Come fare ad accorgersi che si sono varcati i confini della provincia di Parma per inoltrarsi in quelli di Reggio Emilia o Piacenza?
Semplice: basta leggere i menu delle trattorie: se ti propongono gnocco fritto anziché torta fritta hai fatto il salto. Per il resto, per le strade basse di campagna, attraversando paesi e periferie, si respira la stessa aria di pianura agricolo-industriale e ci si perde più o meno per le stesse rotatorie, fiancheggiate da campi d'un verde luminoso, in una rara giornata di sole di questa primavera avara.
Piacenza è bella, la mattina del 25 aprile, sotto un cielo turchese, con piazza Cavalli colta nel pieno delle celebrazioni. Ho in mano una guida rossa del Touring, recuperata fortunosamente in cantina prima di mettermi in viaggio. Un carabiniere in servizio ci si avvicina e attacca bottone. Evidentemente abbiamo scritto in fronte "Turiste". Chiede se per caso stiamo cercando la chiesa di San Sisto, che nessuno trova. Confessiamo candide di ignorarne l'esistenza e che, in realtà, stiamo cercando la galleria d'arte moderna, ma, già che ci siamo, ci facciamo spiegare entrambe le strade (dimenticandocele cento metri dopo, ma questa è un'altra faccenda...).
Evitiamo di dirgli che anche della (bellissima) Galleria Ricci Oddi, che ci si rivela luminosa di meraviglie italiane e straniere dalla fine dell'Ottocento alla metà del Novecento, abbiamo appreso l'esistenza meno di tre ore prima, cercando su internet "Piacenza-mostre" e scoprendo che, quella mattina l'entrata era gratuita; ma i viaggi migliori, ormai lo sappiamo, funzionano così: sono loro che fanno te, non viceversa, come direbbe il solito Rumiz.
Dani ritrova con gioia e sorpresa persino un Carl Larsson, a me ignoto, ricordo delle sue scorribande nordiche; io ritrovo con commozione un'intera parete di tele di Amedeo Bocchi.
Dopo pranzo torniamo verso la macchina e scopriamo che l'enorme edificio accanto al quale l'abbiamo parcheggiata è nientemeno che Palazzo Farnese. Somiglia alla nostra Pilotta e, in effetti, anche quello è zeppo di musei. Tempo per visitarli non ce n'è, ma ci infiliamo ugualmente in un paio di sale alle cui pareti si racconta la storia della Madonna Sistina di Raffaello (ora a Dresda), quello con i celeberrimi angioletti, e scopriamo - con vergogna - di non avere mai saputo, noi, "cugine parmigiane", che era stato dipinto per una chiesa di Piacenza, ovviamente proprio quella San Sisto che ci aveva nominato il carabiniere la mattina. Ormai non possiamo sottrarci: quella chiesa va vista!
La troviamo percorrendo borghetti semideserti nella controra festiva, ed effettivamente meritava una visita. Poi puntiamo verso gli Appennini. Azzecchiamo dopo minimi, direi fisiologici, smarrimenti, la Valtrebbia e costeggiamo il fiume verde-grigio e impetuoso su fino a Bobbio: la troviamo colma di motociclisti, camperisti e famigliole in gita che fan su e giù sul Ponte Gobbo e per le vie del centro. Anche qui ci perdiamo per borghetti ancora più stretti alla ricerca di una chiesa. La chiesa! L'abbazia di San Colombano che, in realtà, ci delude un po': i secoli e rimaneggiamenti l'hanno resa un po' estranea a se stessa, ma nella cripta, al cospetto della tomba del monaco irlandese che fondò monasteri in Francia e in Italia, pensiamo che il Medioevo non era poi così buio e l'Europa, forse, un concetto meno astratto di quanto sia ora.
Scendiamo dai monti maledicendo le buche (e la scarsa ammortizzazione della mia auto) e ci immettiamo di nuovo sulla via Emilia, ancora perfettamente orientata est-ovest, tanto che il sole ormai basso ci occhieggia dallo specchietto retrovisore.
E anche questo 25 aprile la nostra gitina ce la siamo fatta, nonostante tutto...
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