venerdì 26 agosto 2022

Il lamento della copy alle elezioni


Vabbè, sapete più o meno che lavoro faccio; e sapete anche che per (brutto) carattere tendo a prendere tutto un tantino sul personale; tipo che, a luglio del 2010, quando grandinò sul Vajolet durante uno spettacolo di Paolini, mi arrabbiai ferocemente con Giove Pluvio, o chi per esso, e dopo dodici anni ancora non mi è passata... 

Fatta questa premessa, potete ben capire quanto fisicamente male mi faccia vedere e ascoltare le robe squallide prodotte dai consulenti di comunicazione dei politici di ogni schieramento, nel corso di questa deliziosa campagna elettorale.

Ora, delle due l'una:
- O sono tutti degli improvvisati, assunti per via di raccomandazioni o conoscenze o appartenenze, che si limitano a dare una mano di colore alle robe partorite da chi li paga. 

- O sono dei professionisti capaci che, vuoi perché devono campare (e lo sappiamo che il mondo del lavoro non è esattamente rigoglioso), vuoi perché "Sì, dai, guadagnamo dei bei soldi facili e poi si vedrà"; o ancora perché "Leghiamo l'asino dove vuole il padrone, che non si sa mai", a un certo punto decidono di spegnere il cervello ed evitare qualunque tentativo di mediazione con i loro committenti; anche solo avvertirli - per il loro stesso bene - che dicendo quella cosa c'è il 99% di probabilità di tirarsi la zappa sui piedi.

In realtà, esiste anche una terza ipotesi: quella che siano proprio loro a inventarsi slogani infelici, loghi imbarazzanti e grafiche che le saprei fare meglio io (no, fidatevi, non è un complimento!).

Ma a questa terza opzione non voglio nemmeno pensare.

Già per le prime due provo un poco di vergogna, ma posso capirle: che tutti siamo stati degli "improvvisati", che hanno imparato il mestiere sbagliando e riprovando (e ancora sbagliano, ci mancherebbe!); e tutti siamo scesi o scendiamo a compromessi, e a volte, in coscienza, non possiamo fare altro.

La terza, invece, mi dà davvero l'orticaria. E non perché io mi ritenga più brava o migliore di loro: al contrario! Proprio perché essendo consapevole dei miei limiti, mi prende il terrore di potere, prima o poi, per abitudine, stanchezza, esasperazione (tutte cose molto umane), arrivare a fare anch'io le stesse cose.
Nel caso, ringrazierò chiunque mi acchiappi per un polso e mi dica: "Ma sei sicura?".

venerdì 8 luglio 2022

Però poi anche basta


Faccio molta fatica a spiegare ai miei che il fatto che molti giovani oggi rifiutino lavori malpagati e al limite dello sfruttamento non sia necessariamente segno del degrado dei tempi.
O, perlomeno, non nel senso in cui lo intendono loro.
 

Anche io da giovane ho fatto la gavetta!
Eh, ma bisogna fare esperienza!
Non si può pretendere di avere tutto subito!
Questi giovani non sono più abituati al sacrificio!

Tutto vero.
Però…
La gavetta tu l’hai fatta DA GIOVANE, poi basta.
L’esperienza a un certo punto si acquisisce, poi si comincia a fare sul serio.
Va bene non avere tutto subito, ma qualcosa, prima o poi, bisognerà pure ottenerlo!
Se le generazioni precedenti, educate al sacrificio, hanno pensato bene (o male?) di crescere i lori figli e nipoti nella bambagia, rendendo loro la vita facile in ogni modo, forse a loro quell’educazione non era piaciuta granché, e avendola loro stessi rifiutata, non dovrebbero stupirsi così tanto che altri la rifiutino.

La mia modesta opinione è che chi rifiuta il sacrificio, l’esperienza, molto spesso non lo faccia perché è un pappamolla codardo e sfaticato, ma perché sa che questi… non finiranno mai.

Non è solo mancanza di soldi, ma mancanza di prospettiva. 

Un* giovane che non sia figlio/a di papà o cresciuto nel deserto ha ben chiaro che le sue condizioni di vita saranno peggiori di quelle dei suoi genitori, indipendentemente da quanto possa o voglia impegnarsi.
Sa bene che cambierà decine e decine di lavori e difficilmente arriverà ad avere un minimo di stabilità economica.
E che in pensione non ci andrà mai, e se ci andrà, farà la fame.
Sa che dovrà sempre ricominciare da capo in una gavetta infinita che non porterà mai a poter dire, con sollievo: “Sono arrivato/a”.

Perché è un’emerita boiata quella che vi vanno raccontato che è bello non sedersi mai sugli allori e imparare ogni giorno qualcosa di nuovo.
Perché al di là di poche - lodevoli - eccezioni, la maggior parte delle persone vorrebbero avere un po’ di certezze, costruirsi un nido di solide abitudini e accoccolarcisi dentro.

E questo nido di abitudini non è detto che porti sempre al fancazzismo e all’automatismo dell’impiegato da barzelletta, che si intana nel suo ufficio a fare il sudoku e bere caffè. 

A volte un nido è ciò che serve alle persone per poter spiccare il volo, per poter osare di più sapendo che, comunque, c’è un posto a cui ritornare, qualcosa di raggiungibile a cui aspirare.
Che va bene “Siate affamati, siate folli”, ma anche desiderare di essere - prima o poi - sazi e pacifici è una cosa profondamente umana e degna di rispetto e comprensione.

Che non si è giovani per sempre.

venerdì 29 aprile 2022

L5-S1

 

Mettiamo che tu, per dire, abbia un'ernia.
Per un po' i medici ti dicono che non c'è problema, che ormai non si opera più nessuno di ernia, che basta un po' di fisioterapia e qualche antidolorifico e passerà.
 

Poi però l'ernia non passa. E i medici dicono che occorre operare e che, anzi, è già troppo tardi per correre ai ripari e potresti comunque avere qualche strascico in futuro.
 

E tu, giustamente, t'incazzi, perché dici: ma allora questi medici non sanno nulla? Hanno sbagliato diagnosi? Dicono tutto e il contrario di tutto? Volevano approfittarsi di me?
Poi pensi che, al netto di qualche errore, che sicuramente c'è stato; probabilmente il tuo era un caso un po' inusuale, per il quale i comuni protocolli non hanno funzionato e si è dovuto navigare a vista, aggiustando la rotta man mano che si approfondivano le conoscenze.
 

Ti operi, fai la fisioterapia, prendi le medicine; ma dopo sei mesi la schiena ti fa di nuovo male e scopri che... l'ernia è tornata!
T'incazzi ancora di più, ti senti presa in giro; ti chiedi se tutta la fatica che hai fatto e il dolore che hai subito potevi risparmiartelo. Poi capisci che, ahimé, no: che esiste un margine d'errore in ogni procedura e tu c'hai avuto soltanto una gran sfiga. E che, anche se non potrai mai sapere con certezza come sarebbero andate le cose se non ti fossi operata la prima volta, almeno sai di avere fatto tutto il possibile per limitare i danni.
 

E ti rassegni a convivere con l'ernia. Il che non significa né “smettere di vivere” né “vivere esattamente come prima”,  ma trovare un buon compromesso tra i due poli, che, nel caso specifico, significa: fare tutte le mattine un po’ di stretching e qualcuno degli esercizi che ti hanno insegnato quando facevi fisioterapia, evitare di fare attività fisica intensa, cercare di stare seduta e camminare nel modo più corretto possibile, evitare di sollevare pesi e, se proprio devi farlo, ricordarti di indossare il busto, il quale, ammettiamolo, portato per ore, soprattutto d’estate, è piuttosto fastidioso…
 

Una bella rottura di scatole, certo, una limitazione della propria libertà - si potrebbe persino dire - ma sempre meglio di rischiare di rimanere immobile a letto per giorni con un dolore così intenso da non riuscire a muovere nemmeno un mignolo senza vedere le stelle e da dover mettere il pannolone, perché alzarsi per andare in bagno è pura utopia.
 

Attenzione, però, nonostante tutte queste precauzioni, tu sai bene che potresti rimanere bloccata comunque; e quindi? È tutto inutile? Direi di no, se anche solo serve ad abbassare la probabilità che questo accada, o a procrastinarla il più a lungo possibile.
 

Poi, certo, puoi sempre scegliere, di tanto in tanto, di prenderti dei rischi, perché buon Dio! Quel sentiero è troppo invitante e chissà che bel panorama si vede da lassù: speriamo in bene e percorriamolo comunque; oppure… col cavolo che faccio tre giri per portare la spesa dall’auto al garage: chiappe strette, bacino rigido e via che si va! Però, se non sei completamente scema, se ti va bene tiri un sospiro di sollievo e non pensi che, dal momento che non è successo niente, vuol dire che l’ernia non esiste; e se ti va male, non dai la colpa ai poteri forti a big Pharma e alla lobby dei fisioterapisti: taci e ti lecchi le ferite, dicendoti che, forse era meglio non farlo e sapendo benissimo che, magari, la prossima volta lo farai lo stesso, perché gli esseri umani non sono mai stati dei campioni di coerenza e forza di volontà.


E, se sarai molto onesta con te stessa, saprai pure che, non vivendo tu in un’isola lontana da tutto e tutti, le conseguenze delle tue decisioni potrebbero non danneggiare solo te, ma coinvolgono inevitabilmente tutti coloro che ti stanno attorno e che dovranno assisterti o sostituirti nei tuoi impegni di lavoro e di famiglia.
E tutto questo succede con un’ernia, che non è nemmeno contagiosa e non ti mette in pericolo di vita…

Ci arrivate da soli, o devo venirvi a percuotere le vertebrine una a una?

 PS: sì, ho un'ernia.