lunedì 14 marzo 2011

Sirat Al Bunduqiyyah

"Allora hai studiato l'arabo" dice convinta la suorina bianca, ultraottantenne, alla reception del palazzo trasformato in ospizio, appena scopre che ho fatto lettere antiche. Io la guardo perplessa e rispondo che no, veramente solo latino e greco (e me li sto pure dimenticando...). Mi soccorre la guida spiegando che qui, per secoli, l'altrove e l'antico erano in oriente e, probabilmente, lo sono ancora. Anche questa è Venezia: afferrata al volo, incerte fino all'ultimo se saremmo riuscite a partire o no, tra acciacchi vari e previsioni meteo al limite del catastrofico. Ripensandoci, mi viene in mente dove ho già visto il simbolo esoterico, anch'esso orientale, che, raccontava la guida, era visibile fino a pochi anni fa sulla facciata di un palazzo in bilico su un rio, con gli archi rinforzati da gabbie di legno: in un racconto di Corto Maltese che ha due titoli, uno in arabo, che è lo stesso di questo post, e l'altro è la sua traduzione, "Favola di Venezia". Anche lui, in effetti, pareva uscito da un racconto di Pratt: alto, sottile, decisamente innamorato della sua città. Ci ha portate in giro per tre ore attraverso calli, campi e fondamenta incredibilmente semideserti, imbucandosi in giardini segreti e saloni dipinti nascosti in lussuosissimi alberghi, insegnandoci a riconoscere un sandolo travestito da gondola e facendoci osservare i particolari: il bassorilievo con il cammello e il cammelliere che si guardano, sulla facciata della casa di una famiglia di spezieri, il motto beneaugurante sull'architrave di una porta, la ciotola scavata nel basamento delle vere da pozzo per far abbeverare cani e gatti e altre cose ancora.
Ebbene sì. Stavolta ci siamo concesse una visita guidata e devo dire che ne è valsa la pena. Il nostro Virgilio personale, che in realtà si chiama Walter, ci ha lasciate al Ghetto: in un campo circondato da altissime case colorate dove i bambini giocavano a pallone e c'erano persino due ebrei osservanti, con tanto di barba e cappello nero, che parevano messi lì a fare scena, e invece stavano semplicemente conversando tra loro a casa loro. Visto che eravamo in vena, nel pomeriggio altra visita all'interno delle sinagoghe veneziane. E qui, sorpresa, ci siamo sentite raccontare la stessa storia in due modi diversi. Dove la guida che avevamo da poco lasciato esaltava la tolleranza e la liberalità della Serenissima, quella del museo ebraico sottolineava le limitazioni imposte ai suoi correligionari fino al rastrellamento ad opera dei nazisti. Chi aveva ragione? Probabilmente un poco entrambi: è il bello (o il brutto) della storiografia.
Inevitabilmente siamo finite a saccheggiare il bookshop del museo e qui, da una finestra affacciata sull'acqua, abbiamo visto cominciare la pioggia: era ora di tornare a casa. Così ci siamo intruppate anche noi, a malincuore, nei percorsi battuti dai turisti. Per un poco avevamo quasi creduto di appartenere a una razza diversa da quella più odiata (e amata) dagli abitanti di questa meravigliosa città. L'illusione è svanita mentre seguivamo a naso in su i cartelli gialli "Stazione", ma è stata bella, finché è durata. "Ci sono a Venezia tre luoghi magici e nascosti: uno in Calle dell'amor degli amici; un secondo vicino al Ponte delle maravegie; un terzo in Calle dei marrani, a San Geremia in Ghetto. Quando i veneziani (qualche volta anche i maltesi...) sono stanchi delle autorità costituite si recano in questi tre luoghi segreti e, aprendo le porte che stanno nel fondo di quelle corti, se ne vanno per sempre in posti bellissimi e in altre storie". Li troveremo la prossima volta?

2 commenti:

WALTER FANO ha detto...

Venezia è la sua storia, ma è necessariamente anche il suo mito, e questi due aspetti non si possono scindere...
questo comporta che non si sappia mai davvero, con assoluta certezza, cosa sia vero e cosa no in questa città anfibia...
;-)

Cri ha detto...

Più che una critica era una constatazione, altrimenti non avrei linkato il tuo sito al nostro blog... Buon lavoro! ;-)