venerdì 30 dicembre 2011

Ragione da vendere!

"Quando non si faceva uso del termine 'evento', succedevano veramente tante cose."
(Franca Valeri a Mario Calabresi in Cosa tiene accese le stelle, Mondadori 2011)

mercoledì 28 dicembre 2011

Semifreddo decisamente natalizio

E lasciamo stare il fatto che ancora sconto i postumi di una gastroenterite e a Natale ho mangiato cinque cappelletti che facevano il pediluvio (vergognandosene molto) in mezzo mestolo di brodo e una briciola di cappone lessato con un filo d'olio... Comunque, se in questi giorni vi è avanzato del torrone e non volete rovinarvi ponti e otturazioni vi do una ricettina. Inutile dire che è di una semplicità disarmante (se volete dell'alta cucina... non chiedetela a me!), però ai miei piace e spero piaccia anche a voi.

250 g di torrone friabile alle mandorle;
400 ml di panna fresca;
1 confezione di savoiardi morbidi;
1 moka da 4 di caffè.
Armatevi di pazienza e spezzettate finemente il torrone. Se riuscite a farlo a mano, vi ritroverete bricioline del suddetto appiccicate ovunque, ma il semifreddo sarà più croccante. Altrimenti andate di frullatore.
Fate il caffè, poi versatelo in un piatto fondo. Montate la panna a neve, mescolate panna e torrone, finché non avrete una crema piuttosto omogenea. Foderate uno stampo con i savoiardi morbidi tagliati a metà e intinti velocemente nel caffè e ricoprite con la crema al torrone. Mettete in frigo un'oretta prima di servire.
Varianti: se vi è avanzato del torrone ricoperto di cioccolato... la faccenda si fa molto più interessante. In mancanza, si può sopperire aggiungendo alla crema scagliette di cioccolato fondente.
Se vi è avanzato anche del pandoro, tagliato a pezzetti può sostituire egregiamente e assai più golosamente, la base di savoiardi. Se volete un effetto "pseudotiramisù", spolverizzate la superficie del dolce con cacao in polvere. Se volete farvi del male, invece, decoratelo con sottilissimi fili di crema al cacao (va bene anche la Nutella!).
Saluti zuccherosi...

giovedì 22 dicembre 2011

Un augurio, anzi un motto, praticamente una speranza...

"Lentius,
Profundius,
Suavius"

(Alex Langer)

Ero assolutamente convinta d'averla già citata anche in questo blog questa frase che amo molto. Ho dato un'occhiata e non l'ho trovata (se ho cercato male e c'era, mi scuso per la ripetizione). Così ho deciso di usarla per accompagnare gli auguri di quest'anno.
E' l'esatto contrario del motto coniato da De Coubertin per le Olimpiadi ("Citius, Altius, Fortius").
E' la speranza di un mondo meno veloce, meno competitivo, più gentile e, dunque, più vivibile per tutti.
A me piacerebbe. E a voi?

Buon Natale!


PS. Benvenuto T., pulcino caro, figlio di Chiara e Filippo. Ho saputo che sei venuto al mondo proprio mentre scrivevo questo post: più Natale di così...

mercoledì 14 dicembre 2011

La cripta senza cappuccini e altre storie romane

Indovinello: cosa posso aver infilato in valigia all'ultimo momento, prima di partire per un weekend lungo a Roma? Un paio di scarpe taccute? Una trousse? Un abito da sera perché non si sa mai? Acqua, acqua! Tenete conto che si tratta di me e quindi, l'ultima cosa finita in valigia è stata... un cacciavite! Ovviamente non un arnese da scasso, ma una cosetta minuta, a punta fine, lunga nemmeno dieci centimetri: quel che occorre per stringere la vitina degli occhiali che, ho scoperto pochi giorni fa, ogni tanto si allenta e mi ritrovo con una lente in mano. Per fortuna non mi è servita. In compenso mi sono serviti altri gadget che, in genere, fanno parte del mio armamentario da gita: l'ombrello, per schivare la coda del nubifragio che si è scatenato lunedì all'alba con tuoni e fulmini, procurandomi un brusco risveglio e un bel paio d'occhiaie; la mini torcia elettrica portatile, per inoltrarmi con Vale di Padova, mia compagna d'avventure, nei sotterranei di S. Crisogono: completamente sole tra tracce di mura, resti di affreschi, iscrizioni, sarcofagi e ombre misteriose. Ci guardavamo attorno circospette, con la paura di restar chiuse dentro, dicendoci "che bello" e, subito dopo, "che ansia".
Ci siamo infilate in tutte le chiese di Trastevere, che è, per tentare un paragone parmigiano, un Oltretorrente più grande e più bello, ma altrettanto popolare e colorato. In Santa Maria dell'Orto (che ha una storia simile all'omonima chiesa veneziana), abbiamo incontrato un custode logorroico, che ci ha raccontato tutta la sua vita; mentre un altro, in S. Maria in Trastevere, prima ci si è rivolto in inglese, poi, quando ha scoperto che eravamo italiane, ci ha fatto aprire da un collega l'anticamera della canonica dove son conservati resti di micromosaici romani con uccelli e pescatori: opus vermiculatum si chiama, me lo ricordo ancora. Ho scoperto, invece, di aver buttato al vento sia l'esame di epigrafia latina sia il diploma d'archivistica, perché non sono più in grado di decifrare né lapidi né documenti, come ho dovuto constatare con rammarico alla mostra di disegni e carte di Leonardo e Michelangelo ai Musei Capitolini. L'abbiamo visitata alla sera e quando siamo uscite ci hanno chiuso il portone alle spalle. Anche dalla splendida mostra di Filippino Lippi e Botticelli alle Scuderie del Quirinale ci hanno praticamente cacciato, noi e una manciata di persone che avevano optato per l'apertura notturna del sabato. Prima abbiamo cenato alla caffetteria delle Scuderie, col personale che aveva voglia di andarsene a casa e di rifilarci quel poco che era avanzato; ma dalla finestra vedevamo tutta la piazza, i Dioscuri e la luna piena sopra i palazzi e, per una volta, abbiamo deciso di prendercela comoda.
Mi è servita anche la cioccolata, per sopravvivere alla mia seconda volta (e spero non l'ultima) ai Musei Vaticani: dalle 9.30 alle 14.30 senza riuscire a vedere tutto. Non so voi, ma a me fa parecchia impressione, nelle stanze dedicate alla scultura romana, trovarmi davanti tutte quelle facce di uomini, donne, bambini vissuti millenni fa e così straordinariamente familiari. Si potrebbe mettersi a giocare alle somiglianze e scovare tra i marmi vicini di casa, amici e parenti.
Mi sono servite anche le pastiglie per il mal di gola, quasi inevitabile compagno di viaggio, soprattutto a Roma. In realtà non faceva freddo e noi nordiche intabarrate ci siamo stupite vedendo gente con giacchine leggere e, addirittura, qualche temerario in maglione e camicia girovagare per le vie dello shopping e le bancarelle natalizie di piazza Navona. Il problema, credo, è l'escursione termica tra il caldo-umido della metropolitana e l'infido "venticello de Roma", che mi frega tutte le volte. Comunque è andata meglio del Capodanno di qualche anno fa, come alcune ciose ben sanno...
Nei quattro giorni di permanenza, ridotti di fatto a due pieni e due mezze giornate causa lunghi, costosi e avventurosi viaggi in treno, siamo riuscite a farci stare anche un'altra mostra, un Angelus (imbucate tra i bambini degli oratori romani), lunghe passeggiate, un'incursione in un immenso negozio di giocattoli e, persino, un pranzo e una cena con due amici di Vale, pugliesi ma residenti a Roma, uno dei quali, peraltro, nostra vecchia conoscenza camaldolese. Insomma, un bilancio decisamente positivo con due sole note stonate: la defezione di Dani all'ultimo momento, che mi è molto spiaciuta (la prossima volta, prometto, si visita insieme Cinecittà!). E una profonda nostalgia per i tempi del Grand Tour, quando ci si poteva permettere di stare mesi o anni in una città, perché soprattutto nel caso di Roma, che ti stordisce di bellezze e di proposte, hai la sensazione che manchi sempre il tempo per conoscerla davvero, per tentare un poco di capirla, non solo di guardarla come si guarda una vetrina. Perché tante piccole visite sommate insieme temo non facciano un viaggio. Però si tenta, come si può, e, a volte, si ha fortuna: ci si trova in una chiesa deserta dove un baritono, una organista e un violinista provano pezzi classici per le celebrazioni, si incappa in una comitiva con una brava guida che spiega i sotterranei (ancora!) di S. Cecilia e si rimane ad ascoltare con discrezione nella stanza accanto, fingendosi molto interessate a un resto di pavimento romano; si rientra due sere di seguito in taxi e si ritrova lo stesso taxista e la città sembra un poco più piccola; poi si accende la tv a tarda notte, per guardare un tg, invece, la prima cosa che appare è un faccione occhialuto e abbronzato che intona "Grazie Roma!", che può piacere o meno, ma, senza dubbio, è una dichiarazione d'amore sincera.

martedì 6 dicembre 2011

Maschere nude

"Cui videberis bella?" (Catullo, Carme VIII)

Sì, dopotutto, abbiamo diritto all'imperfezione. E alla bellezza. Non c'è contrasto tra le due cose, se solo si fa lo sforzo di uscire, una buona volta, dalle paure e dagli stereotipi.
Anch'io avevo paura, sabato sera, prima che iniziasse lo spettacolo nel quale recitavano insieme donne disabili e non. Paura di vedere esibito un dolore che ho sotto gli occhi tutti i giorni; di commuovermi, intristirmi, arrabbiarmi. Non è successo nulla di tutto questo. Lo spettacolo che, per la cronaca, s'intitolava "vivere spettinata" (cosa che a me capita spesso), era un grido di libertà, lieve e autoironico: libertà per ciascuna donna - in piedi o su ruote - di portare in giro il proprio corpo e anche i propri pensieri per quello che sono, quindi non sempre belli e quasi mai impeccabili, ma veri.
Invece troppo spesso siamo costrette (o ci costringiamo?) a nascondere molte cose: i brufoli prima, le rughe poi, i chili (e i peli) di troppo e, ovviamente, le emozioni. Perché quando traboccano - come si è visto di recente con le lacrime di un sindaco e di un ministro - suscitano simpatia, tenerezza, ma anche, diciamolo, un po' di diffidenza: "Eh, le donne, si sa: sono umorali, instabili, sentimentali, insomma, deboli e inaffidabili". Sicuri? E allora vai col trucco, le creme, le tinture, le palestre, i push up e altri ammennicoli che dovrebbero servire a farci assomigliare a ciò che vorremmo/dovremmo essere: giovani, belle, forti. Servono? Certo! E anch'io ne avrei un gran bisogno. Ci sono momenti in cui vorrei essere più bella, più elegante, più piacevole, non avere la fastidiosa consapevolezza dei miei difetti fisici e di carattere, che a volte mi spiace sinceramente sbattere in faccia agli altri. Purtroppo, però, ho capito che con me la cosa non funziona: con un abito elegante e una mano di fondotinta io mi sento, se possibile, ancora più insicura. Me ne dispiace, ma è così. Perché mi pare, in qualche modo, di ingannare l'altra o l'altro. Perché se è difficile portare in giro il mio corpo (e non oso nemmeno immaginare quanto possa esserlo per una persona disabile), mi pesa ancora di più nasconderlo con una maschera che non mi appartiene. Se pure mi spaventa pensare che qualcuno mi giudichi e mi rifiuti per il naso storto e i fianchi larghi, mi fa ancora più paura che qualcuno mi accetti per qualcosa che non ho: una pelle di pesca o capelli di un'altra forma e un altro colore, che saranno più belli, ma non sono miei. Insomma, se devo scegliere tra il disagio della finzione e quello dell'imperfezione, scelgo il secondo; pur essendo consapevole che anche "tenersi su" non è una scelta banale, ma richiede misura, pazienza e una certa forza d'animo. Anzi, le invidio le donne che hanno saputo trovare nell'abito, nel trucco, in un certo modo di porgersi, l'arma giusta per affrontare il mondo. Ma ancora di più invidio gli uomini, che, da sempre, possono portare in giro la loro faccia e il loro corpo senza bisogno di maschere: nessuno contesta loro capelli grigi e maniglie dell'amore, ma nemmeno gli scatti di rabbia o i momenti di commozione. Anzi, di un uomo che piange si resta piacevolmente stupiti: "Toh, guarda com'è sensibile...". Però sarei maledettamente curiosa di sapere se anche a loro capita di sentirsi a disagio quando qualcuno - o qualcuna - li guarda, e di desiderare che il loro corpo assomigli a ciò che sentono di essere davvero: abbia una profondità, non solo una superficie. Se a loro non capita, dopotutto, sono fortunati e, forse, dovremmo imparare da loro. Se, invece, capita anche a loro, non sarebbe un gran sollievo smetterla di nasconderci e ingannarci a vicenda e accettarci per quello che siamo: creature comunque imperfette, che si stancano, si arrabbiano, invecchiano, ma volendo, possono farlo, semplicemente, insieme?