martedì 29 gennaio 2013

Il regalo più bello

Paolo ha occhi sornioni, l'accoglienza schietta e un po' schiva dei montanari.
L'ho conosciuto tempo fa per lavoro, quando ancora i piccoli comuni avevano i soldi per fare un giornalino, e ogni tanto mi capita di rivederlo.
Paolo, ogni tanto, mi regala un racconto: lo sceglie con cura dalla sua raccolta di storie vere, quasi vere o inventate che gli sono accadute o che s'è sentito raccontare dai vecchi quand'era bambino e che, a sua volta, si sente chiamato a tramandare.
Il primo, struggente, parlava di un ramarro innamorato di una bella casellante; il secondo di un merlo incantato da una serpe.
Sono storie semplici, garbate, senza particolari pretese letterarie, ma nelle quali si respira qualcosa delle atmosfere di Rigoni Stern e Mauro Corona: il realismo un po' magico di chi è abituato a osservare e ascoltare animali, boschi e montagne, oltreché persone.
Il solo fatto che gli sia venuto in mente di donarle a me, la cittadina che a malapena conosce, mi commuove profondamente e mi riempie di gratitudine.
Lui non lo sa - o forse sì? - che non poteva farmi un regalo più bello.
Paolo ha 84 anni.

mercoledì 23 gennaio 2013

Qualcuno era vintage perché...

"Un vecchio e un bambino si presero per mano
e andarono insieme incontro alla sera"
.
(Francesco Guccini)

Come forse ricorderete, tra i miei peccati di gioventù c’è stata anche la militanza in una specie di coro, nelle retrovie, ovviamente. Ne uscii al second’anno d’università, un po’ perché mi ero stancata, un po’ perché mi illudevo che diradando gli impegni sarei riuscita a non finire fuori corso, ma anche perché ci piombarono tra capo e collo un manipolo di agguerritissime bambine dalla bella voce, totalmente prive di panico da palcoscenico, che pretesero e ottennero di rinnovare il repertorio, costituito per lo più da canzoni italiane degli anni '60, che al nostro maestro ricordavano tanto la gioventù.
Si passò così dai Nomadi a Britney Spears. Non era questione di invidia. Sapevo benissimo che quel che facevano loro a me non sarebbe riuscito e non m'importava: non ho mai avuto aspirazioni da rockstar, mi bastava divertirmi a cantare cosa che, invece, accadeva sempre meno.
Pensandoci ora, credo di aver capito perché: il repertorio vintage era buono sia per noi, sia per il nostro "pubblico". Per noi, che andavamo dai 12 ai 20 anni, era un terreno inesplorato, che non ci apparteneva e, dunque, imparavamo le canzoni e le cantavamo in maniera piuttosto imparziale, scoprendo a volte qualcosa che ci piaceva - e che probabilmente non avremmo conosciuto in altro modo - e non facendoci grossi problemi per quel che non ci piaceva, perché non era roba che ascoltavamo normalmente e di cui discutevamo con i coetanei.
Per il nostro pubblico (se così si può definire...), composto da pensionati dei circoli Arci o parrocchiali (perfetta par condicio) nei quali ci esibivamo, e da genitori, nonni e fratelli nostri o dei membri degli altri gruppi con i quali partecipavamo a qualche rassegna, il repertorio andava bene perché era sufficientemente datato per essere noto - e spesso gradito - a più generazioni e per non appartenere più a nessuna.
Non è vero, infatti, che la contemporaneità, obbligatoria ora in ogni campo, non solo in quello musicale, favorisce la comprensione. A volte, anzi, crea più barriere di quelle che ci si illude di abbattere inseguendo la moda del momento.
Per questo ringrazio il maestro del coro che mi ha imbottito di Nomadi-Guccini-Battisti-Zero-Morandi-Pooh, come ringrazio i miei genitori che mi hanno regalato assaggi dagli anni '30 (le canzoni delle nonne), ai cori alpini all'opera. E ringrazio anche gli insegnanti che mi hanno fatto leggere testi vecchi di secoli (talvolta di millenni), che, molto probabilmente non sarei stata in grado (né avrei avuto voglia) di scoprire e affrontare per conto mio.
Perché mi hanno dato degli strumenti per dialogare con generazioni diverse dalla mia, impedendomi di vivere in un eterno e autoreferenziale presente.
Questo, credo, sia uno dei compiti degli educatori.
Perciò resto sempre un poco perplessa quando leggo, ad esempio, del nuovo "liceo sportivo", nel quale ore di latino e storia dell'arte (sic!) saranno sostituite da ore di educazione fisica. Così come non credo che l'informatizzazione spinta possa risolvere i problemi della scuola.
A conoscere e praticare gli sport e a imparare ad usare strumenti elettronici, infatti, i bambini son capaci anche da soli - per quanto sia necessario, ovviamente, dare loro delle "linee guida" - così come da soli (o, meglio, assieme ai coetanei) son capaci di leggere Harry Potter (già un po' datato), o di ascoltare la pop star di turno, che non è quella dei genitori, ma nemmeno quella dei loro fratelli di pochi anni minori: perché i successi sono quanto mai passeggeri e dettati più da regole commerciali che da questioni estetiche o di valore.
Alzi la mano chi di voi, invece, avrebbe letto da solo Shakespeare o Leopardi, che pure spalancano mondi d'immagini e di pensieri che è possibile condividere con altre persone di altre età e altre provenienze, gettando un ponte tra epoche e generazioni. Cosa che riuscirebbe molto più difficile facendo riferimento al presente, nel quale siamo immersi e che, perciò, è difficile anche giudicare e interpretare.
E compito della scuola (e degli educatori) non è forse quello di dare, oltreché nozioni, anche strumenti di giudizio?
Intendiamoci, non sto idolatrando il passato, né contestando le riforme. Credo che si debba e si possa ricalibrare i programmi, dare più spazio ad autori più recenti ma in qualche misura già "classici", far entrare nella scuola la quotidianità, ma senza esagerare.
Perché ho il forte sospetto che sia nonostante tutto più facile (e anche più bello) far capire ai ragazzi cosa dovrebbe essere la democrazia leggendogli il discorso di Pericle agli Ateniesi, piuttosto che facendoli assistere ad un talk show; o spiegare il significato della parola libertà ascoltando una canzone di Gaber anziché l'inno di un qualche partito...

PS: Ok, confesso, questo post l'ho pensato guardando lo speciale di "Che tempo che fa" di lunedì scorso.
PPS: Ma perché 'ste filippiche le scrivo io e non le mie colleghe insegnanti? Forse perché loro hanno più pudore e più buon senso?
Ai posteri l'ardua sentenza (a proposito di classici!)

lunedì 14 gennaio 2013

C'è grossa crisi...

Vorrei imitare
questo paese
adagiato
nel suo camice
di neve.
(Dormire, G. Ungaretti)

Venerdì mattina, di ritorno dall'ennesima riunione con potenziali clienti, il capo mi piomba in ufficio senza nemmeno salutare e pronuncia la seguente frase:
"E se noi piantassimo tutto e aprissimo una nuova agenzia, che ne so, in Giamaica?!"
Sabato tra le ciose si è cominciato a parlare di vacanze, perché, se "Dopo ferragosto è già Natale" (Costi dixit), dopo Natale, è già ferragosto...
Propongo il letargo fino a marzo.

PS: C'è qualche anima buona che ha visto "Cloud atlas" e c'ha capito qualcosa? No, perché noi ne siamo uscite un tantino confuse. Sarà perché siamo galline o sarà che è un po' contorto? Si accettano ipotesi.

PPS: (del 16 gennaio) Certo che è una soddisfazione vedere per l'ennesima volta la propria città in prima pagina per l'ennesimo scandalo di corruzione dei soliti politici. Sì, il letargo potrebbe essere una soluzione, ma temo dovrebbe durare molto a lungo per potersi risvegliare in un clima (non solo atmosferico) un po' migliore.

venerdì 4 gennaio 2013

Milan l'è un gran Milan

Milano con il sole è diventata ormai una nostra prerogativa. Dovremmo forse farci dare una percentuale, perché, mentre altrove, più di una volta, le nostre gite causano lo scatenarsi degli elementi, la capitale meneghina, finora, sia d'estate che d'inverno ci si concede al suo meglio.
Mattina luminosa, ammirata attraversando Parco Sempione, dove un'incredibile quantità di coppie di neosposi presumibilmente cinesi faceva le foto con i parenti sull'orlo del lago, e nell'anfiteatro semideserto dell'omonima piazza, mentre le mie compagne di viaggio, scendendo i quattro gradini di contorno, s'immaginavano una certa scalinata di Filadelfia...
La prima scusa ufficiale della gita era accompagnare Dani, che doveva andare a Milano per lavoro, la seconda era visitare al Castello sforzesco la mostra di illustrazioni di libri per ragazzi realizzata per celebrare i 150 anni della Salani, terza scusa: rivedere Elisa, che avevo promesso di andare a trovare per le feste. Bastano? Beh, le abbiamo fatte bastare!
E pazienza se, come spesso capita, poi si divaga per bancarelle rosso natalizio all'ombra benevola e arzigogolata del Duomo in una sera prima rosa, poi azzurra, scesa piano sulla piazza gremita.
La mostra è interessante e, tra un piccolo lord e una fata dai capelli turchini, abbiamo ritrovato un antenato del photoshop: la foto di una fanciulla inserita all'interno di un disegno fatto a mano, esperimento grafico innovativo datato 1912, ed anche i precursori di "Porta a Porta": librettucci che, già a fine Ottocento, narravano con dovizia di particolari macabri o scabrosetti fatti tratti dalla cronaca ed erano venduti a poco prezzo per la fame di grottesco che, evidentemente, non è così moderna.
Poi, ovviamente, incorniciate in oro, c'erano le copertine di Serena Riglietti per Harry Potter: sinuose e zeppe di simboli.
Il bookshop della mostra, poco abitato, era curato, guardacaso, dalla Libreria dei Ragazzi; ma anche la libreria a tema religioso nella quale ci siamo infilate lungo il tragitto, con notevoli presepi in legno d'ulivo e il libraio gentile, aveva un suo perché...
Elisa ci aspettava seduta sul bordo della fontana del castello, e anche se la prima cosa che le abbiamo chiesto, dopo i saluti, è stata di portarci a mangiare (erano quasi le due), sono pressoché certa che ci perdonerà, se non altro perché le abbiamo poi fatto da personal shopper per la scelta di una collana; e pazienza se avevamo pareri diversi e quelli di "Ma come ti vesti?", probabilmente, ci cestinerebbero buona parte del guardaroba.
In treno Costi aveva con sé il libro colpevole della magra figura raccontata in un altro post, che le ho sottratto e letto al volo, a parziale discolpa.
Attorno a noi, sia all'andata che al ritorno, tanti bambini tuttosommato quieti, a parte una piccola meraviglia color cioccolata che, diciamo così, ha manifestato con decisione la sua presenza. C'era il bimbetto biondino accompagnato da genitori in su con gli anni che gli stanno facendo scoprire, una ad una, le città. Tra quelle che ancora mancavano hanno nominato Trieste. Non ho potuto che approvare la scelta.
E c'erano quattro preadolescenti di ritorno dalla mostra di Picasso, che si sono sprofondate quasi con la stessa attenzione prima nel maxi catalogo acquistato dalle mamme, poi nei rispettivi videogiochi.
Bambini anche al parco: due, piccolini, che tentavano in tutti i modi di sabotare il papà intento a fare ginnastica (bravi, così si fa!) e uno più grande che, sollevato di peso dalla sua sedia a rotelle e posato su una panchina, si godeva il sole in faccia come il più prezioso dei tesori. Sullo sfondo, immobili e ancor più surreali, i bagnanti di De Chirico umidi di brina.
Eh sì, Milan l'è un gran Milan! Ma altre città, ormai, attendono il nostro ritorno: le scorte di tè alla rosa e bergamotto del Florian, infatti, sono agli sgoccioli...
Ah, e se fra due giorni vi occorre una befana, fatemi un fischio!
Saluti nasuti.