martedì 23 luglio 2013

Galline & porcelli

Era da un po' che non si pubblicava una puntata della serie "Galline famose".
Poi stamattina sono entrata nella nuova libreria che mi hanno aperto (mannaggia!) a pochi metri dall'ufficio e che vende libri, cd e dvd sia nuovi che usati, e ne sono uscita, inevitabilmente, con un cd della mia ultima insana passione musicale (sto degenerando, tra un po' temo che comincerò a digerire persino l'heavy metal...) e con un librino di aforismi di Bruno Munari.
Sfogliandolo di soppiatto in ufficio ho trovato questa:

"L'uovo che stai mangiando
prima faceva parte della gallina.
Quanto c'è in noi
della gallina?
come sguardo
come modo di camminare
come comportamento?

Il prosciutto che stai mangiando
prima faceva parte del porcello.
Quanto c'è in noi
del porcello?
nel mangiare
nella traspirazione
nelle voglie?"

Capisco che l'associazione gallina & porcello non è granché lusinghiera, ma d'altra parte noi s'abita nella patria del prosciutto e, dunque, prendiamola con filosofia.
E chiariamo la nostra posizione citando un'altra lapidaria e arguta sentenza con cui l'amica Simona, molti anni fa, in un infame locale allora di moda tra gli adolescenti nel quale ci si poteva parlare da un tavolo all'altro con i telefoni, gelò un aspirante corteggiatore molesto: "Io cerco l'anima gemella, non l'anima porcella!"
Saluti di setole e piume...

mercoledì 17 luglio 2013

A naso

Giovedì scorso sapevo di stalla, sudore e vernice: un mix poco attraente, me ne rendo conto, ma io sono sempre poco attraente, anche in abito da sera, dunque non è un grosso problema, e poi ne valeva la pena.
Di stalla per lavoro, perché ogni tanto capita anche questo: dover andare a parlare con un'allevatrice per aggiungere una pagina a un sito; e che l'allevatrice abiti in un posto spersissimo d'Appennino di cui ignoravo l'esistenza, raggiungibile dopo un'ora d'auto e 800 metri di passione per una strada che, in teoria, doveva essere asfaltata, in pratica era una striscia minuscola di brandelli d'asfalto, sassi, fanghiglia e buche profonde tra la boscaglia; e il pensiero mio e di Dani, reclutata al volo come fotoreporter (grazie!) era uno solo: "E se incontriamo un'altra macchina?", sussurrato a mezza voce mentre io tentavo di convincere la mia di macchine a fingere ancora una volta di essere un fuoristrada.
Il pericolo d'incontro, in realtà, era piuttosto remoto, per fortuna, perché lassù, oltre alla stalla, c'erano giusto tre case abitate solo d'estate e un pugno di ruderi di edifici di pietra dal tetto d'ardesia, struggenti nella loro desolazione. E l'allevatrice era davvero una di quelle persone degne di essere incontrate, per le quali sono grata alla sorte o a chi per essa (e anche a Dani, ovviamente), di poter fare il lavoro che faccio e mi auguro vivamente che, nonostante la crisi feroce e i cambiamenti dolorosi (dietro il trasloco d'ufficio di cui vi parlavo, infatti, c'è una storia spiacevole che non me la sento di raccontare), io possa continuare a farlo ancora per un po'...
Comunque sia, la donna ci accoglie con una gonna a fiori, una canotta grigio-azzura sporca e sudata, ma in tinta con le scarpe e un largo bracciale di filigrana d'argento. Il tutto, posato su un fisico asciutto e abbronzato, occhi azzurri e capelli grigi tagliati cortissimi, le dà un aspetto sorprendentemente elegante. e anche il lungo rastrello di legno col quale porge il fieno alle sue vacche nelle sue mani ha qualcosa dello scettro o del pastorale. Ha uno strano accento e metà dei suoi animali hanno nomi francesi, così dopo un po' mi decido a chiederle da dove viene e scopro che è belga! Il nome però è italiano, allora la immagino figlia di emigranti che, ritornata al paese d'origine ha trovato l'amore e ha deciso di restare, ma lei chiude subito la parentesi e continua a parlare del suo lavoro e io non ho il coraggio di chieder conferma delle mie ipotesi.
E' dura esser timidi e pudichi quando si fa i giornalisti... per fortuna (o purtroppo?) io non faccio esattamente la giornalista!
Mentre ci aggiriamo per i recinti di vacche e vitellini, circumnavigando balloni e scavalcando cumuli di fieno che - dice la donna - il marito sa distinguere a occhio da quale campo vengano, pensiamo che spesso le persone più interessanti si nascondono nei luoghi più impensati. E ce ne andiamo felici di aver collezionato, noi che bene o male viviamo di parole, un'altra bella storia da ricordare e raccontare.
Di sudore perché faceva un caldo afoso persino su per i monti, tanto che, al ritorno, dopo aver colto tra gli alberi una visione del castello di Bardi sfocato per la foschia, siamo state costrette a una sosta tecnica in un bar di Varano sorprendentemente popolato di soli under 25, gestori compresi, che, vedendoci entrare, ci hanno squadrato sospettosi prima di servirci acqua e gelato, che ci hanno consentito di ritornare sane e salve in città.
Inutile dire che io, che normalmente sono una lucertola, quel pomeriggio il caldo lo sentivo più del solito perché, come ogni donnina all'ascolto sa, più ti aspetta un giorno impegnativo, più è probabile che ti capiti in uno di quei giorni...
Poiché ero arrivata a casa mezz'ora prima del solito e già in condizioni pietose, ho pensato bene di completare la giornata indossando un paio di braghette inguardabili e la storica maglietta del liceo e darmi il colpo di grazia ridipingendo di giallo un paio di pareti.
Ed ecco spiegato anche l'odore di vernice.
L'inevitabile conclusione della giornata? Ovvio: una doccia!
Saluti odorosi...

mercoledì 10 luglio 2013

Le vite degli altri

E' uno sport che a noi ciose, in genere, piace praticare sia in vacanza, sia quando si passeggia, specialmente nelle sere d'estate: sbirciare in casa d'altri.
Non è che siamo curiose... è che proprio ci viene naturale, quando ci piove dall'alto la luce di una finestra aperta, dare un'occhiata.
Ad attrarci sono, prima di tutto, le librerie (più grandi sono, più proviamo istintiva simpatia per gli ignoti proprietari), ma anche i non pochi soffitti affrescati che si scorgono nelle case del centro, meglio se corredati di ricchi lampadari, che ci fanno subito ballo in maschera con noi calate nell'improbabile parte delle Cenerentole col 38/39 di piede.
Ci piacciono gli stucchi e le tappezzerie vecchia Inghilterra, ma anche le camere minuscole, colorate e caotiche degli studenti universitari fuorisede, che ci parlano di una vita che noi non abbiamo provato e che forse ora, superati i trent'anni, ci accorgiamo che c'è mancata e che, forse, oggi saremmo meno paurose e più indipendenti.
Ci piacciono i portoni che s'aprono su stretti corridoi dai quali, anche nel più torrido luglio, sale un'ondata di umido e frescura dalle cantine, che ci vien facile immaginare antiche e misteriose; oppure le cancellate eleganti, da cui si scorgono scorci di giardini segreti nel bel mezzo della città.
E ci piacciono, ovviamente, le cucine, da cui scendono fino in strada un rassicurante acciottolio di stoviglie e odore di pietanze estere o nostrane da tentare di indovinare a naso; ma anche la musica nota o ignota, sia che provenga da un cd sia, meglio ancora, suonata dal vivo da qualche parte dietro una finestra che non riusciamo a individuare per via dell'eco che la fa rimbalzare da un lato all'altro dei borghi più stretti.
Ci piacciono, inutile dirlo, i fiocchi rosa e azzurri sulle soglie, che ci fanno pensare a una culla, a notti insonni e felicità.
Perché a sbirciare in casa d'altri ci si sente un po' meno sperduti e la città di case, strade e negozi diventa città di persone che, per quanto diverse e sconosciute, dopotutto, non sono poi tanto distanti da noi.
Ora a me questo sport viene particolarmente facile praticarlo, trasferita controvoglia a lavorare in una viuzza del centro, con il palazzo di fronte a quattro metri dalle finestre dell'ufficio.
Così, ogni giorno, vedo le scaffalature piene di faldoni di un altro ufficio; un grande letto con un lenzuolo bianco coperto di lettere nere come una storia d'amore da scrivere ogni giorno, e la scrivania piena di penne e di libri sottolineati di una studentessa, che mi ricorda tanto me stessa una decina d'anni fa e, osservandola, anch'io mi sforzo di sentirmi un po' meno sperduta.

mercoledì 3 luglio 2013

La migliore (s)offerta

Meraviglioso e terribile. Se non ricordo male i greci avevano un termine che significava entrambe le cose e che aveva a che fare con la stessa radice di luce/splendore: qualcosa che abbaglia e incenerisce, insomma.
Un po' così ci siamo sentite ieri sera uscendo stordite dalla visione di "La migliore offerta", in una tiepida serata all'arena dell'Astra, che con i suoi magnifici oleandri e scomode sedie è un must dell'estate parmigiana.
Che non sarebbe andato a finire bene lo sospettavamo: io, forse, costituzionalmente pessimista, un po' più di Dani e Antonella, l'amica palermitana "acquistata" al corso di ginnastica posturale.
Che sarebbe finito come è finito ci siamo arrivate forse pochi istanti prima che succedesse, perché anche noi, dopotutto, ci eravamo lasciate trasportare nell'inganno e c'eravamo cadute con tutti e due i piedi, come il "povero" Virgil.
E bravo Tornatore, che, dopo averci lasciato molto perplesse con Baarìa (anche allora le ciose presenti erano uscite dal cinema un tantino sconvolte, ma in una maniera del tutto diversa), qui mette in piedi un meccanismo intricato e intrigante, come l'automa la cui costruzione prosegue per tutto il film.
Eh sì, perché chi di noi, gentili fanciulle, poteva restare indifferente alla storia del vecchio battitore d'aste misantropo, che affronta il mondo in punta di guanti, tocca a mani nude soltanto le opere d'arte e ama solo le donne dipinte il quale, pian piano, si trasforma in una specie di improbabile cavaliere che cerca di stanare la principessa misteriosa rinchiusa nella sua villa-torre d'avorio?
Villa che è anche labirinto, prigione, museo con le sue stanze affrescate, mobili e quadri antichi, soffitte, solai e inevitabili passaggi segreti: inquietante e affascinante nella sua polverosa decadenza.
Accanto ai due protagonisti, dalle vite decisamente fuori dal comune, ruotano quelli che potrebbero essere gli amici "normali": il meccanico-orologiaio-restauratore donnaiolo con bella fidanzata al seguito, che gli dà lezioni di seduzione, e il vecchio compare, pittore fallito, che acquista per Virgil alle sue stesse aste i quadri per la sua collezione. Potrebbero essere, ma non sono...
E tutto precipita verso il dolorosissimo inganno finale che, inevitabilmente, porta alla follia e proprio da una piccola folle-sapiente viene alla fine svelato.
Perché tutto si può fingere, anche l'amore.
Grazie, lo sapevo già. E non so se averne avuto anche una conferma cinematografica sia un bene o un male...
Però nel falso resta sempre qualcosa di vero.
Ecco, questo è bello crederlo, anche se, purtroppo, non basta.