lunedì 11 ottobre 2010
La strana solitudine dei matematici
Per una di quelle coincidenze che capitano ai lettori non occasionali, mi sono ritrovata ad affrontare, uno dopo l'altro, due libri che hanno a che fare con la matematica. Sto parlando de "La solitudine dei numeri primi" di Paolo Giordano, prestatomi da Costi, e de "Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte" di Mark Haddon, frutto di uno scambio con la vulcanica presidentessa di quella specie di circolo di lettura che frequento da circa un anno. Come avrete notato quando ci tocca dividere il conto della pizzeria, io ho un pessimo rapporto con la matematica, mia bestia nera a scuola, tanto che il mio insegnante di scienze alle superiori voleva regalarmi un pallottoliere. Temo, però, che il problema sia endemico tra le ciose, sebbene tra noi compaiano un ingegnere, una biologa e un'economista (le ultime due, a dire il vero, hanno scelto di fare altro nella vita). Per non parlare dei mariti/fidanzati, tra i quali prevalgono gli studi scientifici. Con loro, in particolare, mi scuso per la faziosità di questo post. Tornando ai libri dirò che non sono niente male: originali e ben scritti. In entrambi la matematica diventa un pretesto per guardare il mondo con occhi nuovi, oltreché una fonte di esempi, immagini e metafore tutt'altro che scontate. In entrambi, in particolare, i numeri primi diventano simbolo dell'alterità dei protagonisti: ragazzi a dir poco problematici. Immagino che gli autori abbiano scelto volutamente dei personaggi "al limite" per rappresentare in maniera eclatante le difficoltà che tutti incontriamo nella vita, nei rapporti con gli altri, nell'accettazione di una realtà spesso dura e alienante, zeppa di finzioni e compromessi; credo anche che la matematica, almeno nelle intenzioni, sia stata scelta come portatrice di valori positivi di ordine e razionalità, che aiuta, in qualche modo, queste sventurate creature a crearsi faticosamente un equilibrio. Forse, però, non si sono resi conto che, essendo il protagonista (o meglio, coprotagonista) della "Solitudine", un giovane autolesionista e quello de "Lo strano caso" un ragazzino autistico, tutti e due geni della matematica, la materia, alla fine, non ne esce benissimo... Il primo, oltretutto, rinuncia al grande amore della vita (o alla cosa che più gli somiglia) per rituffarsi nel suo algido tran tran di professore alllietato, forse, da un'amica occasionale. Certo, non si pretendeva l'happy end: in un contesto simile sarebbe stato quasi ridicolo. Il secondo, almeno, riesce a risolvere il giallo del titolo con tanto di colpo di scena e a superare un test d'ammissione all'università, ma mi piacerebbe sapere che bisogno c'era di piazzare una bella bestemmia in corso di testo. Insomma, i libri sono belli, ma se gli autori avevano intenzione di utilizzarli, tra le altre cose, per suscitare la passione, o comunque la curiosità per la matematica, temo abbiano sbagliato i conti: infatti ne esce un ritratto desolante dei cultori di questa materia che devono essere, come minimo, dei disadattati con manie distruttive ed autodistruttive e una decisa propensione all'infelicità. Grazie al cielo so che non è così, ma d'ora in avanti, se permettete, mi vergonerò un po' meno di contare ancora sulle dita.
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