Il titolo è una variazione sul tema del libro di Gianrico Carofiglio che ho appena finito di leggere - La manomissione delle parole - ma è anche ciò che io e Dani abbiamo fatto nei giorni scorsi su tre giornalini che stanno andando in stampa, trovando magnifiche imprecisioni e deliziose castronerie. Lo ammetto: alcune le ho scritte io; ma altre, tra cui una in cui si sosteneva che gli ortodossi, non so se masochisti o attenti alla linea, facciano 40 giorni di penitenza DOPO, anziché prima, di Natale, mi hanno fatto parecchio arrabbiare: mi hanno dato la misura di quanto sia facile ridurre la scrittura - soprattutto quando si tratta di piccole cose - a un taglia e incolla meccanico e impersonale che si può tranquillamente fare con la testa e il cuore da un'altra parte e, quel che è peggio, senza che nessuno se ne accorga. Perciò stavo per scrivere un post feroce sul degrado della cultura e amenità simili, nel quale mi sarei miseramente impantanata, quando, per fortuna, nel libro di cui sopra ho trovato questa citazione:
"Immaginare un linguaggio significa, sempre, immaginare una forma di vita. Scrivere è, sempre, un'esplorazione allo stesso tempo di sé e del mondo, un viaggio di scoperta, una ricerca di senso, il gesto politico e rivoluzionario di chiamare le cose con il loro nome. Scrivere è essere qui".
Niente male, vero? Io ancora ci credo. Lo regalerò al mio capo...
PS. La foto è l'epigrafe dantesca sul muro del monastero di Fonte Avellana: a proposito di gente che scriveva sul serio!
mercoledì 8 dicembre 2010
La manutenzione delle parole
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