E' cominciata anche quest'anno, alla prima ondata di caldo - interrotta solo ieri sera da un pietoso temporale - la guerra dei condizionatori. La combatto da circa due anni a casa e in ufficio, da quando, cioè abbiamo installato l'arnese infernale a casa e ci siam trasferiti in un ufficio dotato del suddetto. Contro di me ho due fieri avversari: mio padre e il mio capo.
Il primo, ai primi accenni di canicola, me lo trovo davanti in bermuda e canottiera (sic!) che armeggia disperato col telecomando del condizionatore: ovviamente, essendo passati mesi dall'ultimo utilizzo, non si ricorda più come funziona e mi tocca pure aiutarlo ad accenderlo (salvo poi spegnerlo appena si allontana...); il secondo si affaccia alla porta del mio ufficio con aria tra il mesto e il ricattatorio e mi chiede: "posso attaccarlo?": domanda retorica alla quale io, per non dargli soddisfazione, rispondo allargando le braccia e dicendo "se proprio vuoi...". Quando è tornato dal mare la scorsa settimana, esibendo un colorito aragosta e sandali da turista tedesco, prima mi ha salutato (perché è pur sempre una brava persona...), poi mi ha chiesto: "perché non hai acceso il condizionatore?"
Se proprio volete ve lo spiego il perché, anche se so che mi creerò numerose inimicizie, per ragioni uguali e contrarie a quelle che mi sono creata con il post del 1 dicembre 2010: perché io, d'estate, VOGLIO AVERE CALDO!
Lo aspetto per 10 mesi all'anno il caldo; lo desidero ardentemente quando esco di casa con minimo tre strati di roba di lana addosso escluso il cappotto; lo sospiro nei restanti periodi in cui, pur osando canottiera e maglietta, sono pronta a sfoderare dalla borsa, al primo alito di vento, foulard e golfino per tentare, a volte inutilmente, di evitarmi un mal di gola.
E quando, finalmente, arriva, non mi par vero di uscire la mattina in bicicletta senza rabbrividire e sentirmi i capelli che svolazzano sulle braccia nude e di rincasare a mezzogiorno fendendo un'aria densa e calda come un brodo.
Quando riesco a passare un'intera giornata con addosso un abitino leggero senza dover riesumare dalla solita borsa (non si sa mai) nemmeno un coprispalle, quasi quasi mi commuovo.
Non che non mi dia fastidio sentirmi appiccicosa e sudaticcia dieci minuti dopo essere uscita dalla doccia, correre il rischio di salutare qualcuno con l'ascella pezzata e sentirmi le gambe pesanti e i piedi gonfi (fino a qualche anno fa non mi capitava: sarà la vecchiaia?); ma ci sto a sopportare qualche disagio pur di liberarmi, per un breve ma intenso periodo, di qualche strato di abiti, anche se così è più difficile nascondere i chili di troppo.
Perciò, rinchiudere me in una stanza in compagnia di un condizionatore equivale a una tortura, che sopporto a malincuore per amor di pace - domestica e lavorativa - ma da cui fuggo appena possibile.
Lo so che lavorare col caldo è faticoso, lo so che sudare non è elegante, ma l'estate dura un attimo. Perché costringermi a passarla in frigorifero come un sofficino?
Non vi ho convinto? Vabbé, allora buttiamola sul risparmio energetico! Volete mettere quanta elettricità si risparmia tenendo spenti i condizionatori? Non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di fare un referendum sul nucleare...
Calorosi (finalmente) saluti a tutti!
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1 commento:
Sabato sera, per dire, avevo addosso, nell'ordine: maglietta a maniche corte, camicia leggera a maniche lunghe, golfino di cotone, giacca a vento e foulard e... stavo appena bene. Ma dove diavolo è tutto sto caldo?
A proposito di vestiti, stamattina io e il mio capo ci siamo ritrovati entrambi verdi a colori alternati: pantaloni verde carico e maglietta verdino pallido lui, pantaloni verde pistacchio e maglietta verde scuro io. Cos'è? Verde speranza... di cominciare bene la settimana? No, perché il mio weekend è andato così così, e non solo per il freddo! Sperèma be'.
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