martedì 10 febbraio 2015

Eredità

"Buttare i libri di chi muore in qualche modo è cancellare tutti i sentieri che quella persona ha percorso. A Bari è successo. Buttati nei cassonetti, ma molte persone hanno iniziato a rovistare per prenderne qualcuno. Per donare a quelle parole nuova vita. 
Immagine malinconica ma al contempo vitale, perché i libri sono preziosi e vanno salvati dalla monnezza. Perché i libri non si buttano. Si regalano, si donano, si vendono... a pensarci bene, se un giorno dovessero buttar via la mia personale biblioteca, significherà aver buttato via tutto ciò che sono stato." (Roberto Saviano)

L'ho voluto in casa mia il cofanetto di legno scuro con i pochi libri ereditati dalle prozie. Alcuni sono dei mattonazzi di autori ormai dimenticati editi negli anni Trenta; altri hanno nei risvolti di copertina le note critiche scritte di pugno dal prozio Luigi (vizio del gioco, ma penna ineccepibile...) o dal nonno: mi basta passare un dito sull'inchiostro sbiadito della loro scrittura elegante per commuovermi fino alle lacrime.
Tempo fa l'ho salvata anch'io la biblioteca di un morto - buona parte, almeno - mentre altri, giustamente, si preoccupavano dei mobili d'epoca e dei gioielli: c'erano cataloghi di mostre e musei, guide di luoghi del mondo dove non metterò mai piede, classici assortiti, qualcosa di Biagi, l'antologia di Spoon River (profetica…), parecchia roba della Allende. Ed è stata un'esperienza intima e devastante come poche altre nella mia vita.
E non importa il fatto che, probabilmente, non avrò il tempo né la volontà di leggere tutti i libri che ho ereditato. Non so nemmeno se riuscirò a leggere quelli che ho comprato io stessa e riposto senza aprirli sullo scaffale in attesa di tempi migliori che difficilmente arriveranno.
Importa il fatto che il primo mobile della mia casa a cui ho pensato sia stata la libreria. E che, pur non essendo, ovviamente, come me l'ero immaginata, dopo un anno sia già quasi piena.
Non è snobismo, per carità! La libreria non è uno status symbol; ma è esattamente quel che dice sopra Saviano: è la vita, il suo senso, i suoi desideri e i suoi sogni messi in fila pazienti in attesa di non si sa cosa sugli scaffali dei giorni. 
E' la migliore metafora con cui posso raccontare ciò che sono: un'accozzaglia di generi e stili messi a caso e spolverati raramente. Scuola, svago, lavoro, educazione al sentimento e all'immaginazione, evasione, droga leggera e antidoto alla mancanza d'amore. C'è molto in quegli scaffali. Non tutto, ovvio, solo quanto basta per raccontare l'ennesima storia che non interessa a nessuno.
E sapete che c'è? Che anch'io, come Saviano (quasi coetanei, e diversissimi), mi sono posta il problema di che fine faranno i miei libri dopo di me. 
I libri. Non l'auto, non la casa, non i pochi soldi e la bigiotteria maleassortita. I libri. E i quadri. E - se vogliamo dirla tutta - anche queste boiate che scrivo qui e altrove. 
Perché sono la cosa migliore di me e vorrei che potessero piacere e servire a qualcuno.
Vorrei solo che non andassero persi. Perché di persa ci sono già io.
E basta e avanza.