lunedì 28 febbraio 2011

Voto di vastità...

Diciamo subito che il titolo non è un refuso. E' semplicemente il tema principale dell'ultimo spettacolo di Alessandro Bergonzoni ("Urge") che io, Co, Dani e sua sorella abbiamo visto venerdì al Due. Ne siamo uscite ridendo e abbiamo continuato fino a casa di Dani, cercando di ricordarci a vicenda le battute migliori. Ovviamente ci venivano in mente solo le peggiori, quelle più semplici, quasi da barzelletta: il geco che chiede al tordo "Guarda dove vado" e il tordo risponde "Scusa, cosa hai detto?"; o la merla in mezzo al marciapiede che esclama convinta "Voglio vedere se qualcuno mi pesta"; ma vi assicuro che questo saltimbanco delle parole (forse anche un po' dell'anima, per dirla con Palazzeschi), sa fare ben altro, procedendo per associazioni di idee, scambi di lettere, forzature di proverbi e tutto l'armamentario dell'enigmistica (e della poesia), per far sorridere e anche un po' pensare. Come dargli torto, ad esempio, quando ha invitato tutti (anche gli uomini?!) a "rifarsi il senno" o a "scavare il fosse" per vedere se viene fuori qualche idea nuova? Ho il forte sospetto che, al di là di un tema o di un filo, per quanto sottile, che leghi tra loro le varie parti dello spettacolo, quello che interessa al bolognese folle e scapigliato sia proprio la parola in sé: il puro piacere di usarla come vuole, per creare qualcosa di nuovo. Non è un caso, credo, che sia anche un artista, come lo furono, ad esempio, Buzzati e il padre di Michael Ende: saper maneggiare il colore e la materia, probabilmente, aiuta a fare lo stesso con le parole. Però, anche nei voli più surreali, nelle forzature più ardite, mi pare rimanga un rispetto di fondo: le usa per sorprendere, divertire e stuzzicare l'intelligenza, non per convincere, nascondere o ingannare. Insomma, il suo è un esercizio di libertà, o, appunto, un "voto di vastità" che non può che far bene al cuore.
Dopotutto è una prova di vastità anche quella che ho visto domenica pomeriggio, assistendo a una gara di wheelchair hockey, cioè hockey giocato in carrozzina, tra la squadra di Parma e quella di Modena. Chi di voi si immagina una partitella tra persone variamente malmesse che han trovato un modo per passare il tempo sbaglia: sono sportivi veri, accaniti e leali, capaci di dare più di una lezione ai blasonati e strapagati calciatori. Sui loro mezzi elettrici, con tanto di rostro da Ben Hur per acchiappare la pallina (in realtà si chiama stick), incutono anche un po' di timore e molta ammirazione, per la loro capacità di superare con intelligenza e dignità i limiti imposti da una natura matrigna. Alla fine c'è anche il terzo tempo, come a rugby, nel quale la squadra di casa eccelle sempre, indipendentemente dai risultati in campo. Vero Moki?
A proposito di parmigiani. Ne approfitto per fare un appello agli sceneggiatori che ambientano spot pubblicitari o fiction dalle nostre parti. Ma santo cielo! Cosa vi costa mandare gli attori a fare un corso accelerato alla "Famija Pramzana" o noleggiare un coach da una qualsiasi delle compagnie dialettali cittadine? Va bene che nel resto d'Italia nessuno ci farà caso, ma per noi è una tortura sentire sorci appassionati di formaggio con una cadenza che riassume il peggio dei dialetti locali senza assomigliare a nessuno o le sorelle Fontana (da Traversetolo) parlare in bolognese.
Arvedros, galline, e... non pestate merle, anche se, pare, portino fortuna!

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