mercoledì 28 novembre 2012

Grandi vecchi & bambini

"Il genere umano conosce le parole e quindi è in grado di formulare il pensiero; soltanto la lettura perfeziona e migliora il pensiero perché la parola viene esaltata dalla conoscenza (e soltanto il libro può offrirla), dagli infiniti modi di usare la parola stessa."
Roberto Denti, prefazione alla riedizione 2012 de "I bambini leggono" (1978*).

L'ho ascoltato ieri sera a Langhirano con Dani, circondata da maestre.
Per uno strano caso è la seconda volta che mi capita d'incontrarlo dal vivo.
88 anni di intelligenza arguta ed ironica (per non parlare di quella della moglie Gianna), 40 dei quali spesi a occuparsi della letteratura per l'infanzia. Che non è solo Geronimo Stilton...

Ah, la foto è di un'opera di Vincenzo Agnetti. S'intitola "Libro dimenticato a memoria".
In realtà io stavo cercando un'immagine dei prelibri o dei libri illeggibili di Munari, ma quando sono incappata in questa m'è piaciuta tanto!

* Il mio anno di nascita: amo queste coincidenze.

lunedì 19 novembre 2012

Creatività, ovvero: "Come uccidere la fantasia, seconda lezione"

"Tutto ciò che accade, tu lo scrivi".

"Tutto ciò che io scrivo accade".
(Michael Ende, La storia infinita)

Ho già accennato in qualche post precedente al fatto che io e Dani, ogni sabato, assieme ad altri volontari, tentiamo con alterne fortune di far fare i compiti a un ben nutrito numero di bambini, provenienti da ogni parte del mondo. In genere ne usciamo - io per lo meno - piuttosto stordite e felici di non aver fatto le insegnanti...
Avere a che fare con i bambini, però, è sempre molto istruttivo e, lo ammetto, spesso anche divertente.
A parte l'amara constatazione che non so più fare le divisioni con le virgole, c'è una cosa che mi ha molto colpito: in più di un'occasione mi è capitato di aiutare alcuni di questi bambini a svolgere un compito che prevedeva di completare una storia.
I pargoli mi guardavano spersi, mentre io cercavo di far loro domande per stimolarli a inventare un finale, sforzandomi di non suggerirglielo.
La stessa scena, più o meno, si ripete anche quando sono chiamati a descrivere una loro giornata, o parlare della loro famiglia: vanno guidati passo passo con domande precise, perché da soli fanno una fatica atroce a mettere insieme un discorso.
E' vero che molti sono stranieri, ma non è una questione di lingua, perché l'italiano lo parlano bene e, se sono in vena, ti sciorinano tutti i nomi degli alieni di Ben10 o le prodezze della boy band di turno. E non sono nemmeno casi sporadici. La tendenza, infatti, mi è stata confermata anche da Costi, che ha dieci anni di insegnamento alle spalle: molti bambini non sono capaci di elaborare un racconto, sia esso realistico o fantastico. E la cosa mi mette una grande tristezza.
Intendiamoci, anche "ai miei tempi" (scusate, fa un po' ottantenne detta così) c'era chi era terrorizzato all'idea di inventare una storia, perché non c'era proprio tagliato; ma quasi tutti erano felici di descrivere qualcosa che gli era accaduto o di parlare di sé: fatti salvi i casi (oggi forse un poco più diffusi) di chi aveva alle spalle situazioni complicate e dolorose, che si vergognava di raccontare, era sempre meglio di una paginata di esercizi di grammatica.
E' fin troppo facile dare la colpa di questa mancanza di inventiva all'alluvione di cartoni animati, videogiochi e divertimenti prefabbricati (persino per le festicciole di compleanno si paga un animatore per suggerire i giochi!); ma anche noi, che ci siamo bevuti la tv degli anni '80, ce ne siamo presi una bella ubriacatura.
Forse l'unica differenza è che per noi film, cartoni e videogiochi non terminavano necessariamente dopo la parola "fine". Vuoi perché eravamo stati sufficientemente nutriti di favole lette e raccontate, vuoi perché avevamo più tempo libero da riempire come ci pareva, ci divertivamo a continuare a modo nostro le avventure dei nostri eroi preferiti o a inventarcene di nuovi.
Ho il sospetto che questo ora non succeda più, e dopo la parola "fine" ci sia solo il vuoto, lo stesso che poi diventa, al momento di fare i compiti, un precoce panico da foglio bianco.
Questo per quel che riguarda l'incapacità d'inventare storie. Per quel che riguarda l'incapacità di raccontare vicende accadute, forse dipende dal fatto che in famiglia si è persa l'abitudine di rievocare insieme il passato, prossimo o remoto: gite, vacanze, disavventure, frasi memorabili, per costruire una piccola "mitologia privata", banale finché si vuole ma utile a dare forma alla memoria e all'identità.
Credo anche che centri qualcosa con l'esaltazione della "creatività" che ha ormai sostituito nel linguaggio comune, la "fantasia". A un corso frequentato qualche mese fa, mi hanno spiegato che la creatività è una faccenda molto pragmatica e democratica: è la capacità di trovare una soluzione a un problema. Tutti la possediamo e, con un po' d'esercizio, si può imparare a utilizzarla al meglio. Ecco dunque tutto un fiorire di laboratori creativi, di corsi di scrittura creativa, di atelier della creatività e di persone creative...
La fantasia, invece, sembra una faccenda assai più elitaria e misteriosa: non si può racchiudere in formule, non si può insegnare, non ha bisogno di strumenti ed è di scarsa o nulla utilità pratica. La creatività, dopotutto, è un modo originale di usare la propria intelligenza, mentre la fantasia sfiora, in qualche modo, i territori dello spirito, perché non si limita a ricombinare ciò che già esiste, ma può andare ben oltre esplorando nuovi mondi che, in qualche modo, cominciano a essere perché li abbiamo pensati e nominati. Per questo fa paura.
Un bambino che fantastica non ha bisogno di giocattoli né di consigli per divertirsi. Un bambino che fantastica non è mai solo e non ha bisogno (o ha molto meno bisogno) di comprare cose per consolarsi. Non è più soltanto un consumatore di idee, immagini e storie costruite da qualcuno che gliele offre, chiedendo comunque qualcosa in cambio, ma può crearne a sua volta e donarle a chi vuole, se vuole.
Ed essere libero.

P.S. Per chi fosse curioso e clemente, c'è anche la "Prima lezione".

lunedì 12 novembre 2012

Rosso smeraldo

Vi avviso: questo sarà un post sconclusionato, a cominciare dal titolo che però, per una volta, non è mio. Lo svarione cromatico, che, in realtà, ha qualcosa di poetico, è di Costi, che così ha descritto il colore intenso e luminoso di una pianta in veste autunnale avvistata in quel di Fontanellato.
Cercava di convincermi - mentre si assaggiavano con Dani, Moki e altra bella gente, pietanze multietniche a una cena di beneficenza - che, infondo, anche l'autunno ha il suo fascino, nonostante il freddo, la pioggia la nebbia e il buio che ti prende a tradimento a metà pomeriggio, ma, per una volta, non ne aveva bisogno: infatti ero reduce da un lungo giro in Valtaro per motivi di lavoro e, dopo 160 km tra boschi verdi, gialli, rossi e marroni, montagne con nuvole basse e squarci di sole abbagliante e fiume grigio azzurro e luccicante, me ne sono quasi convinta anch'io.
Finito il lavoro mi sono concessa una divagazione a Compiano, dove mi sono resa conto di non essere mai stata in vita mia. Era ora di pranzo e il paese era perfettamente deserto, fatta eccezione per un paio d'operai intenti a restaurare il castello e del prete che sgranava rosari facendo avanti e indietro per la sua chiesina in penombra. Ho passeggiato da sola per le stradette di ciottoli bianchi e neri in salita facendo finta di non avere mal di schiena, godendomi la luce di una strepitosa giornata novembrina, l'odore di legna bruciata, gli scorci di panorama tra le case e la bella sensazione di tempo altro e sospeso, che in Italia ti coglie appena esci dalle città (o anche dentro, a volte) e ti inoltri in luoghi sufficientemente antichi e silenziosi.
Vanno bene anche certi carrugi di Genova, sui quali si aprono a sorpresa vecchissimi antri polverosi di corniciai e restauratori, tra una bottega, un pub e un viavai vario e un filino equivoco.
"Hai idea di dove stiamo andando?" Mi ha chiesto a bruciapelo l'attore che mi accompagnava. Avevamo appena finito il primo dei tre laboratori che ci spettavano al Festival della Scienza ed eravamo in libera uscita. "Assolutamente no!" ho risposto. Tanto era la seconda volta che ci capitava di viaggiare insieme e già lo sapeva che sono in grado di perdermi ovunque.
"Laggiù c'è il mare". Ha indicato divertito, prima di ricominciare a zigzagare a sentimento con me al seguito per la città vecchia. Mi sono goduta la strana compagnia e il momento surreale, fingendo di non avere mal di gola.
Appartiene a quella categoria di persone con cui mi capita a volte di avere a che fare e con le quali so di non avere praticamente nulla in comune, ma poiché fanno mestieri interessanti e hanno molto letto, molto viaggiato e molto vissuto, starei volentieri ore a chiacchierare... se mi facessero un po' meno paura!
Prima della passeggiata (terminata al porto: aria gelida e tramonto rosazzurro dietro la Lanterna), siamo riusciti anche a visitare, in compagnia della fotografa che ha immortalato il nostro lavoro (il suo, più che altro...), la mostra di McCurry che, credo, meriti tutta la sua fama. Di fronte ai ritratti di vecchi e bambini scovati ai quattro angoli della terra (compresa la "celebre" ragazzina afgana dagli occhi verdissimi, ritrovata poi donna e rifotografata quasi vent'anni dopo), l'attore ha giustamente osservato che i visi più insignificanti e gli sguardi più inespressivi appartenevano a quelli dei pochi occidentali: segno che forse la nostra presunta civiltà non giova all'evoluzione della specie.
Retrocedendo a questo modo, dovrei anche raccontare della famigerata castagnata in campagna, accompagnata da chiacchiere, dolcetti e persino da una chitarra; ma è passato tanto tempo che ormai non vale la pena di dilungarci troppo.
Non mi resta che ammettere che aveva ragione Costi: era meglio far le caldarroste sul camino piuttosto che sul barbecue (vedi foto di Dani); ringraziare le partecipanti e dare a tutti la ricetta dei pattonini di papà, che hanno riscosso un discreto successo:
300g di farina di castagne;
3 o 4 cucchiai di zucchero;
la scorza grattugiata di un limone;
acqua tiepida q.b.
Sciogliete lo zucchero nell'acqua tiepida e mescolatelo alla farina di castagne quanto basta per ottenere una pastella liscia e piuttosto liquida, diciamo un po' meno di quella delle crepes. Se fa grumi, mettetevi il cuore in pace e passatela con un colino... Incorporate la scorza di limone e friggete a cucchiaiate in olio bollente.

Buon appetito, arrivederci e, visto che ci siamo, auguri a Simona!