Sabato pomeriggio al laboratorio compiti una volontaria diciassettenne, seduta di fronte a me, parlando con il bambino che ha di fianco esclama: "Chiediamo a lei che è più vecchia". Scopro che "lei" sono io e che il bambino, per compito, dovrebbe chiedere a una persona anziana come si scriveva ai suoi tempi.
Poiché di anziani veri in giro non ce ne sono hanno provato a inventare, ma si sono resi conto di non avere la più pallida idea di come funzionino penna e calamaio. Rispondo piccata che, benché abbia effettivamente molti più anni di loro, anch'io ho imparato a scrivere con la biro. Provo lo stesso a spiegare, dato che una penna vecchio stile ce l'ho, comprata anni fa a un mercatino e usata due volte. Quando si tratta di rispondere alla domanda "Come si faceva a cancellare gli errori?", però, vacillo. I due se ne vanno delusi a chiedere a un altro volontario, più grande di me ma non ancora quarantenne.
E io comincio a pensare che, in un futuro non troppo lontano, a qualche ministro dell'istruzione, dopo aver sostituito tutti i libri cartacei con dispense telematiche (come sta accadendo), verrà l'idea di insegnare ai bambini a scrivere direttamente a computer, senza passare per carta, biro cancellabile e pregrafismi.
Sarebbe un'evoluzione piuttosto naturale, come quella di chi è passato, con sollievo, dalla penna e calamaio alla bic. Però, sono convinta che questo porterà a cambiare non solo il modo di scrivere ma anche quello di pensare, perché il mezzo con cui si scrive non è una cosa neutra rispetto al contenuto e alla forma di ciò che si scrive.
Con un foglio e una biro in mano, infatti, il grosso del lavoro lo si fa nella testa, perché è vero che si può tirare una riga, andar di bianchetto o, alla peggio, accartocciare tutto, centrare il cestino e ricominciare; ma, per evitare ecatombi, viene meglio organizzarsi prima un'idea con un inizio, uno svolgimento e una fine e poi provare a tradurla in parole. E' un esercizio tutt'altro che semplice ma, credo, molto salutare.
Tutto questo con il computer non occorre più: si possono buttar giù parole e frasi a casaccio, come tessere di un puzzle, e tentare solo dopo, quando sono sul foglio elettronico, di farle combaciare in un disegno sensato. Anche le conoscenze grammaticali non sono indispensabili: c'è il correttore automatico o, alla peggio, si cerca in internet l'esatta grafia di una parola.
Il risultato finale può anche non essere troppo dissimile da quello ottenuto con carta e penna, ma la forma di pensiero che ci sta dietro è completamente diverso: frammentaria, incoerente, approssimativa. Esattamente come il mondo che abbiamo intorno. E forse le due cose sono collegate.
Lungi da me l'idea di dare all'inventore di Word la colpa delle nevrosi del terzo millennio. Però è pur vero che anch'io, che pur non essendo un genio ho attraversato tutta la scuola dell'obbligo senza mai scrivere un tema in brutta, oggi faccio fatica a scrivere di getto persino un biglietto d'auguri e sono tentata di fare la bozza persino della lista della spesa.
Se a me sono bastati 10-15 anni di computer per disimparare a elaborare un pensiero sufficientemente pulito e coerente da poter essere scritto più o meno come lo avevo immaginato, mi chiedo che accadrà ai nativi digitali, cresciuti a internet, sms e videoclip (anch'essi fatti di frammenti d'immagini giustapposte).
Forse assolutamente nulla, perché a loro non occorrerà un pensiero profondo e coerente, ma veloce e reattivo: perfetto per rispondere ai quiz a crocette. Non sarà né meglio né peggio, semplicemente diverso, come è sempre stato. E ai vecchi, che saremo noi, non resterà che brontolare e chiedersi "Dove andremo a finire?" come già facevano quelli delle commedie di Aristofane nel V secolo a.C.
Mi immagino, però, la fatica che faranno quanti non avranno mai preso in mano una penna a leggere i cosiddetti "classici", scritti da gente che manco sapeva cos'era un computer, visto che per noi già ora è un'impresa digerirli.
Chi ha più tempo e voglia d'imbarcarsi in un mattone infarcito di digressioni storico filosofiche, religiose o mitologiche, che in assenza di note comprendiamo ormai a stento?
E che problema è? Se ne creeranno altri di classici: altre antologie e altri florilegi, che selezioneranno le opere da trasmettere alle generazioni future con i criteri del loro tempo. E anche questo, dopotutto, è successo mille volte in passato.
Però a me una scrittura concepita soltanto in formato elettronico fa ugualmente un po' paura, perché sarà patrimonio di persone abituate a pensare con gli stessi criteri di intercambiabilità di parole e di idee permesse da un testo in Word, convinti che anche gli errori e gli amori si possano eliminare dalla vita, semplicemente, con un clic.
martedì 2 ottobre 2012
Carta, penna e calamaio (in Word)
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