lunedì 22 ottobre 2012

Ritorni di fiamma. Parte seconda: il poeta

"Gli spettri delle cose sono più terribili degli spettri delle persone"
(Guido Gozzano, Torino d'altri tempi)

Alle superiori avevo un'amica che sul diario alternava il nome di Roberto Baggio con quello di un certo "Leo", circondandoli entrambi di cuoricini. Non si trattava di un fidanzatino - quello sarebbe arrivato poco dopo con effetti piuttosto devastanti - bensì dell'affettuoso soprannome da lei affibbiato a Giacomo Leopardi!
Studiandolo ne era rimasta folgorata e ne parlava non come di un personaggio della letteratura, ma come di un amico un po' sfigato ma tanto caro, a cui confidare i suoi tormenti adolescenziali certa d'essere compresa.
A me capitò qualcosa del genere, più o meno negli stessi anni, con un altro poeta, ma poiché ero (e sono tuttora) non so se più pudica o maldestra, evitai di esternare la faccenda in termini così plateali. Lui era (ed è), ovviamente, Guido Gozzano.
Il "colpo di fulmine" scoccò l'ultimo giorno di scuola di quinta ginnasio. Dopo avermi interrogato in storia (sic!), la prof, che l'anno successivo, passando al liceo, non avremmo più avuto, pensò di congedarci leggendoci alcune poesie di un autore relativamente poco conosciuto, che però le piaceva tanto. Credo non ci sia regalo migliore che un insegnante può fare ai suoi alunni che comunicare loro con semplicità e sincerità una sua passione: fa capire che, al di là delle rigidità imposte da programmi, voti e interrogazioni, quel che si impara a scuola può dare anche un po' di gioia e accompagnarti per un tratto più o meno lungo di vita.
Ci lesse "Le golose" e "Cocotte", con il ben noto finale ("Non amo che le rose che non colsi...") che è mi è diventato, purtroppo, molto familiare, e forse qualcos'altro che non ricordo più.
Qualche giorno dopo mi comprai l'edizione completa delle poesie della BUR, dotata di note, commenti e stralci di lettere, la lessi d'un fiato e da allora staziona regolarmente sul mio comodino assieme a un'altra manciata di libri.
Spiegare come e perché nascono gli amori letterari è difficile e forse inutile quasi quanto spiegare la nascita di quelli reali.
L'unica cosa che mi sento di dire è che, credo, possano anche prescindere dal valore dell'opera e abbiano, invece, a che fare con lo stupore di ritrovare nelle parole di uno sconosciuto - vissuto in un altro luogo e in un altro tempo - qualcosa che ci appartiene profondamente: un pensiero che ci ronzava in testa e non sapevamo come formulare, un sentimento che non sapevamo che nome avesse prima di leggerlo in un testo o in una poesia, o anche solo un'immagine o una frase che diventa immediatamente nostra perché in qualche modo ci risulta particolarmente familiare.
Guido (sì, mi diverto anch'io a chiamarlo per nome!) era un ragazzetto sparuto e nasuto, pieno zeppo di contraddizioni: si definiva "avvocato", ma pare che alle aule d'università preferisse i ritrovi fumosi dei goliardi; si scagliava contro D'Annuzio e poi lo citava a piene mani, invidiandolo un po'; faceva il "poeta minore" defilato e disinteressato alla fama, poi, nelle lettere alla Guglielminetti, musa, amante, amica e poetessa lei pure, si dava arie da spirito eletto; non giocava a fare il malato, come altri del suo tempo e come pare a leggere le sue poesie, lo era sul serio: morì a 33 anni non ancora compiuti di tisi; ma questo non gli impedì di viaggiare, frequentare il bel mondo e beh, di non lasciarsi scappare attrici, letterate e "fan" più o meno occasionali.
A dirla in questi termini, un personaggio del genere dovrebbe starmi antipatico, eppure così non è: forse anche con gli amori letterari capita che ci affascinino le persone sbagliate?
Comunque sia, recentemente mi sono capitate tra le mani le sue prose: alcuni racconti recuperati in internet e gli scritti dall'India raccolti in "Verso la cuna del mondo" (le favole e le lettere d'amore le avevo già lette anni fa).
Ho ritrovato anche in quelle il giovane ironico, amaro, disincantato, ma desideroso di lasciarsi incantare, perfettamente immerso nei suoi tempi (pregiudizi compresi), ma desideroso di sfuggirne in un passato bello solo perché non vissuto, che un po' mi irrita ma mi fa anche tanta tenerezza.
Ho ritrovato immagini e situazioni a lui evidentemente care che trasporta - autocitandosi - dalla prosa ai versi; mi sono bevuta con immenso piacere descrizioni di paesaggi di una musicalità incantevole, ho riso di cuore alle sue osservazioni pettegole e allusive e ho scoperto anche qualche altra consonanza tra me e lui, cosa che mi ha fatto, ovviamente, un gran piacere.
Sì, perché, gli amori letterari, frutto solitamente, ma non esclusivamente, per fortuna, dell'adolescenza (chissà se ne nascono ancora?), non sono soltanto autori che ci piacciono o ci dicono qualcosa di noi e ci aiutano a decifrare il mondo, diventano proprio persone che ci pare di conoscere da sempre e con cui vorremmo poter conversare a lungo, nel mio caso, magari, tra il ciarpame del solaio di una villa nobiliare in disarmo, sperando di fare una figura migliore di quell'oca di Felicita e temendo, ovviamente, di fare di peggio, ma immersi per lo meno in quella "perplessità crepuscolare" che entrambi, credo, sappiamo bene cos'è...

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