lunedì 23 gennaio 2012

In bianco e nero

Ieri domenica indoor. Colta da un raro attacco di "messapostite acuta" mi sono accosciata davanti alle due ante basse del mobile accanto alla scrivania in camera mia e ho tentato di fare ordine. Inutile dire che ne è uscito di tutto: le scatole dei colori che non uso più (acrilici, tempere, per stoffa, per vetro...), borsette, musicassette, lettere e cartoline (praticamente dei reperti archeologici!) e, udite udite, due intere pile di fotografie. Le più "antiche" risalgono alle medie, le più recenti all'estate scorsa. Mi sono rivista con la frangia e l'apparecchio (terribile!), mi son fatta venire il magone riguardando le foto di Camaldoli 2003 e di tutto quel che ne è seguito; mi sono ritrovata al Louvre con alle spalle la nike di Samotracia, eccetera eccetera. Tranquille, ve le risparmio.
Pubblico, invece, un "documento" storico, gelosamente custodito nell'album di famiglia dei miei. E' uno struggente bianco e nero degli anni '30. La spiaggia dovrebbe essere quella di Monterosso. Al centro, perfettamente vestito e con tanto di ombrello (chissà se anche lui, come me, se lo portava appresso in ogni stagione...), c'è il mio bisnonno, che rispondeva al sorprendente nome di Villibaldo, alla sua destra c'è mia nonna, a sinistra, con la camicetta bianca smanicata, sua sorella, la mia prozia, entrambe giovani, sorridenti e pettinate esattamente come le dive dell'epoca di cui collezionavano le cartoline. Attorno a loro amici a me ignoti di un'estate d'anteguerra.
La pubblico perché mi piace pensare che questa vecchia immagine diventi un pugno di pixel e si metta a viaggiare per la rete. Perché io ho ereditato da loro questa foto e forse nessuno erediterà le loro e le mie e questo, dopotutto, mi dispiace. Non è questione di vanità, ma di memoria. Perché "siamo il frutto della nostra storia", ma "a volte le storie che non riusciamo a raccontare sono proprio le nostre... Quando una storia viene raccontata non può essere dimenticata, diventa qualcos'altro: il ricordo di ciò che eravamo, la speranza di ciò che possiamo diventare" (La chiave di Sarah, film di Gilles Paquet-Brenner tratto dal libro di Tatiana De Rosnay).

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