martedì 14 ottobre 2014

La piena dei ricordi

Ad ogni pioggia più preoccupante delle altre il pensiero dei miei corre sempre ai primi anni Ottanta, quando tracimò il canale che ci scorre a un paio di isolati e l’ondata di piena si bevve in un sorso melmoso garage e cantine.
Mio padre ricorda con una punta di divertimento la visione surreale della schiuma bianca fuoriuscita dalla scorta di detersivi stivata in garage; mia madre ricorda, invece, con un poco di condivisibile rammarico, il lungo e strano quadro di un Cristo che, regalato loro da amici per le nozze, non aveva trovato posto sopra il letto della casa nuova e, deposto ingloriosamente in cantina, finì sbiadito nel fango.
Io, nata da poco, non ho memoria di quel fatto, se non quella che mi è stata trasmessa dai miei ed è andata assumendo, nel tempo, come tutti i racconti, contorni quasi mitici.
Ci ho pensato anche ieri mentre, chiusa in ufficio, mi arrivavano, pure quelle a ondate, notizie della fuga del Baganza, di ponti e sottopassi chiusi e relativo caos dei trasporti, prima che saltasse la centralina della Telecom facendoci piombare tutti in un isolamento telematico che, se possibile, ci ha impensierito più della piena.
Poi, rincasando, l’ho vista con i miei occhi, ieri sera, l’acqua torbida che passava a una spanna dal colmo degli archi del Ponte di Mezzo. E l’ho anche attraversato il ponte, schivando i curiosi assiepati lungo le balaustre, sentendo un brivido salirmi per le gambe al pensiero di affidare la mia vita alla resistenza di una manciata di eroici piloni di pietra e ringraziando mentalmente l’abilità dei costruttori, gente d’altri tempi, per fortuna!
Ho guardato anch’io nell’acqua inquietante – impossibile non farlo – ma la cosa che più mi ha impressionato è stato l’odore.
M’immaginavo qualcosa greve e torbido, visto il rimescolarsi di ogni sorta di detriti strappati dalle rive dall’Appennino fino in città. Invece, sorprendentemente, dalla corrente grigio-marrone salivano ventate umide e fresche di sottobosco e, non so perché, di timo.
Timo? Sul serio? Beh, me lo sono chiesta anch’io, abituata da una vita di raffreddori allergici e non a fare molto poco affidamento sul mio olfatto. Eppure l’ho sentito, stupendomene parecchio. E ho respirato a fondo, a occhi socchiusi, per esserne certa.
Non so voi, ma a me l’idea che un’onda di piena profumi di buono ha sconvolto più dell’onda stessa e mi ha portato via buona parte dell’apprensione, che è ritornata, ovviamente, vedendo in tv le immagini spaventose dei container alla deriva che sbattevano contro il ponte di via Po, i gorghi nelle strade e i negozianti allibiti col fango a mezza gamba; ma, come la piena per mio padre continuerà ad essere popolata di schiuma bianca di detersivo e per mia madre di quadri che si disfano; la mia, appena smetterà d’essere cronaca comune e diventerà ricordo privato e piccola mitologia domestica, saprà sempre di timo. E farà meno paura.