venerdì 27 gennaio 2012

Sono un po'... "scossa"

E quindi m'è venuto un pensiero balzano:
non fanno che ripeterci che dobbiamo stare con i piedi per terra,
ma visto che la terra stessa, talvolta, ci trema sotto i piedi,
tanto vale rimanere con la testa tra le nuvole!

lunedì 23 gennaio 2012

In bianco e nero

Ieri domenica indoor. Colta da un raro attacco di "messapostite acuta" mi sono accosciata davanti alle due ante basse del mobile accanto alla scrivania in camera mia e ho tentato di fare ordine. Inutile dire che ne è uscito di tutto: le scatole dei colori che non uso più (acrilici, tempere, per stoffa, per vetro...), borsette, musicassette, lettere e cartoline (praticamente dei reperti archeologici!) e, udite udite, due intere pile di fotografie. Le più "antiche" risalgono alle medie, le più recenti all'estate scorsa. Mi sono rivista con la frangia e l'apparecchio (terribile!), mi son fatta venire il magone riguardando le foto di Camaldoli 2003 e di tutto quel che ne è seguito; mi sono ritrovata al Louvre con alle spalle la nike di Samotracia, eccetera eccetera. Tranquille, ve le risparmio.
Pubblico, invece, un "documento" storico, gelosamente custodito nell'album di famiglia dei miei. E' uno struggente bianco e nero degli anni '30. La spiaggia dovrebbe essere quella di Monterosso. Al centro, perfettamente vestito e con tanto di ombrello (chissà se anche lui, come me, se lo portava appresso in ogni stagione...), c'è il mio bisnonno, che rispondeva al sorprendente nome di Villibaldo, alla sua destra c'è mia nonna, a sinistra, con la camicetta bianca smanicata, sua sorella, la mia prozia, entrambe giovani, sorridenti e pettinate esattamente come le dive dell'epoca di cui collezionavano le cartoline. Attorno a loro amici a me ignoti di un'estate d'anteguerra.
La pubblico perché mi piace pensare che questa vecchia immagine diventi un pugno di pixel e si metta a viaggiare per la rete. Perché io ho ereditato da loro questa foto e forse nessuno erediterà le loro e le mie e questo, dopotutto, mi dispiace. Non è questione di vanità, ma di memoria. Perché "siamo il frutto della nostra storia", ma "a volte le storie che non riusciamo a raccontare sono proprio le nostre... Quando una storia viene raccontata non può essere dimenticata, diventa qualcos'altro: il ricordo di ciò che eravamo, la speranza di ciò che possiamo diventare" (La chiave di Sarah, film di Gilles Paquet-Brenner tratto dal libro di Tatiana De Rosnay).

domenica 15 gennaio 2012

Contaminazioni

"Bisogna ridiventare classici mediante la natura, cioè attraverso le sensazioni" (Paul Cezanne)

Fanciulle piumate (e ospiti di passaggio), oggi vi propongo un piccolo esercizio: chiudete gli occhi e provate a visualizzare la Giuditta e Oloferne di Artemisia Gentileschi. Qualcuno più ferrato di me in storia dell'arte potrebbe giustamente obiettare: quale delle numerose versioni che la tostissima "pitturessa" realizzò? La più famosa: quella un po' splatter, con Oloferne di scorcio sul letto, Giuditta nell'atto di decapitarlo e la serva, un passo indietro, che lo tiene fermo. Fatto?
Bene. Ora, però, provate a immaginarla dipinta non con le pennellate morbide e praticamente invisibili dei maestri antichi, ma con le larghe macchie di colore e le forme geometrizzanti di Cezanne. E' dura, eh? D'accordo, ma con un po' d'impegno ci si può riuscire. Fatto?
Ebbene, ora un ultimo sforzo: provate a pensare il tutto animato in 3D, come i moderni cartoni animati... Fatto? Bravi!
Ecco, ora potete riaprire gli occhi e chiedermi, giustamente: Cri, ma tu, non sei astemia? Allora che diavolo hai combinato per farti venire queste idee strampalate?
Ehm, in realtà niente di grave. Come metà dei parmigiani, venerdì scorso, approfittando del giorno di festa per il patrono, mi sono imbarcata assieme a Dani su un treno per Milano, ma, anziché andar per saldi, come han fatto, suppongo, almeno metà dei suddetti concittadini in trasferta, siamo andate per mostre. E questo è il risultato.
Già perché a vedere nello stesso giorno i quadri di Artemisia, quelli di Cezanne e i bozzetti e le animazioni della mostra dedicata ai 25 anni della Pixar, si rischia di uscirne con tante immagini diverse (e a loro modo tutte belle) negli occhi e nella mente che basta un attimo a far confusione. E la sapete una cosa? E' piuttosto divertente!

giovedì 5 gennaio 2012

Maestre & galline... in dialetto!

Galline, buon anno! L'avevo promesso molto tempo fa a un lettore di passaggio, giunto qui attratto da una mia frase sul dialetto parmigiano, che prima o poi avrei pubblicato una poesia di qualcuno dei nostri autori dialettali. Oggi, grazie a un libro estorto al papà di Dani (grazie!), mantengo l'impegno. Anche perché ne ho trovata una deliziosa, che parla di una maestra, il mestiere prevalente tra le ciose, e a un certo punto la paragona proprio a una ciosa. Dunque è perfetta anche per continuare il nostro gioco delle galline famose.
Trascriverla è stata una faticaccia e non garantisco la precisione al 100%, ma chiedo venia.
Per i non parmigiani che passassero di qua e fossero curiosi, nei commenti tento una traduzione. Anche quella prendetela con beneficio d'inventario...
Buona lettura!

La mè méstra ‘d primma
(Renzo Pezzani, Bornisi)

- La siora Camilla? – La vcen’na la s’volta.
- Son mi. – Siora méstra, s’arcordla ‘d Pessani?
E am scord ch’j ò compì du mes fa quarant’ani,
perché la mè méstra l’è colla ‘d na volta

vestida ‘d coton bianc e nigh’r, al caplén
äd vlu con la piumma ch’a tremma, un pò pläda,
la facia csì smorta e scarabociäda
in simma a la fronta da tri rissolén.

Chi tri rissolén, tri caprissi ‘d cavì,
ch’i päron al compit de ses d’un ragass
copiè con l’inciost’r e la penna perrì;
al nastor äd seda ch’agh stricca al col pass;

il man sens’anei; la crozen’na d’argenta
ch’agh casca davanti p’r un fil äd coton,
l’ombrela p’r al sol fata su cme un baston…
La m’guärda e l’aspeta ch’agh torna in-t-la menta.

- Pessani? Mo sì ch’a m’arcord. Che sajetta,
che birba, e che cör! Una volta…
- la siora
Camilla la m’studia da dent’r e de ‘d fora,
la m’vedda putén ch’a portäva la bretta.

- T’arcordot? Na volta t’si gnu coi to amigh
in scöla, co’ un grill… mo in do l’ävet catè?
A s’eren in scöla e parev’n in-t-un prè.
T’arcordot, baloss? Ma v’ho miss in castigh.

Che omm te ‘t si fat!
– La m’ vrè fär una dmanda.
Sui labor pontù cmè s’la vriss därm un bäz,
se al Sgnör l’aviss fata na spana pu granda,
la gh’à na parola da dir, mo la täz.

- E mi ‘n son mäi städa na vecia ch’ brangogna -
Dardè l’vintai ‘d piss, cme von ch’ diz na bozia,
la ridda e la sconda na vampa ‘d vargogna.
- M’ha sempor piazù a zugär a la stria. -

Vestida cmè adessa a l’arcord la mè méstra
zugär coi putén, na puten’na ch’ se sconda,
ch’ la corra, ch’ la scapa, ch’ la ciama e risponda
cmè na rondanen’na cascäda in palestra.

- E pu che una mama, na ciossa coi spron,
tutt j ani coväva quaranta poien.
Sinquant’ani ‘d scola, domila putén.
Am capita ‘d spes d’inconträr’n un qualcdon. –


‘M l’arcord in-t-la classa, seduda là in simma
la catedra nigra scotäda da un fiör,
cantär l’alfabeto, la mè méstra ‘d primma.
Un coro e una vöza: dil pegri e ‘l pastör.

- Dill volti ch’a preg a vrè dir al rosäri,
e rugh dapartutt pär sercär la coron’na;
am sbali, mo ‘l Sgnor ch’al me senta al pardon’na,
a digh l’alfabeto dal me silabäri;

e ‘gh mett dent’r al cör e pregh anca pär ti. –

La siora Camilla la m’ guärda. Do pocci
äd lägormi, sotta a chi quator cavì,
agh föga chj ocett chi foräven cme il gocci.

- Ad colli i s’ n’è ‘ndè, a n’è mort con la guera!
e mi tutti i gioron j a vagh a catär
in fila cmé in scöla, quatè da la tera.
Impär una fola e ‘gh la vagh a contär…

Bisogna ch’a vaga a comprärem dal pan…
T’ho vist tant vlontera! Fatt veder pu ‘d spess. –

La siora Camilla la m’ slonga la man:
sinch did sens’anei ch’a sa ancora un po’ ‘d gess.

- Co’ fät! Mo sit mat? – Gh’ò bazè cla manen’na
ch’a tremma ‘d vargogna e la m’ völ scäper via.
- Che cör, che sajetta! – La pär na puten’na,
la siora Camilla, ch’ zugäva a la stria.