giovedì 30 giugno 2011

Una lunga estate calda, per favore!

E' cominciata anche quest'anno, alla prima ondata di caldo - interrotta solo ieri sera da un pietoso temporale - la guerra dei condizionatori. La combatto da circa due anni a casa e in ufficio, da quando, cioè abbiamo installato l'arnese infernale a casa e ci siam trasferiti in un ufficio dotato del suddetto. Contro di me ho due fieri avversari: mio padre e il mio capo.
Il primo, ai primi accenni di canicola, me lo trovo davanti in bermuda e canottiera (sic!) che armeggia disperato col telecomando del condizionatore: ovviamente, essendo passati mesi dall'ultimo utilizzo, non si ricorda più come funziona e mi tocca pure aiutarlo ad accenderlo (salvo poi spegnerlo appena si allontana...); il secondo si affaccia alla porta del mio ufficio con aria tra il mesto e il ricattatorio e mi chiede: "posso attaccarlo?": domanda retorica alla quale io, per non dargli soddisfazione, rispondo allargando le braccia e dicendo "se proprio vuoi...". Quando è tornato dal mare la scorsa settimana, esibendo un colorito aragosta e sandali da turista tedesco, prima mi ha salutato (perché è pur sempre una brava persona...), poi mi ha chiesto: "perché non hai acceso il condizionatore?"
Se proprio volete ve lo spiego il perché, anche se so che mi creerò numerose inimicizie, per ragioni uguali e contrarie a quelle che mi sono creata con il post del 1 dicembre 2010: perché io, d'estate, VOGLIO AVERE CALDO!
Lo aspetto per 10 mesi all'anno il caldo; lo desidero ardentemente quando esco di casa con minimo tre strati di roba di lana addosso escluso il cappotto; lo sospiro nei restanti periodi in cui, pur osando canottiera e maglietta, sono pronta a sfoderare dalla borsa, al primo alito di vento, foulard e golfino per tentare, a volte inutilmente, di evitarmi un mal di gola.
E quando, finalmente, arriva, non mi par vero di uscire la mattina in bicicletta senza rabbrividire e sentirmi i capelli che svolazzano sulle braccia nude e di rincasare a mezzogiorno fendendo un'aria densa e calda come un brodo.
Quando riesco a passare un'intera giornata con addosso un abitino leggero senza dover riesumare dalla solita borsa (non si sa mai) nemmeno un coprispalle, quasi quasi mi commuovo.
Non che non mi dia fastidio sentirmi appiccicosa e sudaticcia dieci minuti dopo essere uscita dalla doccia, correre il rischio di salutare qualcuno con l'ascella pezzata e sentirmi le gambe pesanti e i piedi gonfi (fino a qualche anno fa non mi capitava: sarà la vecchiaia?); ma ci sto a sopportare qualche disagio pur di liberarmi, per un breve ma intenso periodo, di qualche strato di abiti, anche se così è più difficile nascondere i chili di troppo.
Perciò, rinchiudere me in una stanza in compagnia di un condizionatore equivale a una tortura, che sopporto a malincuore per amor di pace - domestica e lavorativa - ma da cui fuggo appena possibile.
Lo so che lavorare col caldo è faticoso, lo so che sudare non è elegante, ma l'estate dura un attimo. Perché costringermi a passarla in frigorifero come un sofficino?
Non vi ho convinto? Vabbé, allora buttiamola sul risparmio energetico! Volete mettere quanta elettricità si risparmia tenendo spenti i condizionatori? Non ci sarebbe stato nemmeno bisogno di fare un referendum sul nucleare...
Calorosi (finalmente) saluti a tutti!

martedì 28 giugno 2011

Sono ancora qua

Uno, due, tre prova, prova..uno, due, tre... Funziona?! Beh, se funziona, sono ancora qua! Non è il titolo di una canzone, ma sono sempre io, ciosa Chiara, letteralmente e inspiegabilmente buttata fuori dalla rete telematica, ma ora, spero, rientrata grazie all'aiuto della Cri. Con una nuova identità, si fa per dire! Ero tentata di camuffarmi, ma tanto dai miei sproloqui mi si riconosce sempre! Quindi, sono sempre io!
Ai prossimi "cioseschi" sproloqui!!

lunedì 20 giugno 2011

Crostata anarchica di lamponi

Passare dall'influenza all'insolazione nel giro di una settimana non era facile. Eppure ci sono riuscita! L'influenza era quasi inevitabile, visto il clima di questi ultimi 15 giorni: è stata breve ma intensa e mi ha lasciato ossa rotte e voce di naso. Per quanto riguarda l'insolazione, non pensate che io, con la scusa della convalescenza, mi sia concessa un weekend al mare: troppo banale; me la sono guadagnata ieri, in cortile, lavando ENTRAMBE le auto di famiglia in un impeto di masochismo.
Risultato? Oggi sono bicolore: bianco crema davanti e rosso lampone dietro. In pratica somiglio alla crostata che mi sono inventata qualche giorno fa, quando ho scoperto che in frigo c'era una tazza di lamponi raccolti in campagna. Come tutte le mie ricette è tendenzialmente anarchica: fatta a occhio e a caso. Alla faccia degli chef che ho conosciuto per lavoro e mi hanno giurato che la pasticceria è una scienza esatta...
La base è la mia pasta frolla multiuso, ovvero: 250 g di farina, 150 g di zucchero, 100 g di burro, 1 uovo, mezza bustina di lievito vanigliato, 1 cucchiaio d'olio d'oliva, 1 pizzico di sale. Lo so che le ciose più cuoche di me inorridiranno, ma io mescolo insieme zucchero, farina, lievito e sale, poi aggiungo l'uovo, il burro a tocchetti e l'olio e lavoro con le mani finché non viene una pasta liscia e compatta. Poi lascio riposare. La copertura è composta da una crema pasticcera fatta in economia: 250 ml di latte, 50 g di zucchero, 1 cucchiaio abbondante di farina, 1 tuorlo, 2-3 scorzette di limone. Ho messo a scaldare il latte con le scorzette di limone e l'ho spento prima che bollisse; ho mescolato zucchero e tuorlo e aggiunto la farina, poi ho incorporato il latte e messo tutto sul fuoco, mescolando con pazienza finché la crema si è addensata. L'ho lasciata raffreddare un po'. Ho foderato la tortiera con la carta forno. Steso sopra la pasta frolla come per la crostata, bucherellandola con la forchetta. Poi ho messo uno strato sottile di crema pasticcera e mi son divertita a tuffarci uno ad uno i lamponi, semplicemente lavati e scolati. Poi ho infornato a 170°C per 40 minuti circa.
Poiché non sta bene giudicare da sé le proprie opere, dirò solo che è sparita in due giorni... vedete voi!

martedì 14 giugno 2011

Il pomeriggio è troppo lungo e azzurro...

"Le cose belle sono lente"
(Pane e Tulipani)
Care ciose maestre. E' finita la scuola! Non c'è bisogno che ve lo dica io. Lo so che ve ne siete accorte e avrete tirato un sospirone di sollievo. E so anche che, in realtà, non è proprio finita: ne avrete almeno fino a fine mese di riunioni, scrutini e compagnia cantando; e il 1° settembre sarete di nuovo in ballo. Quindi, a chi (me compresa) invidia alle maestre i tre mesi di ferie occorre dire, anzitutto, che sono due e, subito dopo: provate voi a passare 6 mattine a settimana per 10 mesi l'anno attorniati da 25 pargoli, poi ne riparliamo...
Comunque. Sarà perché dopo settimane novembrine, finalmente è tornato il sole, sarà perché quando giro per Parma non incontro più folle di ragazzini raggrumati attorno alle fermate dei bus, ma li vedo in ordine sparso coi palloni nei cestini delle bici diretti ai campetti, o fuori dalle gelaterie con un cono fuori ordinanza, che mi è presa una botta di nostalgia feroce per le mie estati da studente. Sembra strano ma mi mancano soprattutto certi pomeriggi vuoti, in bilico sull'orlo della noia. Quelli in cui non c'erano feste, piscine, gite, genitori da accompagnare a fare qualche commissione. A volte nemmeno amici. Giusto una bicicletta con cui aggirarsi per il cortile; oppure un libro con il quale rintanarsi in un cantuccio fresco di casa.
In uno di questi pomeriggi ho letto per la prima volta Il piccolo principe, nascosta tra i mobili della sala accatastati, causa rifacimento della tappezzeria, in quella che sarebbe diventata la mia camera. In un altro ho imparato a pattinare da sola, avvinghiandomi alle ringhiere dei garages. Non c'ero mai riuscita prima, intimidita, forse, dai troppi consigli e dalle troppe paure di mio padre, che aveva tentato di insegnarmi.
Li ricordo questi pomeriggi, che certamente avrete avuto anche voi, perché credo che sia grazie a queste ore vuote, a questo tempo solo nostro da inventare - o anche, perché no, da sprecare - siamo diventate grandi: abbiamo imparato a fare i conti con noi stesse, a raccontarci storie e coltivare ricordi. O, almeno, per me è stato così. E provo una gran pena per certi piccoli che, appena suonata l'ultima campanella, vengono incasellati in un grest, spediti a un campo estivo o altro e sono privati del lusso di annoiarsi, che da grandi non capita più.
Lo so, lo so che i tempi son cambiati, che i genitori lavorano entrambi e non sanno dove lasciarli e che anche loro, come tutti, troveranno il loro modo di crescere e imparare a conoscersi; ma penso che un po' di tempo veramente libero farebbe anche a loro un gran bene, più che una vacanza studio all'estero...

lunedì 6 giugno 2011

Quei quaderni di una volta


Ciao ciose, finalmente faccio progressi: a quasi un anno dalla creazione del blog, son riuscita a caricare un'immagine!
Qui voglio rendere omaggio a Sarah Kay, personaggio creato da una disegnatrice australiana, che negli anni '80, quando ero alle elementari, abbelliva la copertina dei quaderni di ogni brava bambina che si rispetti.
Quelle spudorate preferivano Lady Oscar o Georgie.
Sarah Kay vive probabilmente a fine '800 in un ambiente bucolico, a contatto con dolci animaletti, ignara della tivù e dei cellulari. Predilige gli abitini in patchwork e le grandi cuffie di stoffa modello Laura Ingalls. Ha molte amiche con cui organizza picnic sull'erba o ricevimenti per il tè; bambole e peluche che si ostina un po' ottusamente a imboccare... poi ha anche qualche amichetto a cui dispensa bacini oscurati dall'enorme (e strategica) cuffia. Il suo è un mondo magico, romantico e incantato che da piccola io adoravo, tanto da collezionare tutti i suoi quaderni... oggi, complici la mia attuale passione per il patchwork e quella perenne per il passato, mi sono imbattuta nel suo sito, e Sarah mi ha risvegliato tanti bei ricordi, manco fosse la madeleine di Proust.