Ieri ho incontrato un mio compagno di università che non vedevo da anni. Era una strana creatura: roseo, pingue e forbito come un gentiluomo dell'Ottocento. Oggi è meno pingue, più stempiato e fa un lavoro che non c'entra nulla con i suoi studi (e questo è normale), ma lo stile è più o meno lo stesso. A lui devo uno dei momenti più surreali del mio percorso accademico. E' andata così. Ci ritrovammo in quattro gatti a seguire un corso facoltativo con l'assistente del professore di greco, creatura altrettanto notevole: giovane, minuto, timido e appassionato. Quando ci propose di fare una ricerca ciascuno su un diverso epigramma di Callimaco, nessuno ebbe il coraggio di dirgli di no. Così iniziammo a scartabellare tra i volumi della biblioteca d'istituto - sparsa in varie stanzette - alla ricerca di materiali. Devo confessare che, abitando vicino all'università, molto raramente mi era capitato di fermarmi a studiare in istituto e ancor più raramente mi era capitato di utilizzarne la biblioteca; quindi i primi giorni non trovavo nulla: non sapevo dov'erano i vocabolari, dov'erano i lessici e le antologie; ma lui sì! E quindi, perché girare a vuoto quando potevo chiedere? Alla fine, esasperato, mi prese per un polso e mi fece fare un tour illustrandomi l'intero contenuto e l'esatta disposizione della biblioteca. Un giorno che stavamo entrambi litigando sui rispettivi epigrammi - lui, rigoroso, andava in cerca dell'etimologia di ogni parola, io, anarchica, mi ero lanciata in una disquisizione sull'origine della poesia secondo gli antichi (tecnica pratica? ispirazione divina?) - mi si avvicinò con aria cospiratoria dicendo: "Vieni con me! Ho scoperto una cosa...". Conoscendolo come persona affidabile mi azzardai a seguirlo. Mi ritrovai nella più remota delle stanzette della biblioteca: praticamente un sottotetto male illuminato nel quale il nostro, felice come un bambino, mi rivelò di aver ritrovato l'intera collezione dei classici della Loeb che non era segnata nel catalogo. Non era cosa da poco, visto che i simpatici libretti hanno la traduzione a fronte in inglese e comprendono anche titoli poco noti che potevano servirci per la ricerca. Cominciammo a sfogliarne qualcuno. Proprio quando eravamo entrambi chini sulle paginette di non so quale autore si spalancò la porta ed entrò il giovane assistente, che rimase sulla soglia con un'espressione di assoluto imbarazzo. Ci mettemmo un attimo a capire il perché: una stanzetta buia, un ragazzo e una ragazza vicini che guardano lo stesso libro... Così, anche noi, pur senza averne, ve l'assicuro, alcun motivo, restammo incapaci di proferire verbo. Poi, visto che è in certe situazioni che si riconoscono i veri uomini, fui io a riprendermi per prima e a spiegare come stavano le cose. Finimmo, con sollievo, a ragionare di edizioni critiche.
Se ci ripenso mi viene ancora da sorridere, soprattutto perché, anche se non ce lo siamo mai detti, sono certa che tutti e tre, nei dieci secondi di silenzio, abbiamo pensato la stessa cosa: Dante! Canto V dell'Inferno. Paolo e Francesca! Eravamo, allora, troppo intrisi di letteratura per non fare subito il collegamento, per non dare, anche contro la nostra volontà, anche contro la realtà dei fatti, ai nostri gesti più banali un'aura d'eternità. Il chè, scusate, a me sembra bellissimo...
lunedì 13 settembre 2010
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