venerdì 8 luglio 2011

(Sacre?) Scritture

Gran bella cosa le rassegne estive degli ultimi cinema indipendenti rimasti! Si può recuperare quel che si è perso e, magari, con la scusa degli sconti, concedersi anche qualche film che non saresti andata a vedere e poi goderti, più del film, l'annesso incontro con l'autore, l'attore o il regista di turno. E' capitato la scorsa settimana con "La donna della mia vita" e "Notizie degli scavi".
Nel primo caso a parlare c'era il regista, Luca Lucini, milanese, rilassato, informale; nel secondo l'attore, Giuseppe Battiston, friulano, arguto, meno pacioso di quanto il suo aspetto faccia pensare.
Immagino non abbiano molto in comune. Lucini ha fatto anni di videoclip e pubblicità, prima di passare ai lungometraggi con il famigerato "Tre metri sopra il cielo"; Battiston si è - parole sue - "fatto un mazzo così" col teatro e, nonostante i recenti successi, ci tiene a sottolineare la sua distanza dall'orda di giovani attori (alcuni anche bravi, però) usciti dai talent show e dalla fiction.
Eppure, senza saperlo, parlando da due punti di vista diversi di due film diversi, hanno detto una cosa uguale. Entrambi, infatti, hanno sottolineato l'importanza della scrittura come elemento fondamentale per fare un buon film.
Lucini ha affermato che si fida poco dei registi che fanno anche gli sceneggiatori, perché è giusto rispettare i ruoli e le capacità di ciascuno. Battiston ha osservato quanto è stato utile per lui poter contare su una sceneggiatura fedele al testo da cui è stato tratto il film (un racconto di Lucentini), anche per distaccarsene...
Di film m'intendo poco ma di scrittura un po' mi occupo, per lavoro e per passione. E non è certo una novità notare quanta sciatteria e quanta omologazione s'incontra oggi in molto di ciò che si legge (e si ascolta). La maggior parte dei testi che girano in internet, ad esempio, sono frutto di copia-incolla, talvolta talmente palesi che i "ladri" nemmeno si preoccupano di cambiare qualche parola. Della quantità di refusi che girano persino nei libri e sui quotidiani ho sproloquiato altrove; ma anche nei telegiornali mi pare non si faccia nessuno sforzo per dare il giusto tono ad ogni notizia ed evitare frasi fatte, banalità e ripetizioni.
Il fatto è che il lavoro di scrittura è ritenuto, dopotutto, una cosa di scarso valore. Non sto parlando, per carità, di arte, nemmeno di giornalismo romanticamente inteso, ma di artigianato, che va dai volantini pubblicitari ai comunicati stampa, passando per i ghost writer che danno una forma accettabile ai discorsi dei politici e ai libri dei calciatori. Autori anonimi (ai quali più o meno anch'io appartengo) che, però, scrivono l'80% di ciò che leggiamo e sentiamo ogni giorno e, spesso, si fanno un mazzo così... O forse no, visto che, infondo, una penna vale l'altra: quel che importa è che sia veloce, economica, non chieda troppe spiegazioni e se ne stia nascosta nell'affollato dietro le quinte della comunicazione.
Giusto ieri sera, a Superquark, il caro Piero (Angela) ha intervistato Tullio de Mauro, il quale ha dichiarato che in Italia ci sono ancora 2 milioni e mezzo di analfabeti e un buon 50% della popolazione è al di sotto dello standard minimo per quanto riguarda le capacità di scrittura e comprensione di un testo. Come è possibile, se quasi tutti pare abbiano un libro nel cassetto e spuntano da ogni parte case editrici telematiche disposte a pubblicarlo?
Credo che le cose siano collegate: più quel che si legge è sciatto,tutto uguale, privo di profondità, più ci si sente autorizzati a scrivere ciascuno il proprio capolavoro; più il livello della scrittura "quotidiana" si abbassa, più finisce col perdere di valore e di interesse e alla fine, passata l'euforia, si smette di leggere e di scrivere e ci si dimentica come si fa. Esagero? Certo, è un mio difetto, e nemmeno il peggiore...
Eppure, pensandoci, proprio noi italiani, analfabeti di ritorno, siamo figli di una delle religioni chiamate religioni del libro, nelle quali la scrittura ha sempre avuto un valore fondamentale, sacro, perché ha permesso di fissare e tramandare la parola di Dio. Non so a voi, ma a me fa abbastanza impressione quando penso che nella Bibbia - "ta Biblia": i libri, semplicemente - si racconta che Dio crea il mondo con la parola (è egli stesso parola, dice Giovanni), dà all'uomo il potere di dare un nome alle cose e, persino, si prende la briga di incidere di suo pugno sulla pietra i comandamenti.
Mi pare fosse Tolkien che affermava che l'uomo, inventando e scrivendo storie, infondo, continua l'opera creatrice di Dio. Ora, capisco che è difficile pensare a tutto questo mentre si scrivono dieci righe di resoconto sulla sagra della torta fritta a Vattelapesca, o si sintetizza un'ordinanza comunale, però avere almeno ogni tanto un brividino lungo la schiena, un sussulto di dignità, farebbe a tanti mestieranti delle (profane) scritture, un gran bene.
Basta adesso, se no rischio un fulmine per le probabili eresie e un cazziatone da voi per avervi annoiate a morte. Scusate!

Nessun commento: