mercoledì 20 agosto 2014

A Cremona senza violini e senza torrone

Che a noi ci piace essere originali e distinguerci dalla massa dei turisti intruppati a percorrere gli itinerari stabiliti infarciti di luoghi comuni.
Ehm, no, in realtà non è andata proprio così...
Nonostante quest'anno pare sia più facile organizzare un G8 che far coincidere i rispettivi giorni di ferie e farne uscire una vacanza, almeno al gitino di ferragosto non si poteva rinunciare.
Scoraggiate da previsioni meteo più variabili del mio umore nei giorni peggiori, abbiamo abdicato all'idea di un picnic sperso in Appennino e abbiamo ripiegato per la classica città d'arte, vicina ma a noi pressoché sconosciuta: Cremona. Con le opportune divagazioni, ovviamente.
Imbarco Dani alle 8.15, pensando a quanto starà gongolando nel frattempo Costi che, per una volta, non dovrà calare verso Parma per ritrovarci e partire, ma, vista la meta, verrà recuperata direttamente sulla sua nuova soglia di casa, ammesso e non concesso di ricordare come arrivarci!
Superata la prima prova, ci dirigiamo da lei guidate, verso Busseto e, da lì, sconfiniamo nel piacentino in cerca di Sant'Agata: la dimora più amata da Verdi, spirito romantico e anima concreta di contadino.
Quando la troviamo siamo le sole a turbare la passeggiatina della distinta signora che, scopriremo di lì a poco, ci farà da guida, e la sacrosanta pigrizia ferragostana di un giovanissimo bigliettaio riccioluto, che ci accoglie comunque sorridendo. E sempre da sole ci godiamo la visita guidata alle poche stanze aperte al pubblico (nella villa ancora abitano gli eredi del Maestro) e al grande giardino con tanto di laghetto, sormontato da un ponticello orientaleggiante degno di un quadro di Monet, grotta finta, boschetto di banani ed eleganti sedie in ferro smaltate di bianco, anch'esse d'epoca.
Nelle stanze ci colpiscono, a parte la rigogliosa collezione d'acari che mette alla prova me e Dani, i libri in lingua originale, i dagherrotipi e le statuine napoletane racchiuse in campane di vetro, talmente gozzaniane da commuovermi; la scrivania strategicamente disposta di fronte al letto nella camera di Verdi, in caso di ispirazioni notturne, le valigie e le cappelliere di cuoio con le sbiadite etichette degli hotel, una lettera di Cavour e un cappello pieghevole da viaggio. Invidiamo anche i set di ceramica in dotazione agli hotel, confrontandoli con la prosaicità delle saponettine e cuffiette da doccia dei tempi nostri, salvo realizzare che gli oggetti in ceramica sarebbero un po' più scomodi da ficcarsi in valigia...
Entriamo in Cremona dalla parte del Po e ci concediamo un necessario caffè e una passeggiata nel parco lungo il fiume, rapido e grigio per le piogge di questa assurda estate. È mezzogiorno e ci sono già famigliole impegnate in succulenti picnic. Tra il verde aleggia un vago sentore di grigliata, di cui ci tratteniamo a stento dall'individuare la fonte. Arriviamo, invece, fino alle ex Colonie Padane, ennesimo esempio di "luogo perduto": architettura palesemente fascista, ma con un che di morbido e marino, che rende bella persino l'architrave monumentale che separava l'edificio principale da quelle che un tempo erano piscine. Ci aggiriamo nell'italico abbandono, condividendo la solitudine con enormi oche, tartarughe e un paio di gatti, unici abitanti del luogo ai quali una coppia di attempati sposini porta da mangiare. E anche noi pensiamo che è ora di raggiungere il centro e, magari, trovare un ristorante.
La città è piacevolmente semideserta e, dopo un paio di tentativi, adocchiamo in un borghetto che dà sulla piazza principale i promettenti tendoni di una trattoria. Ci va bene e, quando decidiamo di rimetterci in moto, pensiamo che è il caso di posticipare la salita dei 502 gradini del Torrazzo, l'altissimo campanile, simbolo di Cremona, a una fase digestiva più avanzata ed entriamo nel Battistero. La forma ottagonale e il marmo rosa lo rendono assai famigliare a noi parmigiane. Lo stesso vale per il Duomo, con i suoi echi romanici all'esterno, i leoni rosati a sostenere le colonnine del protiro e le decorazioni cinquecentesche all'interno.
Alla fine ci decidiamo ad annaspare in cima al campanile, dove ci accoglie una vista della città e della piana verde che la circonda. Un'ansa del Po luccica tra gli alberi e, mentre riprendiamo fiato, assistiamo al siparietto di una allegra famigliola nella quale, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe, è la madre che insiste: "Dai, su, facciamoci un altro 'selfie'!" mentre il figlio cerca invano di dissuaderla.
Discendiamo mettendo a dura prova i nostri polpacci: mai sentito il detto "Bisogna mettere il freno alle galline" per indicare un percorso particolarmente ripido? Ecco, qualcosa del genere...
Abbandoniamo la splendida piazza, che nel frattempo si va riempiendo di turisti e famigliole cremonesi, e puntiamo, finalmente, al museo del violino. E qui cominciano i problemi. Le nostre cartine, vecchie di qualche anno, nominano un "Museo stradivariano", mentre i cartelli turistici lungo le strade parlano di un "Museo del violino", ovviamente in due direzioni diverse.
Ci fermiamo a riflettere sulla panchina di un bel parco, vicino alla fermata del trenino che porta a spasso i bambini. Per un attimo meditiamo di dirottare il suddetto trenino e farci portare là dove vorremmo andare; poi, per fortuna, il buonsenso ha la meglio e abbordiamo una panchina di vecchiette ciarliere chiedendo lumi. La più anziana ci dà, convinta, indicazioni precise; seguendole ci ritroviamo in effetti davanti a un museo musicale, peccato che abbia appena chiuso. Dal portone accostato se ne esce uno smilzo custode in bicicletta, che ci spedisce più o meno da dove siamo venute.
Ed eccolo, finalmente, il Museo del violino! L'edificio ha l'aria di essere stato restaurato di fresco e ci si presenta con un'ampia piazza, un enorme violino-scultura e un altrettanto enorme uomo fatto tutto di note, entrambi metallici. Peccato che il museo non sia altrettanto accogliente: quello pure è in chiusura e non c'è tempo nemmeno per una visita veloce.
Ci coglie un attacco di mestizia e pensiamo di consolarci nella più pura tradizione ciosesca: ovvero, torniamo in piazza e ci prendiamo un solenne coppone di gelato in un locale con i tavolini all'ombra del Torrazzo, che avevamo adocchiato fin dal mattino.
Però, almeno un torrone a mo' di souvenir riusciremo a portarcelo a casa?
Pare di no: le sfiziose gastronomie e pasticcerie che incontriamo per la strada, infatti, hanno giustamente deciso di festeggiare il Ferragosto e l'unico negozietto aperto è un bazar ad uso turistico che vende di tutto e di più, compresi torroni al prezzo di tartufi d'Alba o giù di lì.
Pazienza. Sono quasi certa che se frugo in ripostiglio dovrei riuscire a trovare uno Sperlari rimasto dalle passate festività ancora in  ottime condizioni. D'altronde, come dice Costi, e come ormai tutti voi lettori di questo blog sapete bene... dopo ferragosto è già Natale!
Saluti croccanti e mandorlati.

mercoledì 6 agosto 2014

Gandalf & le galline

Per la serie "Galline al cinema", o, nel caso specifico, "Galline nel backstage", guardate che bella questa foto: è sir Ian McKellen, 75 anni, centinaia di ruoli all'attivo tra cinema e teatro, tra cui, appunto, Gandalf nel Signore degli anelli, "beccato" in una pausa della registrazione del suo prossimo film, nel quale interpreterà, se non ho capito male, nientemeno che Sherlock Holmes.
Sarò un po' di parte, ma lo trovo delizioso...