martedì 22 febbraio 2011

Viaggiare da fermi

Alzi un'ala chi di voi, galline mediamente sedentarie, sa che esiste la Val d'Itria. No, tranquille, fino alla settimana scorsa nemmeno io, ancor più sedentaria, sapevo che ci fosse né tantomeno dove fosse (in Puglia, al confine tra le province di Brindisi, Bari e Taranto); né sapevo che, dall'altra parte d'Italia (in Trentino), ci fosse una Valle d'Anterselva, incastrata tra Dolomiti e Alpi; oppure un paese in provincia di Rieti (Accumuli) dove d'inverno fa freddo quanto a Dobbiaco. Queste e altre storie (o geografie?), purtroppo, non le ho imparate viaggiando, ma inchiodata alla scrivania dell'ufficio, trascrivendo con pazienza una serie di interviste a salumieri. Cosa ne sarà delle schede che ne ho ricavato ancora non lo so, ma, anche se mi è costato dieci giorni di lavoro e, visto l'argomento, parecchi attacchi di fame, è stato piuttosto divertente. A parte aver colmato alcune delle mie mostruose lacune in geografia, è stato bello sentire la voce di queste persone a me totalmente sconosciute che parlavano con tutti gli accenti: dall'altoatesino di madre lingua tedesca, che ricordava vagamente il papa, al sardo che pare scandisca le sillabe una per una, centellinandole come un vino d'annata. In bocca a questi artigiani persino le cadenze del centro Italia, sempre un po' in bilico tra il burino e lo snob, erano come ripulite e addolcite dall'aria dell'entroterra (la stessa che serve a stagionare i salumi). Così ecco un toscano limpido con "c" aspirate delicate come carezze e un umbro-laziale schietto, senza fronzoli. Non è stato poi difficile, ascoltandoli, immaginare paesi dove non ho mai messo piede e provare a descriverli, anche se, ovviamente, avrò preso qualche cantonata. Perché chi ha a che fare con la terra, agricoltori, allevatori, ma anche, a loro modo, salumieri, è ancora capace di raccontartela. E perché l'italiano regionale e, a maggior ragione, il dialetto è una cosa più seria di quello che ci racconta il misero spot Rai in onda in questi giorni. Ho ricordi sempre più remoti dei miei studi, ma so per certo che i "fantastici tre", padri della lingua italiana - Dante, Petrarca e Boccaccio - la inventarono a partire dal loro dialetto, ma anche saccheggiando da quelli di altri luoghi d'Italia parole che dovevano sembrar loro belle e non troppo straniere, creando un'unità letteraria e culturale precedente di secoli quella politica, che qualcuno ancora oggi si affanna a negare. E questo non lo dico io, l'hanno affermato, tra gli altri, Napolitano e Benigni. Tornando alle mie schede su salumi e salumieri, ribadisco che mi piace viaggiare così: prima coi racconti e dopo, magari, con i piedi. Perché anche i luoghi in apparenza più banali si caricano di senso. Quindi non è escluso che in qualcuno di questi posti spersi su e giù per lo stivale, io prima o poi ci arrivi davvero, magari proprio il 17 marzo. Alla faccia di Bossi e della Marcegaglia.

2 commenti:

Benedetta Gargiulo ha detto...

Bellissimo post. Mi hai fatto staccare per un attimo dalla mia triste postazione di lavoro. E pensa che se alzo gli occhi dal computer, io vedo il mare. Ma la forza della narrazione è tutt'altra cosa.

P.S. La valle d'Itria, detta anche valle dei trulli, la conosco bene, e mi è venuta un'istantanea voglia di sdraiarmi sotto un ulivo e addormentarmi col frinire delle cicale.
SIGH

Cri ha detto...

Eh, però, anche tu, non puoi dirmi certe cose! Parlarmi di mare e di Trieste proprio oggi che ho poca voglia di lavorare e, coerentemente con il finale del post, mi son messa a cercare mete per il ponte di marzo! Sempre ammesso di avere le ferie e trovare qualcuno che mi accompagni. Però ti ringrazio per i complimenti: sei gentile. Quanto alla Val d'Itria, purtroppo, conosco poco il sud e quel pezzo di Puglia mi manca. Spero di rimediare...