Ieri sera ero a un incontro sul tema "pace e globalizzazione".
Eravamo in sei. E poi ci si stupisce che ci siano tante guerre nel mondo.
Anzi, no, a dire il vero, per i primi dieci minuti eravamo in otto; ma due erano giornalisti di qualche testata locale. E buon per loro che non ho avuto modo di chiedergli di quale. Anche perché sarebbe stato difficile: quando sono arrivata io - un po' in ritardo, come al solito - i due se ne stavano in disparte parlando dei fatti loro. Tanto che, vedendo due facce nuove, ho persino pensato: "toh, che bello: allarghiamo il gruppo!". Poi mi sono dovuta ricredere.
Ho capito che erano giornalisti solo quando, appena il relatore ha iniziato a parlare, la donna ha sfoderato con aria torva una notevole telecamera.
Non sono riuscita a capire che facesse nel frattempo l'uomo, distratta dal pensiero che, essendo io seduta a fianco del relatore (niente tribune o palchi: eravamo semplicemente disposti in un cerchio di sedie), ed essendo così pochi, sarei finita anch'io nel filmato. E la cosa non mi garbava per niente.
Non mi pare, però, d'averlo visto prendere appunti, e, anche se li avesse presi, non credo gli sarebbero serviti granché, visto che la riunione è durata più di un'ora mentre loro, con la stessa aria scocciata e distante con cui li ho visti entrando (e che io, ingenua, avevo attribuito alla timidezza), se ne sono andati poco dopo, salutando di sfuggita e interrompendo il relatore.
In realtà, non mi sarei dovuta stupire nemmeno troppo. Ho una mezza idea di come funzionino queste cose: si fanno dieci minuti di ripresa, si chiede al relatore o all'organizzatore di fare avere un resoconto o un comunicato stampa e poi si va altrove. Così, in una sola serata, la stessa malcapitata coppia cameraman & giornalista può con poco sforzo documentare un convegno, una premiazione, un'anteprima e una manifestazione con perfetta efficienza e ottimizzazione di tempi e costi.
Poi, però, non lamentiamoci che i giornali non li legge più nessuno, i telegiornali danno notizie banali e il web, per quanto vario e ricco di informazioni aggiornate in tempo reale, è anche pieno di errori e scempiaggini, visto che non c'è il tempo, né la volontà, di verificare le fonti.
Sarà che sono un po' naif, ma io, quando penso a un giornalista, m'immagino uno che ascolta e guarda tutto dall'inizio alla fine, anche se questo comporta, nella maggior parte dei casi, una solenne rottura di scatole. Perché non sta scritto da nessuna parte che la svolta, l'evento risolutivo, la chiave giusta per comprendere un avvenimento (e raccontarlo agli altri), non si scoprano negli ultimi due minuti, anziché nei primi dieci; anzi, è molto probabile che vada proprio così.
E m'immagino una persona curiosa e aperta, capace di provare almeno un minimo di vero interesse nell'affrontare gli argomenti più vari: dall'alta finanza alla bassa manovalanza; obiettiva, ma anche comprensiva delle opinioni degli altri (e consapevole delle proprie).
Insomma, penso a uno che, se appena può, arriva sul luogo dove è stato inviato un po' prima degli altri, per annusare l'aria, osservare l'ambiente, cogliere gli stati d'animo; e va via un po' dopo, per poter render conto di eventuali mutamenti e per paura che possa accadere qualcosa d'importante appena lui se n'è andato.
Qualcosa di simile al capitano di una nave: che non l'abbandona finché anche l'ultimo uomo non s'è messo in salvo, perché è così che si fa, perché è il suo mestiere.
Poi mi ricordo che siamo il Paese di Schettino.
E capisco molte cose...
venerdì 15 novembre 2013
E' la stampa, bruttezza!
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