martedì 18 agosto 2020

L'eroina (no, non quella)

Leggevo poco fa un racconto di Pavese nel quale (tanto per cambiare) una donna spegne con la sua "carnalità" i desideri metafisici dell'uomo (che poi, nella realtà, spesso accada il contrario potrebbe essere oggetto di lunghe - e polemiche - discussioni). E ho realizzato, con un certo dispiacere, che qualcosa di simile accade anche in Inviti superflui di Buzzati: racconto che amo profondamente e di cui posso citare le prime righe a memoria (è molto probabile che anche qui io le abbia già citate). 

Il problema è che, quando lessi il racconto la prima volta (e le successive), non mi sfiorò nemmeno l'idea che, in quanto donna, io avessi motivo di identificarmi con la scostante coprotagonista della storia. Io ero, ovviamente, lo scrittore, che immagina mondi di fiaba oltre i vetri appannati delle case. 

Io ero, fin dai tempi in cui mi si leggevano le favole, l'eroe, non la strega cattiva, né la principessa da salvare. E che l'eroe fosse, nove volte su dieci, un maschio, era una cosa che mi preoccupava molto poco. 

Adesso, che ho un'altra età e un'altra consapevolezza e che anche attorno a me si respira (per fortuna) un'altra aria, questa rappresentazione spesso negativa e quasi sempre stereotipata della donna mi appare in una luce più chiara e molto più fastidiosa. Come mi appaiono fastidiosi i versi di certe canzoni di Tozzi che da bambina cantavo a squarciagola: tu puoi pure camminare, ma non dare per scontato che io ti segua; e se mi abbracci mentre stiro, non è detto che non ti ritrovi una bella scottatura triangolare sulla fronte; e, soprattutto, scoiattolo impaurito lo vai a dire a qualcun altro, echeccavolo! 

Ma anche in quel caso, beninteso, io ero il cantante, non la sua innamorata ingenua, passiva, paziente e magari pure cornuta.

Ero Bastiano, non l'algida Imperatrice e nemmeno Donna Aiuola, tanto materna da essere inquietante. Ero Frodo, non Arwen (e nemmeno Aragorn: fin troppo figo per i miei standard)...

Di contro, non sono mai stata Rossella, né Emma, né Anna (a pagina quindici già facevo il tifo per il treno); no, non sono mai stata nemmeno le donne della Austen, perché, pur comprendendo e apprezzando la loro ironia, sensibilità, intelligenza, già da adolescente facevo una dannata fatica a immedesimarmi in una vita fatta quasi solo di balli, mondanità e attesa di un amore decente, figuriamoci ora!

E quindi? E quindi sarei curiosa di sapere a quante altre donne è capitato e capita tuttora di riconoscersi nei personaggi maschili dei romanzi e dei racconti (e dei film e dei fumetti e delle canzoni...) e se e come e quanto questo le ha turbate o le turba. E sarei curiosa di sapere a quanti maschi, invece, è capitato di identificarsi in personaggi femminili e se questo ha provocato loro qualche turbamento.

Immagino che il primo caso sia più frequente del secondo, perché per secoli - e ancora oggi - le parti migliori (più varie, dinamiche, divertenti, avventurose) nei film, nei libri, e pure nella vita, sono riservate agli uomini, mentre ai personaggi femminili tocca spesso il ruolo di spalla. E se/quando le donne sono protagoniste, ancora non riescono del tutto a levarsi di dosso un lungo retaggio di ruoli, reazioni, sentimenti stereotipati, che forse già in passato le rendeva meno amabili e meno adatte all'identificazione, figuriamoci ora! 

Ben vengano, dunque, tutti questi fermenti culturali volti a una rappresentazione più veritiera della vasta gamma del maschile e del femminile e di tutto ciò che sta nel mezzo, anche se sarà una strada dannatamente lunga e faticosa: perché gli stereotipi sono comodi e le distinzioni nette sono ottimi espedienti narrativi, da cui è difficile staccarsi, soprattutto in un tempo in cui si tende a semplificare per vendere.

Solo due cose temo. Una sta già accadendo: è il revisionismo fatto sull'onda dell'emotività, che preferisce condannare anziché comprendere e storicizzare gli errori del passato. Che io ricordi, Dante non ha detto cose carine su ebrei, musulmani e omosessuali: che facciamo? Contestualizziamo o sostituiamo nei programmi scolastici la Divina Commedia con un moderno romanzetto mediocre ma politicamente corretto?

La seconda credo potrebbe verificarsi in una fase più avanzata del processo che attualmente è ancora agli inizi: ovvero, quella di arrivare ad avere eroi fatti su misura con cui identificarsi senza alcuno sforzo di immaginazione.

Provo a spiegarmi meglio: ben vengano protagonisti di libri, film, fumetti di ogni sesso, colore, stazza, orientamento, carattere; ma non vorrei mai che questa infinita varietà portasse le persone ad identificarsi solo con ciò che trovano più simile a sé. Perché anche questa, credo, sarebbe un'enorme sconfitta del potere creativo ed educativo dell'immaginazione, che consiste proprio nel valicare i confini di generi e ruoli per trovare altri modi di rappresentare sé stessi e rapportarsi con il diverso.

Perché non è detto che pur vedendo rappresentate nei libri e nei film più protagoniste donne grasse e bruttine di mezza età io debba per forza immedesimarmi con loro. Potrei farlo, se, oltre al sesso e all'aspetto fisico, troverò in quel tal personaggio altre affinità. Oppure potrei trovarne di più, che ne so, con un ventenne di colore, pugile di mestiere... E, viceversa! 

Perché lì sta il bello: rappresentare la varietà dovrebbe favorire la libertà di scelta delle singole persone, non ingabbiarle in una nuova, solo un po' più vasta, omologazione.