venerdì 8 luglio 2022

Però poi anche basta


Faccio molta fatica a spiegare ai miei che il fatto che molti giovani oggi rifiutino lavori malpagati e al limite dello sfruttamento non sia necessariamente segno del degrado dei tempi.
O, perlomeno, non nel senso in cui lo intendono loro.
 

Anche io da giovane ho fatto la gavetta!
Eh, ma bisogna fare esperienza!
Non si può pretendere di avere tutto subito!
Questi giovani non sono più abituati al sacrificio!

Tutto vero.
Però…
La gavetta tu l’hai fatta DA GIOVANE, poi basta.
L’esperienza a un certo punto si acquisisce, poi si comincia a fare sul serio.
Va bene non avere tutto subito, ma qualcosa, prima o poi, bisognerà pure ottenerlo!
Se le generazioni precedenti, educate al sacrificio, hanno pensato bene (o male?) di crescere i lori figli e nipoti nella bambagia, rendendo loro la vita facile in ogni modo, forse a loro quell’educazione non era piaciuta granché, e avendola loro stessi rifiutata, non dovrebbero stupirsi così tanto che altri la rifiutino.

La mia modesta opinione è che chi rifiuta il sacrificio, l’esperienza, molto spesso non lo faccia perché è un pappamolla codardo e sfaticato, ma perché sa che questi… non finiranno mai.

Non è solo mancanza di soldi, ma mancanza di prospettiva. 

Un* giovane che non sia figlio/a di papà o cresciuto nel deserto ha ben chiaro che le sue condizioni di vita saranno peggiori di quelle dei suoi genitori, indipendentemente da quanto possa o voglia impegnarsi.
Sa bene che cambierà decine e decine di lavori e difficilmente arriverà ad avere un minimo di stabilità economica.
E che in pensione non ci andrà mai, e se ci andrà, farà la fame.
Sa che dovrà sempre ricominciare da capo in una gavetta infinita che non porterà mai a poter dire, con sollievo: “Sono arrivato/a”.

Perché è un’emerita boiata quella che vi vanno raccontato che è bello non sedersi mai sugli allori e imparare ogni giorno qualcosa di nuovo.
Perché al di là di poche - lodevoli - eccezioni, la maggior parte delle persone vorrebbero avere un po’ di certezze, costruirsi un nido di solide abitudini e accoccolarcisi dentro.

E questo nido di abitudini non è detto che porti sempre al fancazzismo e all’automatismo dell’impiegato da barzelletta, che si intana nel suo ufficio a fare il sudoku e bere caffè. 

A volte un nido è ciò che serve alle persone per poter spiccare il volo, per poter osare di più sapendo che, comunque, c’è un posto a cui ritornare, qualcosa di raggiungibile a cui aspirare.
Che va bene “Siate affamati, siate folli”, ma anche desiderare di essere - prima o poi - sazi e pacifici è una cosa profondamente umana e degna di rispetto e comprensione.

Che non si è giovani per sempre.