Poi, è chiaro, se mi venite a dire che collezionate tarantole non aspettatevi grandi slanci d'entusiasmo…
Tutto questo pippone era solo per raccontarvi, con vergognoso ritardo, quel che mi è capitato lo scorso primo maggio, quando Dani ha proposto all'urbi et orbi un "pellegrinaggio" a Imola in occasione dei vent'anni dalla morte di Ayrton Senna e io ho risposto all'appello, anche se in vita mia ho guardato mezzo gran premio solamente perché costretta, e non ho la più pallida idea di cosa sia una chicane...
Attraversiamo un buon tratto di pianura padana in una giornata di nuvole e sole. Arrivate a Imola raggiungiamo a piedi l'autodromo. Dani ricorda la strada: sempre dritto oltre il (grazioso) centro della città e poi lungo un viale alberato fiancheggiato da casette vagamente liberty alternate a palazzine moderne, con gruppi di vecchietti seduti a conversare sulle panchine: una bella immagine della migliore provincia italiana.
Annusiamo la vicinanza dell'autodromo dall'infittirsi della gente, spesso rossovestita e/o sfoggiante bandiere brasiliane, e dal rumore di motori. Non ho mai messo piede in un autodromo e confesso di essere un tantino intimidita, ma l'impatto è positivo: c'è il monumento alla Ferrari, ovviamente, che, ad essere sinceri, col suo cumulo d'auto, pare più l'insegna di uno sfasciacarrozze, e l'alta torre grigia e rossa che sovrasta la pista con l'immancabile cavallino sul terrazzo. Tutto attorno c'è un parco lungo il fiume, dove si mescolano imolesi che portano a passeggio cani e/o bambini e preparano il picnic sulla riva e persone che, come noi, si concedono un giro largo per visitare da fuori la curva maledetta e il monumento al pilota. In entrambi i luoghi, appesi alla recinzione ci sono fiori, bandiere, poster, pensieri in tutte le lingue. Anche Dani, giustamente, lascia il suo.
La statua di Ayrton è bella: se ne sta seduto su un plinto di bronzo, arruffato e malinconico come appare in molte fotografie, guarda la pista oltre gli alberi e sembra quietamente rassegnato all'entusiasmo dei fan che gli si raccolgono attorno. C'è persino un tizio in tuta e casco da pilota che pretende, con scarso successo, di essere un suo sosia, ma è talmente convinto che nessuno oserebbe infrangere il suo sogno…
Entriamo. La folla è varia e colorata: ci sono famiglie con bambini, giovani e anziani, italiani e stranieri.
Attendiamo il momento il cui è prevista una specie di cerimonia sul luogo e all'ora dell'incidente addentando una molto romagnola piadina con salsiccia sulle gradinate della pista; da lì vediamo passare ex piloti e giornalisti, che Dani riconosce. Passa anche la banda e quella che ha tutta l'aria di essere una "processione laica" può iniziare. Le auto si fermano e percorriamo qualche centinaio di metri a piedi lungo la pista: è strano vederla così, piena di gente che procede lenta anziché di macchine.
L'erba ai lati della striscia d'asfalto è morbida, tagliata di fresco, le recinzioni e i muretti di confine hanno un che di minaccioso, quasi quanto i nuvoloni che ci incombono sulla testa mentre si tengono i discorsi ufficiali in un turbinio di flash e di tablet e smartphone levati altri sopra le teste. L'atmosfera è mesta - nessuno dimentica che si tratta di ricordare una vita ad alta velocità finita a 34 anni - ma anche gioiosa, da festa di paese.
Finita la cerimonia, torniamo ad aggirarci tra i paddock (mai entrata in un paddock prima: era già tanto che sapessi come si chiamava!) e il museo, visitando tutto il visitabile: auto e cimeli del campione e soprattutto tante, tantissime fotografie. E tanto le auto sono tirate a lucido, tanto Ayrton nelle foto ha un che di stropicciato e vagamente dolente persino quando sorride sul podio. Al di là del talento e della brutta fine che lo hanno reso un eroe, basterebbero quelle immagini, così disarmanti, a spiegare perché, dopo vent'anni, sia rimasto nel cuore di tante persone. Mettiamo anche noi la firma su uno dei pannelli della mostra, accanto a parecchie centinaia d'altre, prima di andarcene.
Rifacciamo all'inverso la lunga passeggiata per la stazione, fermandoci però a fare un giro attorno al duomo e alla rocca, trovando tempo anche per un sacrosanto gelato.
No, Dani, no, davvero, non mi sono affatto annoiata come tu premurosamente temevi, anzi: ho visto cose nuove e interessanti, ho imparato qualcosa e ho trascorso decisamente una bella giornata. E questo mi pare sia già più che sufficiente. Ah, no, dimenticato: mi hai permesso di condividere con te un ricordo importante, uno dei tuoi miti e questo, se possibile, è ancor meglio di tutto il resto. Grazie.
Saluti rombanti!