E va bene che halloween è appena passata, ma se, leggendo il titolo, avete pensato subito a sedute spiritiche o santi che appaiono in più luoghi contemporaneamente siete fuori strada. Questa bella parola l'abbiamo imparata ieri sera io e Co alla mostra di Claudio Parmiggiani.
In genere nutro forti riserve nei confronti dell'arte contemporanea, vuoi perché la conosco poco e, si sa, ciò che non si conosce suscita sempre più paura che curiosità, vuoi perché a certi eccessi e a una diffusa rinuncia da parte degli artisti anche solo a tentare di creare bellezza io non mi ci so abituare, o perché non mi pare giusto che spesso si riduca l'arte (o il teatro) a una faccenda per pochi eletti che conoscono i (contorti) percorsi creativi dell'autore e inaccessibile a un pubblico medio. Questa volta, però, sono stata attratta dal titolo della mostra "Naufragio con spettatore", che mi ha evocato remoti ricordi scolastici: infatti è un saggio di Blumenberg dedicato a un'immagine di Lucrezio che la prof di latino e greco ci avrà citato cento volte. Anche le foto che sono girate in questi giorni sui media locali hanno contribuito ad aumentare la curiosità: dalla splendida barca a vela arenata in (o sostenuta da) un mare di libri al cappello pieno di farfalle. Così, in una domenica uggiosa che più non si può, armate di sana ignoranza, ci siamo infilate per i corridoi lindi del Palazzo del Governatore confidando nell'illuminante aiuto di qualche pannello esplicativo. Errore! Nessun pannello: solo una scarna brochure; e niente luce nelle stanze se non quella proveniente dall'esterno nella sera buia da ritorno all'ora solare, tutto per esplicita volontà dell'artista. Le installazioni sono posizionate nelle stanze vuote e guardate a vista dagli addetti al museo. Eppure è stato bello. Perché le opere - strane, buffe, a volte inquietanti - ci hanno detto qualcosa: il calco di un cuore posato sopra un libro aperto; il busto in gesso di una Venere classica con una sola farfalla variopinta posata proprio "lì" e, alla fine del percorso, la famigerata "Delocazione": l'immagine, o meglio, l'evocazione dell'immagine di una libreria ridotta ai soli contorni fatti, letteralmente, di fumo. Pare, infatti, che il nostro realizzi (fin dagli anni '70) queste strane opere posizionando oggetti contro le pareti e poi lasciando bruciare per una notte nella stanza copertoni e altre schifezze fumiganti; poi, toglie gli oggetti e la traccia che ne rimane è il "quadro". L'effetto è simile a quello, involontario, che si crea quando si sposta un mobile rimasto troppo a lungo nello stesso posto: un contorno fatto di polvere e tempo, il ricordo di qualcosa che, ci piaccia o no, è esistito e reclama la nostra attenzione. Noi, di solito, lo cancelliamo infastiditi con una mano di bianco, lui ne ha fatto una metafora, una presenza-assenza un poco malinconica, ma decisamente affascinante. Non sono un critico d'arte e ho confessato a inizio post la mia incompetenza, ma ringrazio l'autore (fino a ieri) a me ignoto che mi ha regalato - come dice Aristofane (oggi vado di classici!) - "profumo di intelligenza", che, nonostante tutto, vale più di una magnum di Chanel N°5!
Saluti culturali (tranquille, poi mi passa...)
lunedì 1 novembre 2010
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
Interessante, Cri! Non avrei mai pensato che si potessero realizzare opere d'arte in questo modo! Confesso anch'io la mia parte di incompetenza in materia e devo dire che la creatività umana non ha limiti..! Mi ricorda un sogno ricorrente che mi accompagna da qualche settimana... Un po' inquietante, effettivamente, ma interessante!
Posta un commento