lunedì 20 febbraio 2012

Bach, il silenzio e... il lavaggio dei piatti

Se partecipasse a una puntata dei "Soliti ignoti" (e fosse un po' meno famoso), nessuno indovinerebbe il suo mestiere. Ha un naso da pugile, l'espressione seria e sorniona del montanaro: labbra sottili e occhi che sorridono. Si presenta con i jeans, un maglione blu e una sciarpa rossa. Solo le mani lo tradiscono, lisce, precise e misurate nei gesti. Anche la voce è pacata, gentile. Sentirlo parlare aiuta a respirare meglio, è un piacere quasi quanto sentirlo suonare.
Lui è Mario Brunello, il violoncellista. E poiché, come sapete, in musica classica sono una capra (curiosa, sì, ma pur sempre una capra), dirò subito che l'ho scoperto grazie al solito Paolini. Suonava nel dvd di un suo spettacolo (quello su Venezia) e la prima volta che l'ho visto ricordo di aver pensato due cose: quanto è bello il suono del violoncello e chi diavolo fosse l'uomo che lo brandiva in mezzo al deserto con un turbante in testa e accompagnato da beduini coi tamburi. Poi mi sono informata e quel che ho letto e sentito m'è piaciuto parecchio: il nostro, oltre ad essere un professionista con i controfiocchi, è tra i fondatori di quella cosa meravigliosa che sono i "Suoni delle Dolomiti", ha rimesso a nuovo un capannone industriale nella sua Castelfranco (eh, sì, è veneto!) e ci fa spettacoli e concerti ai quali si entra con "biglietto responsabile"; suona ovunque e qualunque cosa: da Bach a Stelutis alpinis (di cui, prima o poi, imparerò il testo). C'è persino una sua descrizione nella "Leggenda dei monti naviganti" di Rumiz (tutto torna!), nella quale si racconta di quella volta in cui è riuscito a far suonare un bosco... Insomma, ho subito pensato che sarebbe stato bello ascoltarlo dal vivo e quando ne ho avuto l'occasione ho acchiappato al volo due biglietti e Simona (grazie!) e venerdì, in una notte di gelo, mi son ritrovata al Paganini ad affrontare da profana le sinfonie di tre russi, di cui due a me totalmente sconosciuti: una meraviglia.
Così domenica ho deciso di concedermi il bis e di imbucarmi tra musicisti e musicofili all'incontro al quale avrebbe partecipato. Tema: la musica del '900.
Per la seconda volta in tre giorni mi sono chiesta "che ci faccio qui?", ma stavolta mi ha risposto lui stesso, e consolato anche, quando ha affermato: "Al termine di un concerto molti vengono a dirmi: 'non so niente di musica, ma mi è piaciuto'. No, dite semmai il contrario!" E ancora, quando ha ammesso che anche là dove il compositore ha scritto la sua musica pensando a una storia o a immagini precise, nessuno vieta all'interprete e allo spettatore di immaginarsene altre completamente diverse.
Una soddisfazione per me che a scuola, le poche volte che si ascoltava musica classica e la prof. ci chiedeva di provare a indovinare cosa stesse descrivendo l'autore: un animale, un sentimento, un paesaggio, io vedevo ippopotami dove i miei compagni vedevano cardellini, scene d'idillio dove gli altri percepivano tragedie (o viceversa) e via di seguito. Una frana!
Mi è piaciuto molto anche quando ha parlato, più volte, di onestà e responsabilità dell'interprete sia nei confronti del compositore sia del pubblico; del suo desiderio di condividere col maggior numero di persone, non solo con gli esperti, il piacere di comprendere il senso di una partitura. Per questo prova a incrociare i linguaggi, a unire musica, immagini e parole. "Non so se è giusto" ha detto, "ma è più divertente!"
Ha detto anche che non gli piace parlare di "carriera", ma di "attività", e nemmeno di "musica classica o colta", ma di quella musica che per lui è pane quotidiano e vorrebbe lo fosse per tutti.
S'è irrigidito soltanto quando ha affermato che la musica non dovrebbe essere un sottofondo da ascoltare con superficialità... mentre si lavano i piatti, ma un'occasione a cui dedicare tempo. "Perché la musica ferma il tempo, fa ringiovanire".
Uno del pubblico, allora, ha obiettato che, spesso, non c'è altra occasione per ascoltare musica che mentre si lavano i piatti.
Allora ha risposto con un sorriso conciliante: "Va bene, ma almeno lavateli con più attenzione, perché dietro ogni esecuzione c'è tanto lavoro..."
Ha parlato di tecnica ed espressività dell'animo, di musica come libertà e, infine, di silenzio. Quello puro che ha cercato e trovato nei deserti e sulle montagne: un silenzio diverso da quello delle sale da concerto e, forse, più simile a quello che ha nella mente un compositore quando pensa la sua musica. "Il silenzio" ha detto "è il liquido amniotico della musica. Nel deserto, ad esempio, il suono diventa tridimensionale e ogni nota è come un pianeta che si materializza nell'aria".
Brunello ha parlato alzandosi in piedi perché tutti potessero vederlo, con le mani in tasca, con la modestia e la semplicità dei maestri e, soprattutto, con passione. E persino io l'ho capito e per un paio d'ore m'ha fatto stare bene, prima con la musica, poi con le parole. E gliene sono davvero grata.

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