di fila al freddo e al gelo e si possono ammirare Picasso, Klee, Balla, Boccioni, Marini, Morandi, Rosai, Burri, il suddetto Fontana (che non faceva solo tagli nelle tele...), Parmiggiani (toh, chi si rivede!) e altri più o meno contemporanei e più o meno strani, ma, a volte, decisamente affascinanti. Poi volete mettere la soddisfazione di visitare un museo appena aperto, con le pareti linde che ancora sanno di vernice, le poltroncine immacolate, le vetrate luccicanti, il bookshop che profuma di legno e libri appena stampati e persino i dispenser di disinfettante per le mani ad ogni piano? Milano, ancora una volta, ci si è dimostrata clemente: dopo un viaggio in treno attraverso una pianura bianca di brina e grigia di nebbia, siamo riemerse in piazza con il sole. Oltre al museo, io, Dani e Co ci siamo concesse anche una visita al presepe meccanico degli anni '40 allestito accanto al Duomo, un caffè con panna in galleria (6 euro!), un saluto a Elisa, la parigina-milanese (o viceversa), e una divagazione nel negozio della Disney (senza acquistare nulla, purtroppo). Insomma, una gitina natalizia niente male grazie alla quale ho potuto constatare cose note, come il fatto che per farmi felice basta portarmi in un museo; ed altre meno note, ovvero che, ormai è ufficiale, sto diventando anticlassica. Che dite, è grave? Saluti vagabondi e, giacché ci siamo, buon 2011!

lunedì 27 dicembre 2010

Arte contemporanea I: "Made in Dani" winter collection

Le donne, si sa, anche quelle più insospettabili come le ciose, si fanno attrarre facilmente dalle cose che luccicano (vedi il post del 6 aprile 2010); ma poiché sono ciose, e non gazze ladre, l'attrazione non si traduce in un desiderio di possesso di gingilli costosi, ma diviene spunto creativo (vedi punto 9 del decalogo). Ecco perché la nostra Dani, al cospetto di una scatola di vecchi bottoni, anziché avviarli al riciclo della plastica (beninteso, dopo aver accuratamente selezionato quelli in legno, metallo e madreperla), se ne è lasciata affascinare e ha pensato di trasformarli in estrosi anelli. La cosa, cominciata per gioco, è diventata una vera e propria passione. La foto accanto, purtroppo, è mia, e non rende giustizia alla sua opera, ma vi garantisco che sono tutti quanti molto graziosi. Folk, vintage, etnici, easy o chic: ce n'è per tutti gli stili e tutte le occasioni. L'artista ha già provveduto gentilmente a rifornircene, con nostro grande piacere, e accetta incarichi su commissione anche per mercatini benefici e similari...almeno fino ad esaurimento della materia prima (o della pazienza). Gli anelli, inoltre, sono realizzati con un pratico elastico, che si adatta ad ogni zampa. Un'unica accortezza: non fate come me - ciosa distratta - toglieteveli prima di lavare i piatti!

mercoledì 22 dicembre 2010

Natale 2010


Dal cielo/
è la pietà
che il mondo
fa consistere.
(A. Zanzotto)


Auguri di cuore a tutte le amiche e gli amici piumati ed implumi!

venerdì 17 dicembre 2010

Rabbrividiamo...

QUANTA BRINA
Quanta brina, quanta brina
c'è sui campi stamattina!
Sembra zucchero in palline
E non son che goccioline
d'acqua scese giù dal cielo,
che s'incontrano col gelo.
(N. Oddi Azzanesi)

Questa filastrocca la ricordo a memoria dai tempi dell'asilo e la pubblico nel caso qualcuna delle ciose-maestre voglia rivendersela per far bella figura con i suoi allievi. La foto che l'accompagna l'ho scattata con sprezzo del pericolo (d'assideramento!) a un cespuglio nel cortile del mio condominio alle ore 8.45 quando il termometro segnava -7. Saluti intirizziti.

mercoledì 8 dicembre 2010

La manutenzione delle parole

Il titolo è una variazione sul tema del libro di Gianrico Carofiglio che ho appena finito di leggere - La manomissione delle parole - ma è anche ciò che io e Dani abbiamo fatto nei giorni scorsi su tre giornalini che stanno andando in stampa, trovando magnifiche imprecisioni e deliziose castronerie. Lo ammetto: alcune le ho scritte io; ma altre, tra cui una in cui si sosteneva che gli ortodossi, non so se masochisti o attenti alla linea, facciano 40 giorni di penitenza DOPO, anziché prima, di Natale, mi hanno fatto parecchio arrabbiare: mi hanno dato la misura di quanto sia facile ridurre la scrittura - soprattutto quando si tratta di piccole cose - a un taglia e incolla meccanico e impersonale che si può tranquillamente fare con la testa e il cuore da un'altra parte e, quel che è peggio, senza che nessuno se ne accorga. Perciò stavo per scrivere un post feroce sul degrado della cultura e amenità simili, nel quale mi sarei miseramente impantanata, quando, per fortuna, nel libro di cui sopra ho trovato questa citazione:
"Immaginare un linguaggio significa, sempre, immaginare una forma di vita. Scrivere è, sempre, un'esplorazione allo stesso tempo di sé e del mondo, un viaggio di scoperta, una ricerca di senso, il gesto politico e rivoluzionario di chiamare le cose con il loro nome. Scrivere è essere qui".
Niente male, vero? Io ancora ci credo. Lo regalerò al mio capo...
PS. La foto è l'epigrafe dantesca sul muro del monastero di Fonte Avellana: a proposito di gente che scriveva sul serio!

mercoledì 1 dicembre 2010

Prima neve 2010


Come sapete, ho le mie debolezze...
Nonostante abbia impiegato quarantacinque minuti per percorrere due chilometri e mezzo in autobus, nonostante pare che nessuno venda gomme termiche per la mia auto, nonostante stamattina somigliassi pericolosamente all'omino della Michelin causa piumino-sciarpa-guanti-doposci d'ordinanza contro il freddo, nonostante un paio di carissime amiche mi detesteranno cordialmente per questo post, a me piace la neve!

lunedì 29 novembre 2010

Colui che è sopravvissuto

Da sabato scorso questo titolo spetta di diritto, oltre ad Harry Potter, anche al marito di Chiara, che, pur detestando di cuore le avventure del maghetto, si è sorbito, con dose minima di proteste, le quasi tre ore del penultimo film insieme alla gentile consorte e, quel che è peggio, insieme alle amiche della medesima, guadagnandosene perciò l'imperitura stima.
Non mi sento di dare un giudizio sulla pellicola, per due motivi. Primo: a parte la mia ignoranza in materia cinematografica, è difficile essere obiettivi quando ormai, volente o nolente, ti sei affezionato a una storia e ai suoi personaggi: avrei difficoltà, ad esempio, anche a giudicare un episodio di Montalbano...
Secondo: qualunque cosa dicessi rischierei di esser presa a quadernate da Costi, la quale ha già annunciato che all'ultimo episodio (uscirà a luglio, se volete cominciare il conto alla rovescia...) sicuramente piangerà, perché segnerà, in qualche modo, la fine della giovinezza. Eh già, sono ormai 10 anni che questa saga accompagna la vita delle Ciose - alcune più appassionate, altre meno - ed è diventata nel tempo argomento di chiacchierate leggere (ogni tanto ci vogliono) e occasione per stare insieme. Un piccolo rito, insomma, sciocco finché si vuole, ma piacevole, come tutte le cose che servono a cementare un'amicizia.
Anche la nostra amicizia, senza dubbio, ha cambiato forma, tempi e contenuti in questi anni in cui ci siamo trasformate da studentesse (più o meno) spensierate in donne che lavorano, hanno mariti, fidanzati, figli e molti pensieri, ma in qualche modo cerca di resistere, come, del resto, quella tra Harry, Ron ed Hermione. O almeno così spero, a un anno quasi esatto dall'apertura di questo blog.
Per questo la presenza, l'altra sera, dell'eroico cavaliere ha avuto, almeno per me, un grande valore, perché ha testimoniato una visione inclusiva e non esclusiva dell'amore, nella quale si cerca non di estraniarsi ma, sia pure con fatica, di accogliere una persona con tutta la sua storia passata, comprese le amiche ingombranti con pessimi gusti cinematografici...

martedì 23 novembre 2010

L'isola di Michela

Credo di aver deciso di leggere Accabadora dopo aver visto la scena memorabile in cui l'autrice, Michela Murgia, ne dice quattro a Vespa, che aveva invitato il pubblico ad ammirare non la bravura, ma la scollattura di Silvia Avallone, un'altra che leggerò.
Poi ho soprasseduto perché il mio comodino sta per cedere seppellito dai libri non letti; ma, sempre per gli strani casi di cui al post dell'11 ottobre, il libro è stato scelto per l'incontro di dicembre del circolo di lettura (di cui allo stesso post) e quindi è stato acquistato, letto in tre notti e riletto. E la naturale simpatia per questa sarda caparbia e arguta è andata crescendo. Quando poi ho messo il naso nel suo sito, dove raccoglie articoli e interventi su argomenti che vanno dalla politica alla religione, dalla sua isola alla condizione femminile, si è guadagnata, per quel che vale, la mia stima. Scrive bene, in una lingua asciutta e limpida con alle spalle la profondità del dialetto che, come dice "l'innominabile" (ma chissà di chi è la citazione), crea un legame più stretto tra le cose e le parole; e si è scelta una storia difficile, di solitudini che si incontrano, di malattia e morte, ma anche di crescita e scoperta di sè. Si parla, pensate un po', di scelte difficili, di giustizia e di verità; e non è poco, in un tempo che sparge banalità a piene mani. Ci sono personaggi ben costruiti e un finale geniale, che ha evitato di trasformare un bel romanzo in un'icona dell'eutanasia; e ci sono frasi illuminanti che, da sole, bastano a rendere memorabile il libro. Eccovene una breve, personalissima, antologia:
"Riemergere da se stessi è tanto più difficile quanto più si è profondi";
"Le colpe, come le persone, iniziano ad esistere se qualcuno se ne accorge";
"Bello come le sono a volte le cose cattive";
"Non tutte le cose si ascoltano per capirle subito";
"Nei primi anni di scuola, quando gli oggetti e il loro nome erano misteri non ancora separati dai misteri dell'analisi logica".
E poi una che a me ha divertito molto: "Il giorno del matrimonio di Bonacatta (Ndr: sorella maggiore della protagonista) successero due cose terribili, oltre alle nozze". Brava Michela, allora, e grazie.

mercoledì 10 novembre 2010

Donne al bivio

"Sei diventata filosofa"
"Cosa vuoi, alla mia età una donna non ancora sposata o diventa filosofa... o finisce in galera!"

(Da "Il visone sulla pelle" film del 1962 con Cary Grant e Doris Day)

La citazione è fatta a memoria, perché l'ho "orecchiata" ieri dopo pranzo mentre sparecchiavo, quindi non garantisco l'esattezza assoluta delle parole, ma il senso è quello.

Vi dirò, sono un po' indecisa su quale strada scegliere...

venerdì 5 novembre 2010

Scelte di tempo

Galline, secondo voi quando la sveglia del mio cellulare - la famigerata, l'implacabile, quella che anche in vacanza non ha mai perso un colpo e più di una volta ci ha destate attaccando "My fairy king", vecchia canzone dei Queen molto rock e molto molesta, ad ore molto mattutine - ha deciso di abbandonarmi? Ovvio! La prima volta in vita mia che dormo fuori per lavoro...
Ho limitato i danni battendo ogni record di ricostruzione personale e di valigia: 12 minuti netti.
Ancora Genova, già citata in questo blog, ancora con un pass al collo che mi sono tolta soltanto sul treno del ritorno, mentre tenevo a bada - si fa per dire - l'attore (lo stesso del post del 31 maggio) che, respirata l'aria di mare, giustamente non voleva tornare a casa e minacciava di scendere ad ogni invitante fermata litoranea prima degli Appennini (di un rosa dolomitico nella luce autunnale). Sono persino riuscita a riportare a casa il cartellone 70X100 che ci ha ingombrato durante il viaggio. Però, quanto tempo è passato dall'ultima volta: io, Chiara e Valentina, universitarie in libera uscita tra un incontro e l'altro del convegno di Fuci in giro per piazze, fontane e carrugi, forse un po' più leggere di ora e, senza dubbio, più giovani.
Ah, il titolo del post è un pezzo di Ruggeri che, tra le altre cose dice: "quanto futuro vorrei nei momenti difficili".
Saluti frettolosi.

lunedì 1 novembre 2010

Delocazione. Chi era costei?

E va bene che halloween è appena passata, ma se, leggendo il titolo, avete pensato subito a sedute spiritiche o santi che appaiono in più luoghi contemporaneamente siete fuori strada. Questa bella parola l'abbiamo imparata ieri sera io e Co alla mostra di Claudio Parmiggiani.
In genere nutro forti riserve nei confronti dell'arte contemporanea, vuoi perché la conosco poco e, si sa, ciò che non si conosce suscita sempre più paura che curiosità, vuoi perché a certi eccessi e a una diffusa rinuncia da parte degli artisti anche solo a tentare di creare bellezza io non mi ci so abituare, o perché non mi pare giusto che spesso si riduca l'arte (o il teatro) a una faccenda per pochi eletti che conoscono i (contorti) percorsi creativi dell'autore e inaccessibile a un pubblico medio. Questa volta, però, sono stata attratta dal titolo della mostra "Naufragio con spettatore", che mi ha evocato remoti ricordi scolastici: infatti è un saggio di Blumenberg dedicato a un'immagine di Lucrezio che la prof di latino e greco ci avrà citato cento volte. Anche le foto che sono girate in questi giorni sui media locali hanno contribuito ad aumentare la curiosità: dalla splendida barca a vela arenata in (o sostenuta da) un mare di libri al cappello pieno di farfalle. Così, in una domenica uggiosa che più non si può, armate di sana ignoranza, ci siamo infilate per i corridoi lindi del Palazzo del Governatore confidando nell'illuminante aiuto di qualche pannello esplicativo. Errore! Nessun pannello: solo una scarna brochure; e niente luce nelle stanze se non quella proveniente dall'esterno nella sera buia da ritorno all'ora solare, tutto per esplicita volontà dell'artista. Le installazioni sono posizionate nelle stanze vuote e guardate a vista dagli addetti al museo. Eppure è stato bello. Perché le opere - strane, buffe, a volte inquietanti - ci hanno detto qualcosa: il calco di un cuore posato sopra un libro aperto; il busto in gesso di una Venere classica con una sola farfalla variopinta posata proprio "lì" e, alla fine del percorso, la famigerata "Delocazione": l'immagine, o meglio, l'evocazione dell'immagine di una libreria ridotta ai soli contorni fatti, letteralmente, di fumo. Pare, infatti, che il nostro realizzi (fin dagli anni '70) queste strane opere posizionando oggetti contro le pareti e poi lasciando bruciare per una notte nella stanza copertoni e altre schifezze fumiganti; poi, toglie gli oggetti e la traccia che ne rimane è il "quadro". L'effetto è simile a quello, involontario, che si crea quando si sposta un mobile rimasto troppo a lungo nello stesso posto: un contorno fatto di polvere e tempo, il ricordo di qualcosa che, ci piaccia o no, è esistito e reclama la nostra attenzione. Noi, di solito, lo cancelliamo infastiditi con una mano di bianco, lui ne ha fatto una metafora, una presenza-assenza un poco malinconica, ma decisamente affascinante. Non sono un critico d'arte e ho confessato a inizio post la mia incompetenza, ma ringrazio l'autore (fino a ieri) a me ignoto che mi ha regalato - come dice Aristofane (oggi vado di classici!) - "profumo di intelligenza", che, nonostante tutto, vale più di una magnum di Chanel N°5!
Saluti culturali (tranquille, poi mi passa...)

mercoledì 27 ottobre 2010

Zucca vuota?!.. Niente paura!!


Care ciose, per riprendermi un po' dalla punta di amarezza del mio ultmo post, e per tener fede al punto 4 del nostro decalogo, torno a farmi viva con una ricetta dolce a prova di..zucca!! Infatti è proprio questo ortaggio il protagonista degli ultimi giorni del mese, in cui anche da noi ormai imperversano zucche vuote riempite con lumini e dotate di occhi e denti intagliati... Del resto ho letto che proprio nel nostro territorio si rivendica la paternità di questa tradizione celtica che, prima di giungere oltroceano, sarebbe passata dalle nostre parti... Comunque, ecco la ricetta della torta di zucca:
Ingredienti:
400 g di zucca cotta a vapore e passata al setaccio
400 g di farina
300 g di zucchero
200 g di burro morbido
3 uova intere
un cucchiaio di fecola
una bustina di lievito per dolci
un cucchiaino di cacao amaro
un bustina di vanillina
un bicchierino di maraschino (io preferisco usare un liquore all'amaretto)
Mescolate il burro con lo zucchero, aggiungete le uova, uno alla volta, unite la farina, la fecola, il lievito, la vanillina, la zucca setacciata, il cacao e il liquore.
Versate l'impasto in una tortiera imburrata e infarinata e cuocete nel forno a 180°C per 40 minuti.
Decorate poi a piacere con zucchero a velo, glassa oppure divertitevi a intagliare occhi e denti sulla vostra zucca dolce!
Niente paura e...buon appetito!!

PS: Cri, appena riesco a reperire un'immagine della torta te la mando per inserirla nel post! Grazie!

venerdì 22 ottobre 2010

Beata innocenza...

"Un bambino può insegnare sempre tre cose ad un adulto:
a essere contento senza motivo,
a essere sempre occupato con qualche cosa
e a pretendere con ogni sua forza
quello che desidera".
(Paulo Coelho)

Questa citazione è stampata a caratteri cubitali sulla porta d'ingresso di una delle scuole in cui insegno. Mi è piaciuta e ve la propongo al termine di un'altra settimana scolastica. E' passato poco più di un mese dall'inizio della scuola, ma in queste poche settimane ne ho viste di tutti i colori e parlo di adulti... Forse potrà sembrare che chi, come me, insegna a bimbi così piccoli abbia poca dimestichezza del mondo adulto; in parte è vero e me ne rendo conto, ma quando incontro "grandi" che si comportano peggio di bambini di tre anni non mi vergogno di essere ancora tanto innamorata di quell'età di beata innocenza, quando ancora si è capaci di giocare e lavorare insieme, di litigare ma anche di chiedersi scusa e fare la pace, di sognare e sentirsi felici, un po' incuranti dei problemi che ci circondano...!
Con l'augurio di settimane migliori, buon fine settimana a tutte!

venerdì 15 ottobre 2010

Mestieri alternativi

Non so voi, ma io, che già faccio fatica a definire il mio lavoro, non avevo idea che esistesse qualcuno che fa il "Lettore ambulante". L'ho scoperto smanettando su internet e trovo sia assolutamente geniale. Il lettore ambulante in questione è una donna, si chiama Simonetta Bitasi e non abita neppure tanto lontano da noi, infatti è di Mantova. Ecco il sito: http://www.lettoreambulante.it/. Costi, se ti va bene il laboratorio a Fidenza puoi cambiare mestiere... In ogni caso, tanto di cappello!
Vi segnalo anche che tra i nostri lettori fissi si è aggiunta una gradita ospite, si chiama Benedetta Gargiulo, ha più o meno la nostra età, è una pubblicitaria, vive a Trieste (beata lei!) e tiene un delizioso blog dedicato alle pari opportunità sul quale io, qualche giorno fa, ho lasciato un commento. Che dire? Benvenuta e grazie!

lunedì 11 ottobre 2010

La strana solitudine dei matematici

Per una di quelle coincidenze che capitano ai lettori non occasionali, mi sono ritrovata ad affrontare, uno dopo l'altro, due libri che hanno a che fare con la matematica. Sto parlando de "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano, prestatomi da Costi, e de "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte" di Mark Haddon, frutto di uno scambio con la vulcanica presidentessa di quella specie di circolo di lettura che frequento da circa un anno. Come avrete notato quando ci tocca dividere il conto della pizzeria, io ho un pessimo rapporto con la matematica, mia bestia nera a scuola, tanto che il mio insegnante di scienze alle superiori voleva regalarmi un pallottoliere. Temo, però, che il problema sia endemico tra le ciose, sebbene tra noi compaiano un ingegnere, una biologa e un'economista (le ultime due, a dire il vero, hanno scelto di fare altro nella vita). Per non parlare dei mariti/fidanzati, tra i quali prevalgono gli studi scientifici. Con loro, in particolare, mi scuso per la faziosità di questo post. Tornando ai libri dirò che non sono niente male: originali e ben scritti. In entrambi la matematica diventa un pretesto per guardare il mondo con occhi nuovi, oltreché una fonte di esempi, immagini e metafore tutt'altro che scontate. In entrambi, in particolare, i numeri primi diventano simbolo dell'alterità dei protagonisti: ragazzi a dir poco problematici. Immagino che gli autori abbiano scelto volutamente dei personaggi "al limite" per rappresentare in maniera eclatante le difficoltà che tutti incontriamo nella vita, nei rapporti con gli altri, nell'accettazione di una realtà spesso dura e alienante, zeppa di finzioni e compromessi; credo anche che la matematica, almeno nelle intenzioni, sia stata scelta come portatrice di valori positivi di ordine e razionalità, che aiuta, in qualche modo, queste sventurate creature a crearsi faticosamente un equilibrio. Forse, però, non si sono resi conto che, essendo il protagonista (o meglio, coprotagonista) della "Solitudine", un giovane autolesionista e quello de "Lo strano caso" un ragazzino autistico, tutti e due geni della matematica, la materia, alla fine, non ne esce benissimo... Il primo, oltretutto, rinuncia al grande amore della vita (o alla cosa che più gli somiglia) per rituffarsi nel suo algido tran tran di professore alllietato, forse, da un'amica occasionale. Certo, non si pretendeva l'happy end: in un contesto simile sarebbe stato quasi ridicolo. Il secondo, almeno, riesce a risolvere il giallo del titolo con tanto di colpo di scena e a superare un test d'ammissione all'università, ma mi piacerebbe sapere che bisogno c'era di piazzare una bella bestemmia in corso di testo. Insomma, i libri sono belli, ma se gli autori avevano intenzione di utilizzarli, tra le altre cose, per suscitare la passione, o comunque la curiosità per la matematica, temo abbiano sbagliato i conti: infatti ne esce un ritratto desolante dei cultori di questa materia che devono essere, come minimo, dei disadattati con manie distruttive ed autodistruttive e una decisa propensione all'infelicità. Grazie al cielo so che non è così, ma d'ora in avanti, se permettete, mi vergonerò un po' meno di contare ancora sulle dita.

mercoledì 29 settembre 2010

L'età della ragione (e sentimento)

Ebbene, ci siamo. Tra pochi giorni sarà ufficiale: anche l'ultima ciosa farà il grande salto e questo diventerà un blog di sole trentenni. Paura? Ma no, l'importante è non far troppo caso al fatto che veline e calciatori, che fino a poco tempo fa erano nostri coetanei, ora sono tutti più giovani e, soprattutto, non aver letto nè "I colloqui" di Gozzano, dove la trentina viene definita "inquietante, torbida d'istinti/ moribondi", nè, peggio ancora, "Ragione e Sentimento", dove uno sventurato colonnello trentacinquenne - peraltro uno dei personaggi migliori del romanzo, che sto faticosamente terminando di leggere costretta a casa dall'influenza - viene definito vecchio e, per questo, senza speranze di una buona sistemazione. Se si riesce a superare tutto questo, ci si può sempre far forti al pensiero che ormai dovremmo avere raggiunto, una buona volta, l'età della ragione. Un'età in cui sentimenti quali l'amicizia e l'amore dovrebbero essere divenuti forse meno frivoli e appassionati ma più veri, saldi e profondi. Auguri Meg...

martedì 21 settembre 2010

Poesia involontaria

"E' in camera tua il sole?"
"No, è andato in bagno. Non lo vedi che esce dalla porta?"


Versi malcombinati di un poeta ermetico? Personificazione neopagana degli elementi naturali? Allucinazione collettiva?
No, semplicemente un dialogo tra me e mia madre, osservando il giro del sole da una finestra all'altra che, cambiando inclinazione, ahimè, annuncia l'autunno.
Del resto se a Heidi sorridevano i monti, il sole ha ben diritto di fare un po' di toeletta mattutina!

PS. La foto è un tramonto a Grado: due minuti di contemplazione estatica prima di renderci conto che eravamo a 90 chilometri dal B&B e che, dopo il tramonto, si sa, viene la notte e, nella notte, è più facile perdersi...

lunedì 13 settembre 2010

Letteratura!

Ieri ho incontrato un mio compagno di università che non vedevo da anni. Era una strana creatura: roseo, pingue e forbito come un gentiluomo dell'Ottocento. Oggi è meno pingue, più stempiato e fa un lavoro che non c'entra nulla con i suoi studi (e questo è normale), ma lo stile è più o meno lo stesso. A lui devo uno dei momenti più surreali del mio percorso accademico. E' andata così. Ci ritrovammo in quattro gatti a seguire un corso facoltativo con l'assistente del professore di greco, creatura altrettanto notevole: giovane, minuto, timido e appassionato. Quando ci propose di fare una ricerca ciascuno su un diverso epigramma di Callimaco, nessuno ebbe il coraggio di dirgli di no. Così iniziammo a scartabellare tra i volumi della biblioteca d'istituto - sparsa in varie stanzette - alla ricerca di materiali. Devo confessare che, abitando vicino all'università, molto raramente mi era capitato di fermarmi a studiare in istituto e ancor più raramente mi era capitato di utilizzarne la biblioteca; quindi i primi giorni non trovavo nulla: non sapevo dov'erano i vocabolari, dov'erano i lessici e le antologie; ma lui sì! E quindi, perché girare a vuoto quando potevo chiedere? Alla fine, esasperato, mi prese per un polso e mi fece fare un tour illustrandomi l'intero contenuto e l'esatta disposizione della biblioteca. Un giorno che stavamo entrambi litigando sui rispettivi epigrammi - lui, rigoroso, andava in cerca dell'etimologia di ogni parola, io, anarchica, mi ero lanciata in una disquisizione sull'origine della poesia secondo gli antichi (tecnica pratica? ispirazione divina?) - mi si avvicinò con aria cospiratoria dicendo: "Vieni con me! Ho scoperto una cosa...". Conoscendolo come persona affidabile mi azzardai a seguirlo. Mi ritrovai nella più remota delle stanzette della biblioteca: praticamente un sottotetto male illuminato nel quale il nostro, felice come un bambino, mi rivelò di aver ritrovato l'intera collezione dei classici della Loeb che non era segnata nel catalogo. Non era cosa da poco, visto che i simpatici libretti hanno la traduzione a fronte in inglese e comprendono anche titoli poco noti che potevano servirci per la ricerca. Cominciammo a sfogliarne qualcuno. Proprio quando eravamo entrambi chini sulle paginette di non so quale autore si spalancò la porta ed entrò il giovane assistente, che rimase sulla soglia con un'espressione di assoluto imbarazzo. Ci mettemmo un attimo a capire il perché: una stanzetta buia, un ragazzo e una ragazza vicini che guardano lo stesso libro... Così, anche noi, pur senza averne, ve l'assicuro, alcun motivo, restammo incapaci di proferire verbo. Poi, visto che è in certe situazioni che si riconoscono i veri uomini, fui io a riprendermi per prima e a spiegare come stavano le cose. Finimmo, con sollievo, a ragionare di edizioni critiche.
Se ci ripenso mi viene ancora da sorridere, soprattutto perché, anche se non ce lo siamo mai detti, sono certa che tutti e tre, nei dieci secondi di silenzio, abbiamo pensato la stessa cosa: Dante! Canto V dell'Inferno. Paolo e Francesca! Eravamo, allora, troppo intrisi di letteratura per non fare subito il collegamento, per non dare, anche contro la nostra volontà, anche contro la realtà dei fatti, ai nostri gesti più banali un'aura d'eternità. Il chè, scusate, a me sembra bellissimo...

lunedì 6 settembre 2010

Si va per santuari...

Ovvero: come imbucarsi in gite parrocchiali altrui. Non è difficile, basta avere un'amica che organizza il pellegrinaggio e si trova con la corriera mezza vuota che telefona a un'amica che a sua volta... Insomma, è più o meno così che Costi, Dani e io, in quest'ultimo scampolo d'estate, siamo finite ad ingrossar le fila (ed abbassare la media d'età) di una comitiva diretta a S. Luca, Fonte Avellana, Loreto, Portonovo e Ancona.
La prima tappa bolognese è stata una piacevole sorpresa: abbiamo visitato finalmente la chiesa sul colle, vista sempre solo dal treno. Siamo entrate all'ora del risveglio, tra pochi pellegrini assonnati, patiti del jogging che annaspavano per l'interminabile portico che la collega alla città, un buffo prete vecchio e secco che pareva uscito da un film western e giardinieri che tosavano aiuole profumate di menta. Poi un lungo tuffo fino all'appennino marchigiano con tornanti quasi alpini fino all'eremo citato da Dante e descritto (stavolta non è colpa mia, la meta non l'ho scelta io) da Rumiz. Il fiorentino ne ha cantato l'asprezza selvaggia, il triestino ne esaltava il silenzio, noi ci siamo ritrovate nel mezzo di una comitiva di laziali caciaroni, ma, dentro le mura spesse due metri dell'antica chiesa e sotto gli archi bassi del chiostro il tempo riesce ancora a fermarsi e l'incanto rimane. Io, poi, amo a prescindere i monasteri camaldolesi, peccato che, a quanto pare, l'amore non sia ricambiato: scendendo verso Loreto sul pullman traballante mi ha preso una nausea che non ricordavo dai tempi della corriera Camaldoli-Bibbiena. Per questo, più che per un eccesso di devozione, appena arrivata ho provato l'intenso desiderio di baciare la terra.
La città del santuario la sera è silenziosa e spopolata come un qualsiasi paesino dell'entroterra, con l'unica differenza della cupola illuminata che la sovrasta e racchiude lo scrigno barocco nel quale, ancor più bella per contrasto, si cela la casa nuda di Maria, che - angeli a parte - pare sia proprio quella. Portonovo è un paese invisibile, con ville nascoste tra gli alberi e la spiaggia di ciottoli chiari di un fascino (e di una trascuratezza) già meridionale, su cui si affaccia una chiesa romanica semplice e luminosa che, purtroppo, abbiamo potuto vedere solo da lontano, coi piedi a mollo nell'acqua tiepida, perché in restauro. Ancona è in salita, come la Genova di Caproni, con vestigia romane e rinascimentali incastrate tra i capannoni del porto. Il suo duomo la guarda dall'alto con il campanile staccato dal corpo della chiesa, come quello di Caorle, secondo una tradizione orientale che percorre tutto l'Adriatico. Prima di ripartire abbiamo anche fatto in tempo a vedere una sposa elegantissima, la quale probabilmente non saprà mai che, poco prima del suo arrivo, mentre il quartetto d'archi provava marce nuziali e un estemporaneo (spero) "farfallone amoroso, un sagrestano per poco non si accapiglia con le fioriste che finivano di sistemare gli addobbi. Siamo tornate verso le dieci piuttosto cotte e, mentre Costi e Dani si consolavano pensando di avere tutta la domenica per riprendersi, a me già montava l'ansia per la settimana di fuoco che mi aspetta e gli effetti benefici del pellegrinaggio sono spartiti in un istante, ma almeno mi sono tolta la soddisfazione, dopo anni, di cantare in corriera.
Come sempre un grazie alle mie inossidabili e pazienti compagne d'avventura e... a quando (e dove) la prossima gita?

mercoledì 1 settembre 2010

Ritenta: sarai più fortunato! (?)

Galline! Avete per caso letto la Gazzetta di ieri? Se sì immagino già saprete dove io desidererei essere il prossimo 10 gennaio (sempre ammesso e non concesso che...) e immagino vi si saranno drizzate le piume temendo che, ancora una volta, vi avrei lanciato un appello per chiedervi - se volete - di accompagnarmi. Infatti così è. Stavolta, per lo meno, dovrebbe essere più vicino, meno ripido e al coperto...

martedì 24 agosto 2010

Andiamo con ordine: resoconto di una vacanza

Va bene, confesso, la meta l'ho scelta perché avevo voglia di sentir parlare veneto per motivi che potete immaginare, e perché con Caorle e uno dei suoi campanili ho un conto in sospeso da vent'anni, però Costi, bontà sua, mi ha dato corda, e questa è diventata la nostra vacanza. Ma andiamo con ordine. Lo stesso ordine che ci siamo ritrovate rientrando in camera la prima sera e scoprendo che la proprietaria del B&B non si era limitata a pulire ma si era presa la libertà di sistemare a suo modo tutto quello che avevamo lasciato in giro. In ogni caso Caorle ci ha accolto con i fuochi d'artificio, posticipati di due giorni causa maltempo. Dopo quest'inizio scoppiettante, in sette giorni siamo riuscite a macinare 985 km; d'accordo, almeno una quarantina li avremo fatti perdendoci qua e là, perché, come sapete, le strade cambiano se le si percorre in un senso o nell'altro, di notte o di giorno e, soprattutto, non è facile sapere dove vai se i cartelli ti indicano Venezia e Trieste (meraviglia!), ma non i paesi che stanno nel mezzo. Comunque, abbiamo esplorato in barca la laguna di Caorle, che se è piaciuta a Hemingway non poteva che piacere a noi, e visitato un casone da pesca dove un folcloristico marinaio ci ha offerto un caffè sospetto. Abbiamo visto Aquileia, meravigliosa città romana al confine tra gli imperi d'oriente e occidente, con una basilica paleocristiana che ha per pavimento un tappeto di mosaico.
Ci siamo affacciate a Grado al tramonto, percorrendo una strada col mare da entrambe le parti e parcheggiando, con un po' di patema, a due passi dall'acqua. Poi siamo state a Burano con le case colorate come disegni di bambini, le altane fiorite e le ricamatrici in crocchio nelle piazze - pardon, campi - a ciacolare; da Burano abbiamo raggiunto San Francesco del Deserto: isola monastero su cui si trova la prima chiesa dedicata al frate di Assisi che qui soggiornò di ritorno dalla Terra Santa. Ora ci stanno cinque frati e una cagnetta che si godono un silenzio sovrumano e una vista notevole della laguna. Infine, un po' per ammortizzare il giornaliero del traghetto un po' per timore di affrontare di nuovo le infide vie venete, ci siamo concesse un gelato a Venezia con scalata (senza bandiere!) al campanile di San Marco. Abbiamo attraversato il Piave che mormorava e l'Isonzo di Ungaretti, e passato paesi dai nomi singolari, come Ottava Presa, persi tra i campi di mais. Tra una gita e l'altra abbiamo trovato anche il tempo per prendere il sole, fare qualche bagnetto e persino assistere alla presentazione di due libri serissimi. Alla fine cosa resta? A parte la malinconia del ritorno, un centinaio di foto e un pacco di guide, volantini e scontrini, gli incontri: la signora di Burano che non ci voleva dire il prezzo dei suoi ombrellini ricamati perché era chiaro che non li avremmo comprati; il marinaio del traghetto di linea per Venezia, altissimo, magro, ricciuto ed elegante con l'aria sorniona di chi sa cosa fare; il buffo frate che ci ha accompagnata a San Francesco e proprio il giorno dopo sarebbe stato trasferito. E i particolari, quelli che a casa propria non si notano mai, come le scope appese alle grondaie a Burano o gli enormi fiocchi rosa e azzurri per annunciare le nascite, grandi il doppio di quelli che usano qui. A proposito, visto che mentre ci crogiolavamo al sole e alla brezza del mare Giacomo è venuto alla luce, gli diamo il benvenuto augurandogli che lo stesso sole e la stessa aria leggera lo accompagnino sempre in questo viaggio che molto spesso è tutto tranne una vacanza, ma a volte, grazie al cielo, può assomigliarle. Un abbraccio.

lunedì 16 agosto 2010

Il ritorno della gallina ceca

Un saluto a tutte le ciose che si trovano a casa, oppure in viaggio, o sono in procinto di partire. Mando un pensiero di accompagnamento a Co e Cri in vacanza a Caorle, e un bacio alla Zamba che sta per farci conoscere il suo piccolo Giacomo.
Io sono tornata pochi giorni fa da un tour di due settimane della Repubblica Ceca, una meta un po' insolita (a parte la splendida e turistica Praga), ma che mi ha regalato piacevoli emozioni grazie ai suoi panorami agresti punteggiati di girasoli, allo spettacolo del volo delle cicogne, ai villaggi antichi con gli immancabili castelli e le chiesette dal campanile appuntito...
Ora sono di nuovo in ufficio, con le bozze che mi incalzano, ma è come se io andassi al rallentatore e ritrovare la concentrazione è assai arduo...

giovedì 12 agosto 2010

La differenza

Penso e ripenso: - Che mai pensa l'oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.
Salta starnazza si rituffa gioca:
né certo sogna d'essere mortale
né certo sogna il prossimo Natale
né l'armi corruscanti della cuoca.
- O pàpera, mia candida sorella,
tu insegni che la Morte non esiste:
solo si muore da che s'è pensato.
Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Ché l'esser cucinato non è triste,
triste è il pensare d'esser cucinato.

(Guido Gozzano, La via del rifugio)

C'è una ragione per cui ho pubblicato questa citazione di un altro dei "miei" poeti; oh, se c'è una ragione; ma, scusate, non ve la dico!

mercoledì 4 agosto 2010

Ciose vagabonde

Dato che, se non si fosse già capito dai post più recenti, una delle passioni delle ciose sono i viaggi (soprattutto quando si trasformano in rocambolesche avventure!...) e dato che, per molte di noi si avvicina, o è da poco passato, il tempo delle vacanze, faccio capolino nel blog per farvi conoscere una nostra simile, degna compagna di viaggio, una vera e propria ciosa vagabonda.
Si tratta di "Camilla la gallina" (testo di A. Pandini, disegni di M. Mariani), un personaggio che compare da più di un anno in un fumetto su un giornalino per bambini (che leggo spesso non solo per deformazione professionale..!)
"Camilla la gallina se ne andava per il mondo perché non credeva che fosse tondo". Così recitano gli amici di Camilla la gallina all'inizio di ogni sua nuova avventura. Ciò che colpisce di questo personaggio è la sua curiosità e il suo irrefrenbile desiderio di scoprire il mondo, che la portano a superare la sua natura goffa e impacciata. Camilla si ritrova così nella savana a guardare le stelle insieme al leone e alla giraffa, ad attraversare il mare sul dorso di una balena e il deserto sulla groppa del dromedario... Fa amicizia con il castoro, lo struzzo, il canguro e il koala nella lontana Australia. Trova belli e ricchi di fascino incontri con animali pericolosi, come il cobra e il coccodrillo, ed è perfettamente a suo agio in luoghi poco ospitali come il deserto dell'Africa, "dove la luna sembra più grande e la notte è tutta una festa di voci"... Perché in fondo quello che scopre Camilla è che "il mondo è bello, ma è ancora più bello farlo sapere agli amici".
Allora, buon viaggio, Camilla, e buone vacanze cioseche a tutte!

P.S.: per pubblicare il ritratto di Camilla la gallina ricorrerò a Cri, che sa come inserire le immagini... abbiate pazienza.. ;)

La Cina è vicina...

Precisamente è a Milano; almeno fino al 5 settembre, quando chiuderà la mostra "I due imperi" a Palazzo Reale.
E' la seconda volta che vado a Milano in luglio e la trovo sorprendentemente luminosa: cielo blu con nuvolette bianche e una brezza quasi marina a spazzar via il torrido che sale dall'asfalto. La facciata del Duomo, appena restaurata, è di un bianco abbacinante che fa male agli occhi e bene al cuore.
Non so a voi, ma a me il capoluogo lombardo piace. Sospetto sia merito delle persone che me l'hanno fatta scoprire: i cavalieri milanesi dagli occhi chiari che trascinarono me e Dani sul tetto del Duomo, la filosofa bionda appassionata di libri, montagne e caffè e la coraggiosa "parigina" che ha accompagnato me e Costi in questa spedizione transpadana e che ringrazio di cuore. La nostra gita prevedeva un "pellegrinaggio" alla Libreria dei ragazzi, dove ero stata un paio d'anni fa per lavoro e dove avevo promesso fin da allora di accompagnare Costi. La libreria è un'isola fornita di ogni ben di Dio fatto di parole per bambini e insegnanti. La mia compagna d'avventura, previdente, si era portata uno zainetto e lo ha riempito. Io mi sono limitata ad acquistare le filastrocche di Rodari, amico e maestro di Roberto Denti, fondatore della libreria.
Seconda tappa alla mostra, che proponeva il confronto tra impero cinese ed impero romano. Bella. Anche se i reperti romani, almeno secondo me, non erano eccelsi e avremmo preferito un allestimento "in parallelo" e non due stanze di reperti romani, poi due di cinesi e così via. Comunque meritava una visita, non foss'altro per l'emozione di trovarsi di fronte una delegazione di guerrieri di terracotta. Sì, proprio quelli. Solenni e severi nelle loro forme stilizzate eppure così vivi. Bellissimo il gesto dell'ufficiale: un palmo rivolto a terra e l'altra mano che stringe il braccio un poco sopra il polso, lo sguardo dritto davanti a sé; struggente il balestriere inginocchiato con le mani a serrare un'arma che non c'è più. Ma ancora più incredibili sono gli oggetti della vita quotidiana, uguali attraverso i secoli e le civiltà a testimoniare un'umanità comune che a me sempre commuove. Saluti interculturali!

venerdì 30 luglio 2010

Archi paralleli e concolori


Senza parole (ma con citazione dantesca).
Parma, 29 luglio 2010, ore 20.00 circa.

PS. Scusate, non c'entra nulla con le righe precedenti, ma non mi va di moltiplicare i miei post (ne scrivo già anche troppi), quindi aggiungo qui una pensiero. Ringrazio Dani per avermi segnalato il bell'articolo articolo di Covacich (un altro triestino, accidenti! Il Friuli mi tenta oggi come mi tentava un mese fa il Trentino... e questo mi preoccupa) sulla strage di Duisburg (a chi interessa ecco il link: http://archiviostorico.corriere.it/2010/luglio/26/nel_Tunnel_co_9_100726024.shtml). Lo scrittore sostiene che, dopotutto, è naturale - e prezioso - credersi immortali da giovani. Temo abbia ragione: io non l'ho mai creduto, per questo, forse, a volte, sono così stanca...

PPS. Costi, ti prego, pubblica la saga degli sms fantasy. Questo blog ha urgente bisogno di qualcosa di allegro!

venerdì 23 luglio 2010

La pazienza dei bagnasciuga a Ferragosto

La mattina è iniziata molto male e mi consolo come posso con un post fatto di parole di altri, perché le mie, oggi, meno le uso meglio è. Sono le parole che mi sono risuonate in testa lo scorso weekend quando, finalmente, ho rivisto il mare. Cominciamo.

"Puoi dire sempre 'mia' di una città di mare" (Marco Paolini, Bestiario italiano)
"Le Cinque terre sono un atto di fede" (Paolo Rumiz, L'Italia in seconda classe)
"Fine si può scrivere sulla carta, ma non sul mare" (Roberto Piumini, La sposa nel faro)
"E il mare è cenerino/ trema dolce inquieto/ come un piccione" (Giuseppe Ungaretti, Levante)

Anche il titolo del post è una citazione di "Due parti di idrogeno per una di ossigeno" dei Mercanti di liquore, ascoltata per la prima volta ieri a tarda notte. Grazie a F.

giovedì 15 luglio 2010

Le ciose del terrore

Avevo dimenticato il titolo
So che tra le ciose il cinema horror non è apprezzato (e questa è una cosa sana, del resto), io invece ammetto che fin da piccola ho provato una gran curiosità per questo filone cinematografico, accompagnata anche da una bella fifa se riuscivo a scorgere qualche scena, magari dell'"Esorcista", quando lo trasmettevano tardi in tv. Questa sorta di attrazione/repulsione per i film del terrore è materia di psicoanalisi e non mi va di lambiccarmicisivi troppo.
Circa sei anni fa ho scoperto una manna: ai Giardini di San Paolo, allo scoccare di ogni torrida estate, parte la rassegna gratuita (!!!) "I giardini della Paura", dove vengono proiettati e "riesumati" film horror vecchi e nuovi, d'autore e non, spesso e volentieri splatter e schifidi, che richiamano immancabilmente frotte di gente, prevalentemente giovani, che vanno a occupare ben prima che il film cominci tutti i posti disponibili, incuranti degli olezzi canini che si sono accumulati durante il giorno.
Il bello di questa rassegna consiste nello scenario suggestivo e misterioso in cui si svolge e nelll'atmosfera informale che fa prorompere in risate o applausi il pubblico intero di fronte a scene di film esagerate e comiche che hanno per vittime personaggi veramente improvvidi e goffi. Del resto il senso dell'ironia accompagna spesso questo genere cinematografico.
Vengo al punto, la rassegna è partita anche quest'anno e ieri sera è stato proiettato il gustoso film di Sam Raimi "Drag me to Hell". Mercoledì prossimo (21 luglio, ore 21.30) ci sarà invece un film del 1962 "I racconti del terrore", tratto da E.A. Poe.
Quale ciosa coraggiosa e un po' incosciente oserà presentarsi all'appuntamento?

martedì 13 luglio 2010

meglio tardi che mai

Ci sono? Mi vedete? Son entrata anch'io o sto parlando al vento? Se mi sentite, mi presento: son Daniela, credo l'ultima ciosa a iscriversi nel blog, questo non per mancanza di interesse, bensì per catastrofica carenza di capacità tecnico-informatiche. Ma infine la Cri mi ha irretito, ed eccomi qui... Ora non so bene che dire, ma penso che interverrò ancora prima o poi, quando avrò visto quache film interessante o sarò stata in un posto nuovo, o semplicemente per attenuare le sfuriate della Cri, o per scriverne di mie! Per ora vi saluto, molto orgogliosa di me per il fatto che mi state leggendo, vero?

E' complicato, fulgida stella!

Lo scorso weekend ho fatto il pieno di film romantici e, quel che è peggio, è che ho pure contribuito a sceglierli. Da entrambi, però, diversissimi tra loro per storia, ritmo e stile e ambientati in epoche lontane, sono uscita con lo stesso amaro in bocca. "Bright Star", della Champion è un drammone dalla confezione elegante, ma dalla storia inconsistente che racconta l'amore platonico e tragico tra il poeta John Keats e la sua musa agli inizi dell'Ottocento. "E' complicato", invece, è la classica commedia americana con protagonista la sempre brava Meryl Streep colta da un imprevisto ritorno di fiamma per l'ex marito. Da dove viene, allora, l'amaro in bocca? Soprattutto dal comportamento, molto tipico, di due personaggi maschili: l'amico di Keats che lo ospita, lo deride per la sua passione impossibile e poi... seduce e mette incinta la servetta (un classico!); e il marito della Streep (cioè del personaggio che lei interpreta), che non si fa problemi a ritornare con lei nonostante abbia sposato una donna più giovane perché, infondo, la considera sempre roba sua. E' questa idea dell'amore come possesso che non riesco proprio a tollerare: un'idea che pare valicare i secoli e che entra di prepotenza anche nella cronaca recente, zeppa di uomini che ammazzano le loro ex. Perché? Forse perché mentre le donne si sono evolute, si sono rese consapevoli del loro valore e della loro dignità di persone, che va oltre il ruolo di mogli e di madri, si ha spesso l'impressione che gli uomini, sotto sotto, siano rimasti fermi all'età della pietra; e che dietro il più elegante dei corteggiatori ci sia sempre il prode cacciatore, che nasconde tra le rose un nodoso bastone con cui tramortirti per bene, caricarti sulle spalle, rinchiuderti nella sua caverna e poi sussurrarti sensuale "Tu sei mia": un complimento che, dopotutto, è una minaccia. Sto esagerando? Lo spero di cuore! Ma se i film romantici mi fanno quest'effetto forse è meglio che mi decida ad accompagnare Dani a vedere un horror...

PS: Ieri sera una cassiera del supermercato mi ha chiesto se ero veneta. E no, basta! E' una persecuzione!

martedì 6 luglio 2010

Era una notte che pioveva

Care galline, sappiate che è solo per dovere di cronaca che mi accingo a scrivere questo post, ma ne avrei fatto volentieri a meno. Come alcuni già sanno, una buona percentuale di noi ha trascorso una mini vacanza in Val di Fassa. Siamo rincasate ieri sera e, tutto sommato, dovrei dire che è andata bene: abbiamo visto paesaggi d'aria e luce, percorso sentieri da cui potevi immaginare di veder sbucare da dietro una curva Heidi, Annette, o Cappuccetto Rosso; ammirato boschi di velluto e cime tanto arcigne quanto attraenti; scoperto che il ladino ha qualche affinità con il parmigiano; gustato specialità locali e non (sperimentando gli effetti collaterali del brodo al brandy); e, soprattutto, siamo tornate a casa sane e salve; e la cosa non era affatto scontata, visto che guidavo io. Però, dal momento che la vacanza, almeno per me, era soprattutto una scusa per ascoltare dal vivo Marco Paolini e che lo spettacolo, in pratica, non l'abbiamo visto, mi concederete un po' di magone. Dopo nemmeno 15 minuti dall'inizio del prologo, i nuvoloni, che ci avevano accompagnato per tutta la lunga e faticosa ascesa fino al rifugio del Vajolet, hanno cominciato a rovesciarci addosso acqua, grandine e fulmini, costringendo anche l'imperturbabile attore, che fino ad allora se ne era rimasto tranquillo su un masso in giacca e camicia (mentre noi eravamo intabarrati in plaid e k-way), a interrompere il racconto. Il rientro alla base è stato buio, umido, freddo e complicato con tanto di attraversamento di una scaletta gettata a mo' di ponte su un tratto di strada inondato da un ruscello (con Costi che continuava a ripetere: "quando lo racconterò a casa non ci crederanno"). Un'avventura da ricordare,insomma. Però, quella serata me l'immaginavo un po' diversa: la coccolavo da mesi e l'ho inseguita superando le complicazioni che pare non possano fare a meno di presentarsi ogni volta che metto il naso fuori di casa. Infondo chiedevo soltanto un'ora d'incanto con un attore che sa evocare mondi con le parole e ha uno strano fascino che prescinde dall'età, dalla bellezza e forse persino dalla simpatia (pare infatti che non abbia un buon carattere, ma anch'io non scherzo...). Quindi, nonostante tutti non facciano altro che ripetermi, giustamente, che è stata una bella esperienza fatico un po' a convincermene. Forse perché quel piccolo sogno sfuggito a un passo dal realizzarsi è andato ad ingrossare le fila già ben nutrite delle delusioni; e la rabbia sciocca per una cosa futile è, in fin dei conti, un grido di ribellione contro la teoria che, nella vita, bisogna solo portare pazienza. Passerà e, tra qualche giorno, non sobbalzerò più se qualcuno mi nominerà l'Alaska, i cani da slitta e Jack London. Nel frattempo non dite che non vi ho avvertiti...

sabato 26 giugno 2010

Rivedrem le foreste imbalsamate...

Come sapete sono mediamente melomane, ovvero, quando posso, senza spendere un capitale e senza fare code antelucane per prendere i biglietti, vado all'opera. Non che non mi facciano ridere certe situazioni surreali e il linguaggio improponibile (vedi sopra) che vorrebbe esser aulico e spesso, suo malgrado, suona comico; ma tant'è: è una passione che devo ai miei genitori e mi piace coltivarla. Per questo erano anni che sognavo di andare, una volta nella vita, all'Arena di Verona. Venerdì, complice un'amica di famiglia, ci sono riuscita. Mi sono seduta anch'io sui gradini di pietra poco anatomici e surriscaldati tra orde di tedeschi in sandali d'ordinanza ad aspettare che calasse il sole e iniziasse lo spettacolo. Ho acceso anch'io la mia brava candelina e sperato che non tirasse il vento a portarsi via le voci. L'acustica, infatti, è quella che è ma l'insieme è notevole. Che opera ho visto? Nel caso non fosse chiaro dalla foto, la prima a cui si pensa quando si immagina un'opera all'Arena di Verona (forse per colpa dei ricordi scolastici delle gite all'Italia in Miniatura...): l'Aida.
Saluti musicali.

mercoledì 23 giugno 2010

Il segreto dei suoi occhi

Ogni tanto fa bene seguire i consigli di un’amica cinefila e andare a vedere qualcosa di diverso dai soliti blockbuster che a me, lo confesso, di solito piacciono, perché hanno il vantaggio di farti passare un paio d’ore in un altro mondo in cui hai la certezza che anche le situazioni più intricate si aggiusteranno: si chiama “giustizia poetica” ed è antica e meravigliosa. Dicevo, però, che ogni tanto è bello incappare in qualcosa di diverso, come “Il segreto dei suoi occhi”: pellicola argentina che ha vinto l’Oscar come miglior film straniero. E’ un bel giallo con intrecciate due storie d’amore e sullo sfondo la confusa situazione politica degli anni ‘70. Che non sia un film americano te ne accorgi dalle facce degli attori: non superdivi patinati (anche se al loro paese sono famosi), ma gente di mestiere con la giusta mescolanza di rughe e fascino; dai ritmi lenti, dalla non eccessiva insistenza sui particolari truculenti e, forse, anche dal modo garbato e dolente di trattare l’amore: quello assoluto e disperato del marito della donna uccisa, che rinuncia alla propria vita per inseguire un’originale vendetta, e quello negato e sospeso dei due protagonisti: la giudice di buona famiglia e il modesto impiegato, fatto di sguardi e discorsi interrotti che, alla fine, dopo 25 anni, troverà il suo compimento ma, beninteso, fuori dal film, come accadeva nelle vecchie commedie...

giovedì 17 giugno 2010

Cose sinistre

Un post brevissimo per riequilibrare un poco la botta di malumore del precedente.
Un paio di giorni fa, buttando un occhio alle domande di un quiz televisivo, ho appreso questa verità fondamentale: da una ricerca di un'università australiana pare che, udite udite, I MANCINI GUIDINO MEGLIO!
Lo so, lo so, anche a me (soprattutto a me...) la cosa puzza un po' di fanta-scienza, ma l'importante è crederci.
Saluti patentati.

lunedì 14 giugno 2010

Cerco un paese innocente

In nessuna/ 
parte
/ di terra/ 
mi posso/ 
accasare
A ogni/ 
nuovo/ 
clima/ 
che incontro/ 
mi trovo/ 
languente/ 
che
/ una volta/ 
già gli ero stato/ 
assuefatto
E me ne stacco sempre
/ straniero
Nascendo/ 
tornato da epoche troppo/ 
vissute
Godere un solo
/ minuto di vita/ 
iniziale
Cerco un paese innocente

E questo è Giuseppe Ungaretti, "un ermetico che si fa capire" secondo la definizione di un illuminato manager d'azienda con cui ho avuto a che fare per lavoro. E' solo per dire che io questo paese continuerò a cercarlo. Anche quando persino le persone più care mi dimostrano che gli ideali vanno bene fintanto che non si devono mettere alla prova e che, per la paura, vera e dolorosa, di restar soli, ci si può anche tappare il naso e accettare qualche compromesso. E va bene. Lo so anch'io che per stare al mondo occorre adeguarsi e che, forse, è meglio così. Lo so che le torri d'avorio prima o poi crollano e starci dentro non paga. Ma perché imporre anche agli altri le proprie decisioni come se fossero le uniche giuste e possibili?
Cerco un paese innocente. In cui si sta insieme semplicemente per il piacere di confrontarsi e conoscersi tra persone libere e limpide le une con le altre. Senza imposizioni dall'esterno, senza sotterfugi, secondi fini e doppi sensi. Io l'ho provata un paio di volte questa sensazione e sarò grata per sempre alle persone a cui la devo anche se, forse, mi hanno rovinato la vita. Dunque da qualche parte questo paese esiste e, finché ne avrò la forza, scusate, non voglio niente di meno.

mercoledì 9 giugno 2010

L'avventura su misura

Galline vagabonde, ieri sera le vostre colleghe danzanti (o presunte tali) sono andate alla cena di fine corso e, chiacchierando con le compagne, hanno scoperto che una di esse, che dall'aspetto esteriore avremmo potuto tranquillamente identificare come una commessa modaiola, in realtà fa l'assistente sociale e d'estate si concede tre settimane di vacanze spartane e avventurose in posti che più spersi non si può. Noi che (esclusa Dani) impieghiamo dai due mesi ai due anni tra la scelta di una meta e l'effettiva - e ansiogena - partenza, l'abbiamo ascoltata ammirate. Però, dopo lo sconforto iniziale nel constatare il mio poco coraggio e le mie molte paranoie, ho cercato di farmene una ragione. Dopotutto non c'è niente di male ad essere viaggiatrici poco esperte e poco avventurose, perché così tutto può diventare un'avventura, anche la Gardesana occidentale con la sua serie interminabile di strette gallerie stillanti umidità e salnitro percorsa sfidando il divieto materno; e non si corre il rischio di stancarsi di superare, un passo alla volta, i propri piccoli limiti, né di sentirsi arrivate o soddisfatte. Vi pare poco, in un tempo in cui le quindicenni son già donne vissute che hanno visto mezzo mondo e provato di tutto e le nostre coetanee son disfatte e melanconiche come poeti maledetti? Teniamocele care, allora, benché a volte sia davvero faticoso, le nostre insonnie da giorno prima del viaggio, il brivido sotto la coda quando sediamo su un'auto per percorrere più di 100 km in una volta sola, l'abitudine di sognare a lungo le mete e immaginarle prima di raggiungerle. E' un modo per non rinunciare alla meraviglia che, diceva Aristotele, è la molla che fa nascere la filosofia...

lunedì 31 maggio 2010

Chiamatemi Ernestina

Carissime,
per l'ennesima volta il capo mi ha detto che gli ricordo sua nonna. Ora, la cosa non è del tutto un complimento né propriamente un offesa. Pare, infatti, che nonna Ernestina, che lo ospitava a Bologna nei suoi anni da universitario bohemien, fosse una donna solida e paziente, un punto di riferimento, insomma; e questo non può che lusingarmi. Ma, come tutte le nonne era anche rigida e brontolona e, soprattutto, vecchia! Contando che io ho 15 anni meno del mio capo la faccenda risulta un poco surreale. Quel che è peggio è che non è la prima volta che mi capita una cosa del genere: alle elementari i compagni mi chiamavano "la nonna", per via di certi foulard che mia madre mi infliggeva per scampare alle otiti. Mentre un paio d'anni fa un attore cinquantenne che, bontà sua, si prestò a interpretare un salumiere-gourmet un po' folle per un laboratorio didattico, alla fine della rappresentazione, quando mi intromisi sulla scena portando i "diplomi" di fine corso da distribuire ai bambini, lui, forse per vendicarsi del ruolo che gli era toccato, mi presentò come la sua bisnonna: uno dei personaggi strampalati che comparivano nel racconto. Insomma, pare sia una persecuzione o, meglio, un destino. Effettivamente mi rendo conto di essere nostalgica, smemorata, timorosa dei cambiamenti e assai più attratta dal passato che dal futuro come si dice che siano i vecchi. Poi, a differenza di quel che, invece, si dice dei giovani, credo di aver smesso a cinque anni di credermi immortale... Dunque rassegniamoci. Però, per favore, nonostante l'attacco alla Melville per fare un po' di scena, non chiamatemi Ernestina!

lunedì 24 maggio 2010

Pagine, chiodi e vascelli

"Non esiste un vascello veloce come un libro

per portarci in terre lontane
né corsieri come una pagina

di poesie che si impenna -
questa traversata

può farla anche il povero

senza oppressione di pedaggio

tanto è frugale 
il carro dell’anima".

(Emily Dickinson)

"Tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico"
(Centochiodi, Ermanno Olmi)

Carissime, ieri era la giornata del libro.
Per celebrare (in ritardo) l'evento e tener fede al secondo punto del nostro decalogo, ecco due citazioni agli antipodi. Tra l'una e l'altra scorre, mi pare, la gioia impalpabile del lettore adulto, che, anche quando riesce a immedesimarsi, come un bambino, tra pagine che riempiono il cuore, sollevano l'anima, curano (talvolta provocano o accompagnano...) spaesamenti e solitudini, in un angolo della sua mente sa quanto siano fragili le parole di fronte alla brutalità, feroce o dolcissima, delle cose.
Un pensiero.

lunedì 17 maggio 2010

Certe notti...

...se sei fortunato e hai un'amica appassionata di danza con uno zio immannellato al Regio, riesci a sederti in platea a vedere lo spettacolo che dà il titolo al post con lo sconto riservato alle scuole di danza. E il fatto è che, tutto sommato, visto che frequentiamo un corso, la bugia non è neppure troppo grossa, ma a me fa comunque sorridere. Come sapete non ne capisco molto di danza, né vista, né tantomeno praticata, però l'allestimento non mi è parso affatto male. Da discreta fan di Ligabue, colonna sonora delle imprese dell'Aterballetto, avrei forse preferito, anziché le versioni live delle canzoni, con tanto di applausi e cori del pubblico, quelle registrate in studio, più pulite e legate le une alle altre; perché a volte mi è sembrato che il rumore di fondo lasciasse i ballerini soli a muoversi su un brusio confuso, o su un silenzio un poco imbarazzante, piuttosto che su una musica; ma forse l'effetto di spaesamento era voluto. Non so. E mi piacerebbe conoscere il parere di Meg in proposito. In ogni caso resto sempre piena d'ammirazione per l'antica abilità dell'uomo di creare bellezza con quanto ha intorno o, semplicemente, con il suo stesso corpo. Peccato che, troppo spesso, sia capace dell'esatto contrario...

venerdì 14 maggio 2010

Lasciate ogni speranza o voi che entrate...

Galline! Una notizia flash: non so bene nemmeno io come, ma sono riuscita a inserire il contatore gratuito shiny stat nel blog, per monitorare quante persone (ovviamente non quali, che sarebbe ancor più interessante...) transitano per il nostro pollaio. Lo trovate laggiù a sinistra. Se sono riuscita nell'impresa significa che una mente contorta e un po' di scongiuri (ho incrociato le dita prima di dare l'ok alla modifica) sono utili anche quando si ha a che fare con i computer. Alla faccia dei cultori della tecnologia pura!

martedì 11 maggio 2010

Per vie traverse

"Non basta un navigatore satellitare. I luoghi vanno cercati, corteggiati, raggiunti, con errori o digressioni, altrimenti escono dalla memoria" (Paolo Rumiz, La leggenda dei monti naviganti)

Scusate. Ancora una citazione di Rumiz. Lo so che è la terza, ma non capita spesso di trovare, in qualcosa che si legge, una convinzione che si cova in silenzio senza sapere bene come esprimerla, tradotta in parole così limpide: la dimostrazione che perdersi, a volte, non è poi così male. D'accordo, lui lo fa per scelta, io per mancanza di senso d'orientamento, ma il brivido, la sorpresa, la meraviglia, credo, siano le stesse. Ed è una bella consolazione.

PS: D'accordo con Co, ho inserito la foto di una nostra degna "antenata". Ho anche cambiato leggermente il titolo dell'elenco di libri (riuscite ad aggiungere i vostri?). Spero non vi dispiaccia. Altrimenti, come d'accordo, nessun problema a fare modifiche. Saluti disorientati.

martedì 4 maggio 2010

Figli di carta

Seconda botta di egocentrismo. Evidentemente il blog ha questi effetti collaterali. Per mitigarli, credo, sarebbe bello che le voci delle altre ciose, che hanno di sicuro tante cose interessanti da condividere, non rimanessero confinate nel loro pollaio, ma spiegassero le ali sul web. Comunque. L'immagine allegata è il numero zero di un giornalino per bambini e ragazzi uscito da poco insieme al Gambero Rosso. E' un po' figlio mio e, anche se è ancora in rodaggio, farlo è stata un'esperienza importante. Stiamo già lavorando al secondo (cioè al primo) numero, per il quale ho avuto la possibilità di visitare - con al collo un memorabile pass per la stampa - "Squisito!", la fiera del gusto che si tiene a San Patrignano. Sì, proprio quel San Patrignano. Cosa ricordo? A parte la pioggia infame e l'avventuroso rientro, due sguardi. Quello azzurro, consapevole di sé, ma anche sorridente e sornione del famoso chef che ha cucinato per noi assieme alla figlia (o viceversa); e quello nero, luminoso e orgoglioso di Pietro: un ragazzo ospite della comunità, che ci ha accompagnato in giro per questo posto immenso e bellissimo raccontandoci qualcosa del suo non facile percorso di vita. Gli auguro ogni fortuna, credo proprio che se lo meriti. Saluti giornalistici

PS: Auguri a Chiara e Filippo per il loro primo anniversario. Incredibile? davvero è già passato un anno? A me non sembra, e a voi?
PPS: Dani, vogliamo sapere tutto del tuo viaggio. Di persona, senza dubbio, e via web se ti va...

martedì 27 aprile 2010

La leggenda dei monti naviganti

Ecco il titolo del libro che ho promesso a Costi di pubblicare come promemoria. E' un esametro. Non l'ho scoperto io, anche se ho controllato contando le sillabe sulle dita, lo dice l'autore, Paolo Rumiz, che vi ho citato due post fa. Ringrazio Dani per avermelo prestato e la avviso che lo terrò in ostaggio un altro po'. Racconta di due incredibili viaggi: il primo del 2003 attraverso le Alpi, con vari mezzi, dall'auto al treno alla bicicletta, il secondo, nel 2006 lungo gli Appennini a bordo di una Topolino del 1953. Credo sia una delle cose più belle che ho letto negli ultimi anni. E' bello per quel che racconta: itinerari secondari per un'Italia quasi sconosciuta - e vera - che resiste con coraggio all'omologazione forzata della modernità; personaggi memorabili, dal violoncellista che fa suonare le foreste alle pastore sannite; paesaggi d'incanto; un mondo di storie dimenticate. Ed è bello per come lo racconta: una lingua meravigliosa, elegante, che abbraccia tutti i registri, consapevole della sua musica e del valore delle parole.
"Lontano dai luoghi della finzione e del frastuono" racconta il giornalista,che si è fatto Trieste Istanbul in bicicletta, cita Tolkien e ha una passione, che condivido, per i toponimi strani e per le utilitarie, "ho attraversato a volte una soglia invisibile e scoperto luoghi dello spirito...in questi spazi la parola - il logos - sembra riacquistare senso e rigenerarsi come in una cassa armonica. Qui il pensiero si espande naturalmente, e naturalmente incontra il Sacro, se non altro per il bisogno fisico di superare i contrafforti che gli chiudono l'orizzonte". Buona lettura e...buon viaggio!

mercoledì 21 aprile 2010

Arte taumaturgica

Ieri al Regio, all'intervallo tra un dolore e l'altro del povero Werther, una signora ha confessato che soffre d'insonnia ma, quando viene all'opera, poi, dorme come un angioletto.
Niente di strano. E' da quando ho smaltito un misto di raffreddore & nausea ai Capitolini di Roma, tra un incontro con la Lupa e cinque minuti di catalessi nella stanza di Guido Reni, che sono certa del potere taumaturgico dell'arte. Credo, però, che perché funzioni (quando funziona...) debba esserci, a monte, un minimo di passione; perché le passioni, quali che siano - per l'arte, la musica, la danza, lo sport, la cucina, sia approfondite con costanza sia approcciate da orecchiante - fanno sentire vivi, fanno stare bene, chiedono, per loro natura, di essere condivise. A una sola condizione: devono essere vere.

venerdì 16 aprile 2010

Consoliamoci

La turnata di compleanni di marzo-aprile si è ufficialmente conclusa.Prossimo appuntamento a giugno.
A tutte le ciose con un anno in più sulla cresta dedico idealmente (non ne è rimasta più neppure una briciola) le due torte che ho preparato per addolcire il passaggio: a sinistra la cioccolatina, a destra una crostata di mirtilli. Auguri ipercalorici.

lunedì 12 aprile 2010

Ulisse

“Mi chiedo se la forza del racconto non nasca nell'uomo da millenni di cammino, se il narrare (assieme al cantare) non nasca dall'andare. E se il nostro mondo abbia disimparato a raccontare semplicemente perché non viaggia più.” (Paolo Rumiz, È Oriente)

Domani invecchio. Ringrazio Moki per gli auguri anticipati. Pensavo che le cose che più mi mancano degli anni tra le superiori e l'università sono le gite con chitarra al seguito pigiate sulle auto degli amici più grandi o delle amiche neopatentate, sia che fossero per un pic nic in Appennino (avevamo coniato il verbo "impratarsi" per indicare l'ardua scelta di un luogo adatto alla sosta), o per qualche meta di poco più esotica e, ancora, le serate passate a cantare fino a perdere la voce con un repertorio che andava, senza soluzione di continuità, dai cori alpini a Ligabue. Poi, sono da sempre convinta che la capacità di raccontare sia una cosa meravigliosa e ho grande ammirazione per chiunque la possieda, scrittore, attore o cantante che sia. Per questo mi è subito piaciuta la citazione di cui sopra, scovata in internet mentre cercavo qualche notizia su questo giornalista-viaggiatore, di cui mi è capitato di leggere qualche giorno fa un delizioso reportage su un epico viaggio in treno attraverso le linee secondarie d'Italia lungo quanto la Transiberiana: un'impresa di fronte alla quale i nostri record (3 treni e una corriera per Camaldoli e 3 treni per Trieste, patria tra l'altro, del suddetto giornalista) non possono che impallidire; ma pure restano nostri, degni di essere ricordati e raccontati, tanto quanto il viaggio di un certo Ulisse... Mioddio che voglia di vacanze!

martedì 6 aprile 2010

Treno in transito al binario tre

Dopo tutto avevamo dei precedenti. Come non ricordare la gita al parco Sigurtà trasformatasi in un pic nic indoor a casa di Meg causa pioggia, o la scenografica tempesta a Bardi? Ormai dovremmo saperlo che le ciose in viaggio a Pasquetta (e non solo) tendono a scatenare la furia degli elementi. Perché stupirsi, dunque, se, partite da Parma con un accenno di sole, ci siamo ritrovate a Ferrara a rimpiangere un cappotto invernale tra pioggerellina gelata e venticello più triestino che padano? Quindi, dopo la visita d'ordinanza alla mostra della collezione Maeght a Palazzo dei Diamanti (vorrei anch'io in camera una delle installazioni mobili di Calder, ma, soprattutto, sarei curiosa di sapere quanto si divertiva Mirò a inventare i titoli dei suoi quadri), siamo state praticamente costrette a rifugiarci in una pasticceria-bar-ristorante, da cui abbiamo trovato il coraggio di uscire (dopo primo, secondo, dolce e caffè...) solo quando il tempo si è rimesso al bello. Poi, che colpa abbiamo noi se, appena fuori, siamo incappate in un mercatino di chincaglieria varia che ci ha sbarrato la strada? Liberateci dal vigliacco assalitore (previo acquisto di anellini,collanine, braccialetti a mo' di riscatto) siamo riuscite a visitare il Duomo, a passeggiare attorno al Castello (chiuso e vagamente fontanellatesco), a infilarci nella chiesa del Gesù, con il suo notevole compianto sul Cristo morto di fine Quattrocento, e a mettere il naso nel paradisiaco giardino della Certosa, prima di reimbarcarci sul treno del ritorno. Stavolta è andata così. E poteva andare peggio, visto che, su un pilastro di un palazzo in centro erano indicate le piene del Po, la più alta delle quali ci sovrastava di almeno quattro metri... Per le prossime volte, propongo di ripetere, prima della partenza, a mo' di mantra propiziatorio per tempi migliori il titolo di questo post. Suona più o meno come "Trentatrè trentini", ma ha in più quell'idea avventurosa e liberatoria che dà il balzare su un treno in corsa senza sapere dove porterà.

giovedì 1 aprile 2010

L'Aprile!

"E mi sembrava quasi un'eternità
che non salivo scalza sopra quel glicine
in penombra ti guardavo dormire
nei capelli tutti i nidi d'aprile"

(I venti del cuore, M. Bubola - P. Fabrizi)

Scusate, lo so che questa è una botta di egocentrismo, ma che ci posso fare se il mese di nascita è una delle pochissime cose che non cambierei?
Saluti folli, luminosi, scostanti e piovosi... come l'Aprile!
E tanti auguri a Moki, che non è affatto un pesce, ma direi, piuttosto, una tigre della Malesia...

lunedì 29 marzo 2010

Se una mattina io...

... colta da improvvisa follia prendessi l'inaspettata decisione di metter piede da una parrucchiera, probabilmente mi farei rossa e riccia come Fiorella Mannoia. Temo che l'effetto sarebbe più simile al Cappellaio Matto di Johnny Depp-Tim Burton che alla splendida donna che sabato sera, finalmente, siamo riuscite ad ascoltare dal vivo al Regio; ma questi sono dettagli. Confermo che l'età che sussurrava a mezza voce (e, immagino, con una certa invidia) la vicina di palco di Dani è corretta: la signora ha quasi 56 anni. Li compirà il 4 aprile (e la cosa, capirete, mi lusinga abbastanza); però, accidenti, che stile: misurata, sinuosa, elegante, vitale (Costi direbbe "principesca"), decisamente bella da guardare oltre che da ascoltare. Voce calda di sole e velluto, limpida, precisa, a volte bassa quel tanto che basta per inerpicarsi in un Paolo Conte d'annata e alzare due dita di pelle d'oca. E poi, va bene che è "solo" un'interprete, però credo sia un merito non da poco saper scegliere (o farsi scegliere da) canzoni profonde e poetiche che raccontano storie mai banali e regalano parole che è bello rievocare al momento del bisogno. Infondo è grazie a lei (con buona pace del bravo Bubola) se un cielo primaverile, per noi, è ormai un cielo d'Irlanda di nuvole e luce; se abbiamo imparato a sognare... i sognatori che aspettano la primavera e a volare sopra i deserti; se siamo dolcemente complicate - e non solo paranoiche - e se possiamo dire la nostra sugli uomini senza l'aggiunta di quintali di melassa. Grazie, dunque, per la serata, signora Fiorella e, speriamo, a presto; magari un po' più da vicino...

PS: mi sa che è il caso di aprire in fascia sinistra una sezione "le ciose ascoltano". Comincerò con gli autori inseriti in "Las Ciosas Compilation 2007", ma prego tutte quante di rimpolpare la lista.
Saluti musicali.