mercoledì 8 febbraio 2023

Cos'è che trema...?

Il clima musicarello della settimana sanremese mi ha riesumato un ricordo.
 

Da bambina passavo le estati in un piccolo paese d'Appennino.
La domenica andavo a messa nella piccola chiesa, costruita all'ombra di uno sperone di roccia nera, sul quale un tempo c’era un castello.
Lo sperone si protendeva fin quasi a sfiorare il campanile ("Speriamo regga" era l'accorato pensiero di tutti i fedeli, stipati entro le ombrose mura durante la celebrazione), tanto vicino che persino io, che avevo cinque o sei anni, non di più, allargando le braccia, riuscivo a toccare roccia con una mano e intonaco con l'altra. 

Ebbene, il coro di pie donne della chiesina cantava ogni singola canzone - da quelle che probabilmente datavano a prima del Concilio (scegliete voi quale) fino alle hit del buon Sequeri, che allora erano quasi nuove - con una specie di curioso tremolio. 

La prima volta che le udimmo, noi "villeggianti", provenienti dalla città, ne rimanemmo prima stupiti, poi divertiti. Tanto che, per anni, rievocando quelle estati, ci veniva da cantare “alla maniera del coro della chiesina di P.”, finendo inevitabilmente a ridere prima ancora di arrivare al ritornello. 

Oggi, a mente fredda, e totalmente digiuna di musica, mi chiedo da dove venisse quel tremolio.
Chi avesse per primo/a insegnato a quelle donne di un paese d’Appennino che il modo giusto di cantare era quello e non ciò che si ascoltava allora alla radio, in tv, in musicassetta e, appunto, sul palco di Sanremo. 

Chissà che curiosa e forse persino remota origine aveva quello stile, più simile a quello dei tenores sardi e a certe cose ascoltate nei documentari sull’Africa o il Medioriente che alla musica pop. 

Ecco, pensandoci in questi termini diventa all’improvviso molto meno ridicolo e molto più pieno di significato.
Una tradizione che s’è persa, come tante altre. 

E, magari gli antropologi e i musicologi del futuro si chiederanno le stesse cose della trap…