giovedì 10 febbraio 2011

Adrianaaaaa!!!!

"Non so cosa dire, perché non ho mai parlato con una porta" (Rocky)

Talvolta anche i cinema più commerciali fingono di avere un'anima e, dopo averti sommerso di pellicole rutilanti di effetti speciali, magari ti propongono la prima alla Scala su grande schermo, o, come in questo caso, una rassegna di vecchi film, che, a loro modo, hanno fatto epoca. Scordatevi Fellini, ma, se siete fortunati, potete incappare in Via col vento o Colazione da Tiffany. Se lo siete un po' meno, ma volete molto bene alle vostre amiche e dovete ancora farvi perdonare la scelta incauta di qualche pessimo film e una grandinata estiva, vi può capitare di trovarvi un mercoledì sera alle 20.00 senza nemmeno aver cenato, in una sala semivuota a vedere Rocky. Il primo della serie, quello del 1976, con un Sylvester Stallone trentenne doppiato, pensate un po', da Gigi Proietti. Tutte queste informazioni me le ha date Dani, seduta alla mia sinistra, che, assieme a Costi, seduta a destra (aiuto, sono circondata!), mi anticipavano metà delle battute del film: lo sanno a memoria e, anche se chi le conosce stenterà a crederlo, hanno persino il poster del nostro con tanto di canottiera lacera e ascella in vista. Ognuno ha i suoi gusti e le sue debolezze e io che trovo affascinante Alberto Angela forse è bene non dia giudizi. In ogni caso mi ha fatto piacere vederlo per due motivi: primo, perché in televisione non avrei resistito cinque minuti; secondo, perché così la prossima volta che qualcuno lo cita so di che cosa sta parlando. Di solito viene ricordato come un esempio del "sogno americano", grazie al quale anche a un signor nessuno viene data l'opportunità di diventare un grande. Certamente c'è questo elemento, ma quello che è rimasto più impresso a me è il senso di desolazione, trasandatezza, sudiciume, miseria, ignoranza che trasuda (la scelta del verbo non è casuale...) non solo il protagonista, ma buona parte della gente che lo circonda. Anche il pugile arricchito resta un perfetto cafone. Ovvio che sia voluto e che il sogno americano, soprattutto per questo sottobosco di immigrati, italiani o neri che siano, resti comunque solo parziale. Ed è ovvio che da questa desolazione emerga il protagonista che, dopotutto, ci prova a essere migliore senza montarsi la testa: è un antieroe assoluto, arruffato e solitario, con una sua morale spicciola, ma di buon senso, che tenta di fare lo spiritoso e non ci riesce (quasi peggio del nostro premier, ma almeno Rocky non si prende sul serio), che cerca in qualche modo l'amore (quando spiega che lui e Adriana hanno dei vuoti e se li riempiono a vicenda è triste, ma molto vero...) e alla fine fa tenerezza. Anche Adriana, che io chissà perché ricordavo riccia, quando ne dice quattro al fratello si riscatta un po' da una timidezza talmente eccessiva da risultare ridicola e da un ruolo molto sottomesso rispetto a quello degli uomini. Devo ammettere che ha un buono stomaco per abbracciarsi il nostro sudato e insanguinato. Certo che le scene in cui corre per le strade di Philadelphia all'alba con la ben nota colonna sonora sparata a palla danno la carica e sono l'ideale per trovare il coraggio di smettere di usare la cyclette parcheggiata in camera a mo' di attaccapanni e provare a pedalarci, ma una parte di me continuava a guardare quanto era sporca la tuta che indossava e sospirare una lavatrice. Scusate...

2 commenti:

Benedetta Gargiulo ha detto...

noooo!!! Alberto Angela noooo!!!

Cri ha detto...

Eh, lo so, lo so: è grave. Anche mia madre dice che pare una scimmietta, ha 48 anni e, credo, tre figli (quindi è probabile che avremo una terza generazione di divulgatori scientifici), ma abbi pazienza: al cuor non si comanda. Forse da ragazzina ho visto troppi documentari...