Nella cucina-ingresso-salotto di un bilocale, attorno a un minuscolo tavolino quadrato coperto di plastica rossa siedono, una per lato, quattro donne, tre delle quali hanno superato i 90.
C'è la padrona di casa, mite e bianca, ex infermiera, che non si lamenta quasi mai dei suoi acciacchi e tenta di consolare le altre dei loro; l'unica cosa che la rattrista - oltre ai guai delle persone care - è la memoria che va e viene nei momenti meno opportuni. Si dichiara sinceramente stanca di una vita così lunga e aspetta tranquillamente la fine, senza rancori.
C'è la vicina peruviana, dritta, asciutta, sempre elegante, pelle olivasta, capelli tinti; è rimasta vedova giovane e ha fatto mille mestieri per crescere i suoi quattro figli che, uno alla volta, sono venuti in Italia. Ora che c'è venuta anche lei se la coccolano a turno, spartendosela con i molti nipoti. Sta bene qui perché ha un nome che testimonia lontane origini italiane e, anche se così non fosse, si troverebbe bene ovunque pur di stare assieme ai suoi cari.
Poi c'è l'altra vicina, brontolona indomabile, sempre un po' male in arnese, che non ama stare in casa ma ancor più detesta se qualche parente tenta di portarla fuori; quando non fa troppo freddo s'aggira caracollando in cortile (ogni tanto cade e un passante gentile la raccatta) e si di verte a raccogliere oggetti ancora buoni che altri scartano, non per miseria, benché non viva nel lusso, ma per dispiacere: perché la mamma le ha insegnato che non bisogna buttare niente. A volte racconta della sua prima comunione, celebrata in Duomo negli anni '30: dei calzettoni gialli e degli scarponi che le aveva fatto indossare sua madre e della padrona di casa impietosita che la rivestì da capo a piedi per non farle fare brutta figura. Lo racconta in un misto di italiano e dialetto e la peruviana le risponde in fretta in un misto di italiano e spagnolo; mentre la padrona di casa - sorda come una campana - scuote la testa, esclamando dispiaciuta che non c'ha capito nulla.
Nel mezzo di questa scena, io, seduta sulla quarta sedia, con i miei 35 compiuti da poco, abbasso la media d'età, tengo d'occhio il gatto bianco e rosso che mi fruga irriverente nella borsa e tento di fare l'interprete, sintetizzando all'una quel che ha detto l'altra, a voce sufficientemente alta per farmi sentire dalla terza (e da mezzo condominio).
A questo già notevole terzetto va aggiunta la signora del piano di sopra, coeatenea e decisamente più stordita, che mi guarda le mani in cerca di un anello che non c'è e mi chiede se, dall'ultima volta che ci siamo viste - sette giorni prima - per caso mi sono sposata; mi augura buona Pasqua a Natale e viceversa e mi domanda come sta il parroco tre volte nel giro di cinque minuti. E io per tre volte le rispondo, con piccole variazioni sul tema, intercettando l'occhiata sorridente ed esasperata della badante.
Devo ammettere che con tutte loro mi diverto parecchio. Sono le "nonne della domenica", in mancanza delle mie, morte quando avevo una 7 e l'altra 12 anni. Ci conosciamo da qualche anno ormai, ma siamo poco più che estranee, eppure, non faccio fatica a capirle.
Capisco le loro lamentele, le loro piccole manie e abitudini, persino i loro acciacchi, anche perché, spesso, sono simili ai miei.
Anch'io, infatti, non sto mai perfettamente bene, sono decisamente brontolona e quanto a manie, beh, ne possiedo una discreta collezione; ma c'è di peggio: anch'io ho una pessima menoria, anch'io a volte son stordita, tanto che due giorni fa ho chiesto a Costi quanto le dovevo per il regalo di Chiara e lei mi ha guardato allibita e mi ha fatto notare che il regalo a Chiara, in realtà, l'avevo pagato io ed era lei a dovermi la sua quota...
Anch'io preferisco parlare del passato che immaginare il futuro; anch'io detesto vedere buttar via le cose e, quel che è peggio, anch'io condivido, a volte, la loro stessa stanchezza, che non è solo fisica ma, in qualche modo, passatemi il termine, esistenziale. Per questo sono molto affezionata a loro, anche se ci vediamo per soli 20 minuti ogni domenica.
A questo punto mi sorge un dubbio: anch'io, in realtà, ho 90 anni. Dentro.
E non è un pensiero rassicurante...
Saluti canuti.
lunedì 22 aprile 2013
Le nonne della domenica
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2 commenti:
Bella storia, mi ritovo nell'aria che vi si respira.
No, non hai 90 anni...
Sei empatica e questo ti stanca di più, però ti rende migliore.
Le persone empatiche sono anche resilienti, perciò non avere paura del futuro: andrà tutto bene.
Simo
Ok, confesso: sono andata a cercarmi su internet il significato del termine "resilienza", perché l'avevo già sentito ma non me lo ricordavo più!
A parte questo, non sono poi tanto sicura di esserlo, e nemmeno troppo empatica, perché a volte, un po' per pigrizia un po' per autodifesa, immagino, mi lascio scivolare alcune cose addosso per non dovermi prender carico anche di quelle, ma mi piacerebbe...
Grazie Simo. Sempre gentile, sensibile e rassicurante!
Ma... ci rivedremo prima o poi?
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