venerdì 31 gennaio 2014

To sleep, perchance to dream

Mi chiedo se sia sensato tirare per l'ennesima volta le due (le due abbondanti, a dire il vero), alla mia veneranda età, con la bieca minaccia della sveglia puntata alle 7.30 e di un lavoro che mi aspetta e pretenderebbe un minimo di lucidità. Stavolta, per lo meno, il motivo era più nobile: non un film o un'interminabile e saltabeccante navigazione sul web in cerca di curiosità, ma una full immersion nell'Amleto, proiettato al cinema in lingua originale (grazie al cielo con i sottotitoli in italiano!) in diretta da un teatro di Londra (vedi locandina).
Ammettiamolo, l'idea balzana di assistere a una cosa del genere m'è venuta per motivi assai frivoli: cercando nel web notizie su un attore inglese per il quale, di recente, ho avuto una sbandata decisamente adolescenziale, l'ho visto alle prese con il Coriolano di Shakespeare e ne sono rimasta totalmente incantata. E non solo, ve l'assicuro, perché il suddetto è bravo e bello: alto, flessuoso, elegante, capelli ramati, belle mani, begli occhi e bella voce; ma perché c'era una forza e una musica in quelle parole  che avevo dimenticato da tempo e, dunque, perché non tentare un ripasso?
Così, ci siamo ritrovate in un giorno feriale, io, Dani e Simo (piazzata strategicamente nel mezzo in quanto più anglofona tra noi), sedute nella sala semideserta, un po' curiose e un po' intimidite da quel che ci sarebbe toccato.
Alla fine, devo dire, il bilancio dell'esperienza è stato assai positivo: attori bravi, ambientazione in un non meglio definito regime totalitario del XX secolo subito un po' straniante (vedere Ofelia sul palco con lo stereo o il carrello della spesa, fa un po' impressione), ma con una sua logica.
Però, che faticaccia!
Eh già, perché non è roba da poco passare quattro ore immobili a fare quattro cose contemporaneamente, ovvero: leggere i sottotitoli cercando di capire però anche le corrispondenti (e a volte non tanto corrispondenti) parole in inglese; cercare di cogliere anche la musica di quelle parole, perché, non dimentichiamolo, Shakespeare, e tanti altri tragediografi fino alle soglie del Novecento, scrivono in versi, e il valore delle testo è dato non solo dal senso, ma anche dal suono; e poiché, dopotutto, di un opera teatrale si tratta, occorreva prestare attenzione anche agli attori, perché è nel qui e ora del loro corpo in movimento, nella consapevolezza dei gesti, degli sguardi, dei cambi improvvisi di ritmo e di tono, che vive la magia del teatro.
Così, inevitabilmente, verso la fine, quando Dani, con la consueta arguzia, ha espresso il parere di tutte invitando caldamente Amleto a sbrigarsi a morire che ormai s'era fatto tardi… il comune attacco di ridarella nel momento più drammatico del dramma era il minimo che si potesse fare!
Però che meraviglia constatare che, nonostante il linguaggio inconsueto e ridondante e i tempi dilatati, nei quali noi postmoderni facciamo sempre più fatica ad entrare (ma anche questo piccolo sforzo fa parte del gioco!), la maggior parte dei discorsi, dei pensieri, dei sentimenti espressi, ci sono perfettamente comprensibili; non solo: riescono ancora a commuoverci. E le critiche alla società, la presa in giro dei potenti, le riflessioni sull'arte e sul teatro (perché nell'Amleto c'è anche questo: una rappresentazione all'interno di un'altra, che si smascherano a vicenda), sono ancora, in qualche modo, attuali e interessanti.
Ecco, diciamo che questo è uno dei casi nei quali viene abbastanza facile capire cosa si intenda per "classico" e anche perché sarebbe importante che per qualche secolo ancora qualcuno si preoccupi di tramandare questa come tante altre cose. Perché è una pia illusione pensare che a qualche giovane nativo digitale venga in mente di passare il tempo in compagnia di Shakespeare, se nessuno - la scuola, ad esempio - lo costringe cortesemente a leggere qualcosa di un pochino più impegnativo di Geronimo Stilton o Twilight (che, peraltro, ho letto anch'io…). O meglio, qualcuno forse ci sarà, ma saranno molti, molti meno di quanti potrebbero, dopo essere stati obbligati a mettere il naso nella Letteratura, scoprire che, infondo, gli piace e continuare a frequentarla liberamente.
Per questo sono grata a tutti gli insegnanti che mi hanno costretto in passato a leggere libri. E sono grata alle amiche del circolo di lettura che, oggi, mi costringono - sia pure senza lo spauracchio del voto - a leggere cose che non mi sarebbe mai venuto in mente di piluccare dallo scaffale di una libreria. Alcune mi sono piaciute, altre meno, ma non l'avrei saputo se non le avessi assaggiate.
E, badate, anche se mi rendo conto che pare anacronistico e forse un po' snob, credo che attraverso la poesia, i romanzi, il teatro (anche la musica?), non passino solo pensieri ed emozioni, ma anche, non so come dire, una certa capacità di guardare se stessi e il mondo "dall'esterno", vedendoli in modo un po' più obiettivo e distaccato, cosa che aiuta parecchio a prendere decisioni migliori. Un senso etico, insomma, oltreché estetico, condiviso, di cui già i Greci erano perfettamente consapevoli, e del quale mi pare si senta un pochino la mancanza.
"Lo scopo del teatro, agli inizi come ora, è stato sempre ed è di porgere, diciamo, uno specchio alla natura; di mostrare alla virtù il suo volto, al vizio la sua immagine, all'epoca stessa, alla sostanza del tempo, la loro forma e impronta". 
E se lo dice Amleto!
Buona notte, dolci principesse...

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