mercoledì 27 luglio 2011

Come uccidere la fantasia (prima lezione)

Eviterò di lamentarmi del freddo anomalo. Dirò soltanto che se becco un altro meteorologo che mi parla di "giornata interlocutoria", lo strozzo. Vi racconterò, invece, una scenetta capitata un paio di giorni fa nel parcheggio di fronte all'ufficio.
Saranno state le 19.30. Mentre andavo a riprendere la macchina per tornare a casa, sotto il solito cielo bigio, incrocio una donna che passeggia con un bimbetto per mano, piccolo ma non troppo.
Proprio quando passo loro accanto il bimbetto si ferma, punta un dito verso terra ed esclama: "Mamma, guarda, ci sono tanti diamantini!". La mamma butta un occhio e si trascina dietro il figlio replicando apprensiva: "Ma no, non vedi che sono solo vetri rotti? Non toccare che ti fai male!".
Se la signora si fosse fermata a guardare si sarebbe accorta che erano vetri d'automobile, piccoli e squadrati, fatti apposta per fare meno danno possibile quando si rompono. Quindi, se il pargolo avesse allungato una mano, difficilmente si sarebbe tagliato. E avrebbe visto anche che, effettivamente, erano belli: un mucchietto azzurrino e luccicante sul grigio dell'asfalto.
Mi sarebbe molto piaciuto, allora, se avesse detto al figlio: "In realtà sono pezzi di vetro, forse di un automobile; però hai ragione, sai: sono belli, sembrano proprio pietre preziose". Se poi si fosse addirittura chinata a raccoglierne uno con circospezione, per insegnare al bambino come toccarli senza danni, forse avrebbe potuto, con poche parole, spiegargli diverse cosette: anzitutto che si può distinguere tra realtà e fantasia senza sminuire né l'una né l'altra; poi che le cose belle possono nascondersi dappertutto, anche tra gli scarti, e restano comunque belle, persino se non hanno alcun valore economico o utilità pratica; infine, persino che molte cose belle vanno trattate con cautela per evitare di fare o farsi del male. Vi pare poco?
Intendiamoci, io la capisco la signora, che di certo avrà avuto il suo daffare e non aveva la benché minima intenzione di trascorrere la serata al pronto soccorso. Comunque li avevo visti anch'io quei vetri rotti. E ammetto di aver pensato esattamente la stessa cosa che ha detto il suo bambino. Soltanto che ho 33 anni! E' grave?

mercoledì 20 luglio 2011

Cerco l'estate tutto l'anno...

…e all’improvviso eccola qua!! Stavolta la citazione della canzone c’è, volutamente. Siccome non riesco, ahimè, a commentare gli ultimi post pubblicati su questo blog, tenterò di fare un po’ un resoconto, in pratica, dato che non sono un genio in scrittura, un "megasproloquio" che raccolga le impressioni che avrei voluto esprimere attraverso brevi, quindi meno invasivi, commenti. Abbiate pazienza…
Innanzitutto volevo ringraziare in modo particolare la Cri e tutti gli amici del pollaio che in qualche modo hanno reso “pubblico” il mio lieto evento (anche se forse per scaramanzia dovrei aspettare a parlarne..) e mi sono stati vicini con consigli, domande, proposte in questi primi quattro mesi.
Devo dire anche che, nonostante la nausea non mi abbia ancora abbandonata, non ho perso del tutto l’appetito quindi potrei tornare presto alla carica con nuove ricette, magari quelle che mi sono inventata per adeguare i piatti della tradizione alle esigenze del carico gravidico..
Intanto, per riallacciarmi al titolo del post, anche quest’anno è arrivata l’estate. Un’estate, per fortuna, anomala dal punto di vista climatico, dato che stamattina sono uscita di casa con sciarpa e golfino. Meglio così; quest’anno più che mai temevo l’arrivo di questa stagione, soprattutto, proprio perché sono diventata più sensibile, temevo in egual misura tanto il caldo torrido quanto gli sbalzi di temperatura causati dall’abuso di condizionatori non appena si entra in un negozio, supermercato o sala d’attesa di un ambulatorio… E pensare che l’estate mi è sempre piaciuta, complici le vacanze, da scuola e dal lavoro, anche adesso, per fortuna. Forse perché ho in mente anch’io, come ricordava Cri recentemente, certi pomeriggi lunghi e soleggiati passati a leggere un libro, a guardare un vecchio film alla tv (d’estate ogni tanto ne fanno vedere ancora) o a sfogliare un album di vecchie fotografie e perdersi nella nostalgia di quei ricordi… In fondo posso ritenermi fortunata perché, dopotutto, sto rivivendo, seppur in maniera diversa, la magia di quei pomeriggi, dopo anni in cui anche d’estate mi costringevo a star chiusa in casa per studiare e preparare gli esami di settembre, oppure a correre in piscina per un’ora di acquagym ((?)neanche mi ricordo come si scrive!) nel tentativo di inseguire una forma fisica a cui ho rinunciato comunque da anni… Quest’anno più che mai, gioco forza, anche se un po’ di movimento non farebbe male, me ne sto volentieri in casa a leggere quei libri che durante l’anno non ho avuto tempo di leggere, a svuotare armadi, a sistemare fotografie, disegni, vestiti, oggetti che fanno parte di una vita e ne immortalano il ricordo. E se si tornerà a sudare un po’, pazienza! Mi rifugerò presto in montagna a respirare (spero) un po’ d’aria fresca.
Auguro a tutte di trascorrere una bella estate, perché vale la pena di viverla e gustarla come tutte le stagioni del nostro vivere!

giovedì 14 luglio 2011

Case chiuse

Che avete capito?! Non ho intenzione di parlare di luoghi di (presunto) piacere, né di mondane d'altri tempi; ma, letteralmente, di quelle case che restano chiuse per molti mesi all'anno e, in genere, vengono riaperte d'estate. Seconde case, insomma. Al mare, in montagna, in collina: ereditate dai nonni o acquistate con pochi risparmi per garantirsi una solida via di fuga dalla città. Chiuse sì, ma non disabitate, perché durante l'assenza degli inquilini umani, diventano rifugio accogliente per muffe variopinte, che chiedono asilo politico agli angoli dei muri, e per una varia accolita di bestiole che vanno dalla blatta al millepiedi, passando per inquietanti scorpioni e ragni fuori ordinanza; per non parlare degli acari, che costruiscono popolose metropoli nell'umido dei materassi di lana, e dei condomini di tarli. Persino la casa, quando è chiusa, si prende delle libertà: appena ve ne andate tira un sospiro di sollievo e ovunque fioriscono crepe e nevicano fiocchi di vernice e intonaco. E tutta questa vitalità non si dilegua al primo sole: va scacciata con metodo e pazienza, per renderla di nuovo abitabile, e ne resta sempre un poco nascosta da qualche parte. Eppure queste case hanno fascino. Sospetto sia merito del mobilio spaiato, che viene da altre case e da altre epoche. Facendo lo stemma codicum di ogni frammento si può ricostruire la storia di una famiglia: l'armadio del nonno, il letto che mamma acquistò col suo primo stipendio, il baule coi libri delle prozie. Insomma, queste case sono per gli oggetti (e i ricordi) un'ancora di salvezza prima del diluvio.
Per questo mi piacciono, anche se, a prima vista, paiono scomode e poco eleganti; anche se "sanno di vecchio". Perché questo odore dimesso e sconosciuto ai figli della "generazione ikea" è stato, da sempre, parte della mia estate. E vorrei che continuasse ad esserlo ancora per un po', per quanto sia difficile. Incrociate le dita, per favore.

venerdì 8 luglio 2011

(Sacre?) Scritture

Gran bella cosa le rassegne estive degli ultimi cinema indipendenti rimasti! Si può recuperare quel che si è perso e, magari, con la scusa degli sconti, concedersi anche qualche film che non saresti andata a vedere e poi goderti, più del film, l'annesso incontro con l'autore, l'attore o il regista di turno. E' capitato la scorsa settimana con "La donna della mia vita" e "Notizie degli scavi".
Nel primo caso a parlare c'era il regista, Luca Lucini, milanese, rilassato, informale; nel secondo l'attore, Giuseppe Battiston, friulano, arguto, meno pacioso di quanto il suo aspetto faccia pensare.
Immagino non abbiano molto in comune. Lucini ha fatto anni di videoclip e pubblicità, prima di passare ai lungometraggi con il famigerato "Tre metri sopra il cielo"; Battiston si è - parole sue - "fatto un mazzo così" col teatro e, nonostante i recenti successi, ci tiene a sottolineare la sua distanza dall'orda di giovani attori (alcuni anche bravi, però) usciti dai talent show e dalla fiction.
Eppure, senza saperlo, parlando da due punti di vista diversi di due film diversi, hanno detto una cosa uguale. Entrambi, infatti, hanno sottolineato l'importanza della scrittura come elemento fondamentale per fare un buon film.
Lucini ha affermato che si fida poco dei registi che fanno anche gli sceneggiatori, perché è giusto rispettare i ruoli e le capacità di ciascuno. Battiston ha osservato quanto è stato utile per lui poter contare su una sceneggiatura fedele al testo da cui è stato tratto il film (un racconto di Lucentini), anche per distaccarsene...
Di film m'intendo poco ma di scrittura un po' mi occupo, per lavoro e per passione. E non è certo una novità notare quanta sciatteria e quanta omologazione s'incontra oggi in molto di ciò che si legge (e si ascolta). La maggior parte dei testi che girano in internet, ad esempio, sono frutto di copia-incolla, talvolta talmente palesi che i "ladri" nemmeno si preoccupano di cambiare qualche parola. Della quantità di refusi che girano persino nei libri e sui quotidiani ho sproloquiato altrove; ma anche nei telegiornali mi pare non si faccia nessuno sforzo per dare il giusto tono ad ogni notizia ed evitare frasi fatte, banalità e ripetizioni.
Il fatto è che il lavoro di scrittura è ritenuto, dopotutto, una cosa di scarso valore. Non sto parlando, per carità, di arte, nemmeno di giornalismo romanticamente inteso, ma di artigianato, che va dai volantini pubblicitari ai comunicati stampa, passando per i ghost writer che danno una forma accettabile ai discorsi dei politici e ai libri dei calciatori. Autori anonimi (ai quali più o meno anch'io appartengo) che, però, scrivono l'80% di ciò che leggiamo e sentiamo ogni giorno e, spesso, si fanno un mazzo così... O forse no, visto che, infondo, una penna vale l'altra: quel che importa è che sia veloce, economica, non chieda troppe spiegazioni e se ne stia nascosta nell'affollato dietro le quinte della comunicazione.
Giusto ieri sera, a Superquark, il caro Piero (Angela) ha intervistato Tullio de Mauro, il quale ha dichiarato che in Italia ci sono ancora 2 milioni e mezzo di analfabeti e un buon 50% della popolazione è al di sotto dello standard minimo per quanto riguarda le capacità di scrittura e comprensione di un testo. Come è possibile, se quasi tutti pare abbiano un libro nel cassetto e spuntano da ogni parte case editrici telematiche disposte a pubblicarlo?
Credo che le cose siano collegate: più quel che si legge è sciatto,tutto uguale, privo di profondità, più ci si sente autorizzati a scrivere ciascuno il proprio capolavoro; più il livello della scrittura "quotidiana" si abbassa, più finisce col perdere di valore e di interesse e alla fine, passata l'euforia, si smette di leggere e di scrivere e ci si dimentica come si fa. Esagero? Certo, è un mio difetto, e nemmeno il peggiore...
Eppure, pensandoci, proprio noi italiani, analfabeti di ritorno, siamo figli di una delle religioni chiamate religioni del libro, nelle quali la scrittura ha sempre avuto un valore fondamentale, sacro, perché ha permesso di fissare e tramandare la parola di Dio. Non so a voi, ma a me fa abbastanza impressione quando penso che nella Bibbia - "ta Biblia": i libri, semplicemente - si racconta che Dio crea il mondo con la parola (è egli stesso parola, dice Giovanni), dà all'uomo il potere di dare un nome alle cose e, persino, si prende la briga di incidere di suo pugno sulla pietra i comandamenti.
Mi pare fosse Tolkien che affermava che l'uomo, inventando e scrivendo storie, infondo, continua l'opera creatrice di Dio. Ora, capisco che è difficile pensare a tutto questo mentre si scrivono dieci righe di resoconto sulla sagra della torta fritta a Vattelapesca, o si sintetizza un'ordinanza comunale, però avere almeno ogni tanto un brividino lungo la schiena, un sussulto di dignità, farebbe a tanti mestieranti delle (profane) scritture, un gran bene.
Basta adesso, se no rischio un fulmine per le probabili eresie e un cazziatone da voi per avervi annoiate a morte. Scusate!