mercoledì 23 aprile 2014

Icone, anfore, clessidre, angeli pallidi e inquieti: le donne di Klimt e Campigli

Carte scoperte, per cominciare: fino due settimane fa del pittore Massimo Campigli ignoravo l'esistenza. Da domenica scorsa, dopo la visita alla mostra a lui dedicata alla Magnani Rocca, devo dire che mi è simpatico, ammesso che il termine, più adatto a indicare il rapporto con un amico, possa essere usato per descrivere l'apprezzamento per un artista.
Però, come sapete, io amo le curiose coincidenze e appena ho appreso che questo tedesco-fiorentino, che fu anche soldato e giornalista, cominciò a pensare di darsi alla pittura folgorato da una visita al museo etrusco di Villa Giulia a Roma non potevo non rimanerne colpita.
Anch'io ho amato quel museo, visto all'ora di chiusura una settimana dopo aver compiuto venticinque anni (la bigliettaia mi fece ugualmente lo sconto riservato ai giovani: è stata l'ultima volta!). E' una bellissima villa rinascimentale che un eccentrico collezionista, nell'Ottocento, allestì a museo in un angolo defilato del parco di Villa Borghese, ricolma di vasi greci, sarcofagi etruschi, ori antichi e altre meraviglie. Eravamo praticamente sole allora, io e mia cugina, e ricordo i custodi che ci chiudevano le porte alle spalle in silenzio, appena ci decidevamo ad uscire da una stanza. E ricordo i sorrisi indecifrabili - tipici dell'arte etrusca - sulle labbra di dei e defunti, accomunati da una strana eleganza di forme essenziali e geometrizzate, antiche ed eterne.
Anche le donne di Campigli sono così: stilizzate, geometriche, innaturali, eppure eleganti. Un curioso riassunto di epoche e stili che vanno dalle civiltà arcaiche (minoici, egizi, etruschi) alle arti tradizionali africane fino ad arrivare ai suoi contemporanei: Picasso, De Chirico, De Pisis. Con quest'ultimo condivide i colori chiari e polverosi, che paiono visti attraverso una tenda in un giorno particolarmente assolato.
Dipinge quasi esclusivamente donne, Campigli. I critici dicono che sia per via della sua curiosa biografia: figlio di una ragazza madre tedesca, che lo affidò ai nonni in Italia per evitare scandali e lo andava a trovare di tanto in tanto facendosi chiamare zia. Le sue donne, dunque, sarebbero dee madri, inafferrabili eppure (e proprio per questo) adorate.
Hanno petti e fianchi larghi e vitini innaturalmente sottili, ma sono quanto di più lontano possibile dalle pin-up o dalle donne grottesche e discinte disegnate, che so, da Fellini, che mi sta anche per questo un po' antipatico (chiedo scusa ai cinefili).
Le donne di Campigli, mi pare, non sono oggetto di desiderio, non in maniera esplicita almeno, piuttosto di ammirazione curiosa e un poco timorosa: sono anfore e clessidre che contengono misteri insondabili; attraggono, ma, allo stesso tempo, con la loro rigidità e la profonda fissità degli sguardi, mettono in guardia dall'avvicinarsi troppo, dal pretendere di capire e giudicare.
E così anche un'adolescente dei suoi tempi, pur somigliante all'originale, diviene una dea senza tempo, che ti guarda con occhi fissi e sgranati come le steli del Fayum: il caschetto, pur perfettamente riconoscibile, diviene un'aureola quasi bizantina e il vestito dalle geometrie optical anni '60-'70 diviene un'armatura degna di una divinità precolombiana, dipinta, però, con colori chiari e gessosi, da affresco medievale.
Ben diverse sono le donne di Klimt, viste a Palazzo Reale Milano dopo una lunga coda sotto l'acqua (e ti pareva!), affrontata da me e Dani con quieta rassegnazione e il conforto di due bomboloni abbondantemente zuccherati. Neppure in loro mancano i riferimenti al passato, perlopiù biblico o mitologico: c'è Eva, che con la sua pelle bianchissima, gli occhi felini e i lunghissimi capelli dorati (che invidia!) ruba la scena a un Adamo che emerge, terreo, dallo sfondo; c'è Giuditta, elegantissima e sfuggente, che regge la testa del povero Oloferne come fosse una pochette (fa un po' Daverio detta così...); ci sono sinuose ninfe di fiume dalle chiome improbabili e ammalianti figure non meglio definite, circondate da fuochi fatui. Sono anch'esse figure divine, in un certo senso, ma in un modo del tutto diverso: sono inquiete e inquietanti, un poco perverse e pericolose; creature da cui sarebbe bene stare alla larga, se non fossero dannatamente affascinanti. Anche in questo caso, forse, centra qualcosa la compagna del pittore: una stilista assai moderna e anticonformista.
Comunque sia, si va dalle donne angelo di Campigli alle tentatrici di Klimt: un classico anche in letteratura da cui ancora fatichiamo a staccarci. Forse perché, infondo, un po' ci piace. Ammettiamolo: una volta nella vita anche a noi, arruffate e prosaiche donne del ventunesimo secolo, piacerebbe essere guardate con gli occhi di questi due pittori e sentirci antiche, inafferrabili e affascinanti, deliziosamente pericolose; poi, per fortuna, ci passa, e ci godiamo la visione di queste nostre sorelle bidimensionali appese alle pareti con la consapevolezza di possedere, almeno, tutto un altro spessore. E non sto parlando dei chili di troppo!

mercoledì 16 aprile 2014

Hai abbracciato la tua gallina oggi?

Scusate, ho un post quasi serio in sospeso da giorni, ma questa non potevo esimermi dal pubblicarla!
Una botta di tenerezza piumosa prima di Pasqua ci sta anche bene. Che dite?

martedì 8 aprile 2014

Hens on stage!

Oh, questa proprio non me l'aspettavo! Tanto che me ne sono uscita con un'esclamazione di stupore nel bel mezzo dell'autobus, guadagnandomi, tanto per cambiare, qualche più che giustificato sguardo di compatimento. Ma ne valeva la pena perché, leggendo il Coriolano di Shakespeare (se avete letto i post precedenti sapete che non è affatto una scelta casuale), ho trovato questi versi:

"Thou hast never in thy life
Show'd thy dear mother any courtesy,
When she, poor hen, fond of no second brood,
Has cluck'd thee to the wars and safely home,
Loaden with honor."


"Tu non hai mai, nella tua vita/ mostrato alla tua cara madre alcuna cortesia, / mentre lei, povera chioccia, che non si affezionò a una seconda covata, / ti ha accompagnato starnazzando alla guerra, e poi sicuro a casa,/ carico di onori."

Direi che sono perfetti per la nostra raccolta di "galline famose". E' la scena terza dell'atto quinto. A parlare è Volumnia, la madre di Coriolano, che da lei ha preso un caratterino alquanto indomito.
Per capirci, in una delle sue prime apparizioni, l'augusta matrona se ne esce con la seguente frase: "Ho un cuore poco malleabile come il tuo, ma ho un cervello che mi guida ad usare la mia rabbia per un vantaggio migliore".
Quindi, quando si definisce "povera chioccia", usando la parola "hen", proprio come noi in questo blog, non c'è molto da crederle. O meglio, diciamo che della chioccia, proprio come proviamo a fare noi, essa coglie gli aspetti migliori: è intelligente, decisa (a volte persino spietata) e capace di tener testa non solo al figlio, ma anche alla maggior parte degli uomini presenti sulla scena. E' ferocemente legata all'onore della sua famiglia, ma dotata di sufficiente buonsenso per sapere quando è il caso di rinunciarvi.
Niente male, no?
E bravo il vecchio Will!


mercoledì 2 aprile 2014

Uomini & donne

"We're all stories, in the end. Just make it a good one!" 
(Doctor Who)

Perdonatemi il titolo da Maria de Filippi!
Latito, lo so, e me ne scuso. O forse non dovrei? Magari è un sollievo per gli sventurati lettori. Fatto sta che mi secca non mantenere gli impegni, anche quelli non scritti come quello di portare avanti questo blog. Il fatto è che avere una tv e una rete adsl a propria completa disposizione istigano a perdersi tra strane scoperte in streaming e seconde serate.
Comunque sia non perdiamoci in prologhi. Stanotte (ieri notte per chi legge) parliamo di uomini.
Smettete di ridere, per favore! Benché questa frase pronunciata da me suoni un ossimoro, proviamo ad essere seri.
Mi ha molto colpito, nel commento di Chiara (grazie!) al post precedente, l'aver scoperto che suo marito è un nostro lettore. La cosa mi fa piacere, ovviamente, ma un po' mi impensierisce, in senso buono, però.
Mi sono sempre chiesta, fin dall'inizio di questa avventura, in che modo un blog scritto da donne potesse essere letto dagli uomini. E, poiché l'idea generale è che, laddove si scrive e si parla alle donne gli argomenti principali debbano essere vestiti, trucchi, scarpe, pettegolezzi, cucina, bambini e uomini (preferibilmente belli, ricchi e famosi), non necessariamente in quest'ordine, vado particolarmente fiera del fatto che, negli anni, in questo pollaio le cose siano andate un po' diversamente.
Abbiamo parlato di ricordi, di viaggi, di libri, di film, musica; condiviso dubbi, riflessioni, esperienze e qualche sana sciocchezza. Insomma, abbiamo fatto un bel minestrone che di certo non è servito a rendere il nostro blog popolare: per quello era meglio specializzarsi in qualcosa di più definito e appetibile; ma non credo che questo ci sia mai importato. E le 10-15 (ma a volte anche 2 o 3) visite giornaliere sono più che sufficienti, anzi, a me personalmente stupiscono ancora...
Certo, abbiamo parlato anche di cucina, ma senza indossare i panni di una Parodi Padana. Abbiamo parlato di bambini (figli, alunni, amici) senza però infiocchettarli, ma mescolando all'indubbia tenerezza una dose massiccia di senso di responsabilità nei loro confronti, non solo in quanto madri, maestre, donne, ma in quanto persone adulte con cui questi piccoli si sono trovati a confrontarsi.
E abbiamo persino, come dicevo, parlato di uomini. Ho parlato di uomini. A volte anche molto male. E immagino che qualcuno degli sparuti lettori dell'altra metà del cielo si sarà pure seccato: "Eccola qui, l'ennesima zitella frustrata che se la prende con gli uomini perché non se la sono mai filata; e va in cerca di qualcosa che non esiste così è sicura di non trovarlo perché ha una dannata paura di mettersi in gioco". Sapete che risponderei a un lettore del genere? "Hai ragione, caro, e ne sono consapevole; ma non è tutto".
Perché, ripercorrendo gli oltre 250 (!) post accumulati qui dentro, mi sono resa conto che di alcuni ho parlato anche bene o, almeno, ho desiderato descriverli qui per fissarli nella memoria e per ringraziarli di avere incrociato in qualche modo la mia strada.
Ci sono i due cavalieri milanesi, anche detti "il diavolo e l'acqua santa"; l'informatico che passa con nonchalance dal codice html alle citazioni di poesie e canzoni, l'attore che mi perse, protettivo, per i carugi di Genova, l'intrigante veneziano (la definizione è un prestito da Hugo Pratt, che a lui piacerebbe), lo zio pittore, la cui memoria mi sono portata nella casa nuova assieme a un paio dei suoi quadri, il mio primo amico d'infanzia, compagno di piratesche battaglie giocate sul parquet delle rispettive camerette; mio padre, ovviamente, e il mio capo, che nomino tanto spesso che a qualcuno è persino venuto in mente possa esserci qualcosa sotto. Sappiate che questo mi addolora.
Da nove anni a questa parte è l'uomo con cui trascorro il maggior numero di ore la settimana e, oltre alle imprese di lavoro, inevitabilmente, abbiamo affrontato insieme momenti di gioia e di tristezza, discutendo, scherzando, litigando, o confessandoci a vicenda a cuore aperto, come persone adulte che, nel tempo, hanno imparato a fidarsi un poco l'una dell'altro. E questo è quanto. E il fatto che sia uomini sia donne fatichino a capire una cosa così semplice mi spaventa e mi rende ancor più cauta e chiusa di quanto vorrei essere.
E, tralasciando volutamente le citazioni di attori, scrittori ed altri personaggi che hanno animato questo blog, ma sempre più con il loro talento che con la loro eventuale (e pur gradita) avvenenza, l'elenco potrebbe continuare, perché di certo ho dimenticato qualcuno.
Mi sono divertita a cercare di render giustizia ai loro gesti e alle loro parole, forse più di quanto non mi diverta quando descrivo una donna, perché, probabilmente, questo è uno dei pochi mezzi che ho per muovere qualche passo, a mio modo, in un universo a me piuttosto sconosciuto.
Ho parlato di loro come colleghi, amici, fratelli, ma soprattutto, come persone. E se con gli uomini a volte è davvero difficile capirsi, con le persone che sanno cogliere la comune umanità dell'altro, fatta di forza e fragilità, si può sempre trovare il modo di comunicare e convivere. Questo per me è l'importante. Spero lo sia anche per loro.