giovedì 3 novembre 2011

La casa del meleto e altre storie

Quando venerdì 28 ottobre il capo c'è piombato in ufficio domandando: "Ma voi avete intenzione di fare il ponte?", io e la mia collega ci siamo guardate in faccia e abbiamo risposto in coro: "Beh, se proprio ce lo chiedi...", ragione per cui nei ben quattro giorni di libera uscita - oltre a spender soldi per rimpinguare il guardaroba invernale con due paia di pantaloni di lana taglia 46 - mi è anche capitato di infilarmi, assieme alla mia auto, nello stretto cancello dello stretto cortile di una palazzina anni cinquanta affacciata sulla trafficatissima via Spezia. Era la prima volta che ci entravo. Non vi sto a spiegare il perché, ma vi assicuro che erano motivi più che leciti. Comunque, mentre misuravo quanto era piccolo il cortile e quante (tante) manovre mi sarebbero servite per uscirne, dentro un casottino di legno, rete e lamiera ho avvistato un crocchio di galline rosse e ben pasciute. Si stringevano tra loro e mi guardavano come solo loro sanno fare: dal sotto in su, piegando la testa da un lato e osservandoti con un solo occhietto tondo decisamente perlpesso. Le ho salutate, rassicurandole delle mie buone intenzioni e ho pensato che, dopotutto, in questi tempi di crisi un pollaio condominiale non sarebbe una cattiva idea. Ho pensato anche che non è la prima volta che mi capita di scovare galline urbane, per lo più in quelle case di campagna inglobate pian piano dalla città, che, anche grazie a loro, tentano una commovente difesa della propria diversità. Mi piacciono quelle case. Ce ne sono diverse dalle mie parti. Se ne stanno basse e scompagnate tra i condomini, circondate da un rimasuglio di giardino. In genere sono abitate da donne anziane rimaste sole, immagino attorniate da parenti che non vedono l'ora che se ne vadano per vendere la proprietà a carissimo prezzo al palazzinaro di turno. Inutile dire che faccio il tifo per loro. In un'altra sono entrata: quella dei proprietari del meleto che, vent'anni fa, vedevo dal balcone di casa, oltre i campi di grano che ora son diventati campi da baseball. Anche il meleto non c'è più. Gli ultimi ceppi contorti erano rimasti nel giardino di quella casa dalle scale strette e dai muri spessi. Pure lì c'era qualche gallina, e crisantemi che fiorivano di questa stagione. Un'altra se ne sta nascosta oltre un alto cancello e un bosco sorprendentemente incastonato tra un condominio e un supermercato. Darei non so cosa per metterci il naso. Un'altra ancora si è riservata un angolo davanti all'enorme mole bianca e imponente della nuova sede della facoltà di medicina; col suo disordine decadente e i gatti pigri nel cortile è quasi un monito per i futuri medici: "Anche se vi fanno studiare e lavorare in casermoni squadrati e asettici, che somigliano più a fabbriche che a ospedali, sappiate che la vita vera resta, dopotutto, un gran casino". Un'altra, anch'essa nascosta da una selva ormai irriconoscibile di alberi da frutto, sta proprio di fronte all'ingresso del cimitero, appena finisce la linea gotica dei chioschi dei fioristi. Deve avere un pollaio ben fornito perché capita - a qualunque ora del giorno - uscendo dopo un mesto giro a ritrovar parenti perduti, di essere accolti dal canto di un gallo: una sveglia potente e gioiosa, che ti riporta tra i vivi lasciandoti, però, il ricordo della terra.

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