mercoledì 15 gennaio 2014

Foreste di simboli

Ne lessi per la prima volta a scuola. Era un brano dell'antologia scelto per illustrare i bestiari medievali, nei quali animali reali e immaginari convivevano senza problemi e tutti, senza eccezione, oltre ad essere semplicemente sé stessi erano anche un simbolo di qualcos'altro: un vizio, una virtù, un peccato, un desiderio.
Fu così che conobbi l'unicorno. E decisi all'istante che mi piaceva e che, se mai mi fosse accaduto di dovermi scegliere un animale araldico (vedi, Costi, dopotutto non sei la sola che ha sognato di fare la principessa…), quello mi sarebbe andato benissimo.
Perché in realtà (ammesso che si possa dire parlando di un animale fantastico), in origine, non era rappresentato come un grande cavallo bianco, ma piuttosto come un incrocio tra una capra e un cavallo: piccolo, asciutto, con tanto di barbetta e zoccolo fesso, come appare dipinto da Raffaello.
Nonostante le dimensioni, però, non si trattava di un animaluccio pacifico e coccoloso. Tutt'altro!
Infatti rappresenta la purezza che difende se stessa con ferocia, il coraggio e la determinazione, che si placano soltanto quando incontrano qualcosa di simile a sé. E' stato interpretato, perciò, come figura di Cristo, il puro che lotta fino all'estremo sacrificio per la salvezza del mondo; ma, come spesso accade, c'è anche chi ne ha fatto un essere ambiguo e imprevedibile, a volte fondamentalmente buono, a volte con qualcosa di demoniaco. Comunque sia è una creatura complessa: misteriosa, solitaria, forte, indipendente e imprendibile. O quasi...
La tradizione, infatti, dice che per catturalo occorreva una vergine: bastava portarla nel bosco e aspettare. L'unicorno, attratto dalla purezza di lei, si sarebbe avvicinato senza timore fino ad accoccolarsi tranquillo sul suo grembo e i cacciatori avrebbero potuto ucciderlo: sì, perché, in quanto emblema di libertà, sarebbe stato impossibile rinchiuderlo vivo in una gabbia.
Di unicorni ne ho disegnati (male) per anni nei margini dei quaderni e sulle pagine di diari miei e altrui; ne ho fatto lo stemma di uno dei miei amici immaginari e ne ho dipinto (male) uno sopra il camino in campagna, accompagnandolo con il motto di Langer, che già vi ho citato allo sfinimento: "lentius, profundius, suavius". E quando, più di vent'anni fa, ne è comparso uno in piazza per pubblicizzare una mostra di Dalì (esattamente come ora c'è la donnona di Botero, sdraiata a prender freddo tra gli sguardi curiosi dei passanti), mi è rimasto talmente impresso nella memoria che non mi è stato difficile ritrovarlo in rete dopo tanto tempo. E' quello della foto, che, trafiggendo un muro di pietra vi crea un varco sanguinante a forma di cuore. Non so che avesse in mente Dalì quando l'ha pensato, ma so cosa ho in mente io quando lo guardo: c'è un muro alto e spesso da oltrepassare se si vuole entrare davvero nel cuore delle persone e non fermarsi alla superficie. L'unico modo per scalfirlo dovrebbe essere fatto di attenzione, sincerità, purezza e libertà. Spesso non è così, e allora il muro cresce e diventa una prigione, perché nessuno ha più la pazienza e la costanza necessarie per oltrepassarlo. E anche quando qualcuno ci riesce, non è detto che non sia ugualmente un passaggio doloroso...
Mi piacciono i simboli, perché sono antichi e complessi, mai del tutto buoni o cattivi, mai completamente decifrabili: come le persone, del resto. Sono aspirazioni, dichiarazioni d'intenti e pensieri profondi racchiusi in un'immagine.
Ed ecco che ora che ho fatto il balzo, andando ad abitare da sola (si fa per dire, dato che i miei stanno pochi piani sopra e, vista la situazione, temo solo di essermi complicata ulteriormente la vita…), un o una designer dal nome impronunciabile s'inventa una linea per una nota marca d'arredamento di cui vi ho già parlato su cui campeggiano, guardacaso, unicorni stilizzati. Così, inevitabilmente, mi son ritrovata con un copripiumino, un plaid e un cuscino nuovi di zecca. Sul cuscino, in particolare, c'è persino un cartiglio che ha più o meno la forma di quello che avevo disegnato anni fa sul camino. Dice semplicemente "be different". E a me, nonostante tutto, pare un buon auspicio.
E se non siete d'accordo col mio ennesimo delirio, beh, nessun problema: vi capisco; ma la prossima volta che ci incontriamo fate attenzione: potrei infilzarvi a cornate!
Saluti scalpitanti.

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