lunedì 19 novembre 2012

Creatività, ovvero: "Come uccidere la fantasia, seconda lezione"

"Tutto ciò che accade, tu lo scrivi".

"Tutto ciò che io scrivo accade".
(Michael Ende, La storia infinita)

Ho già accennato in qualche post precedente al fatto che io e Dani, ogni sabato, assieme ad altri volontari, tentiamo con alterne fortune di far fare i compiti a un ben nutrito numero di bambini, provenienti da ogni parte del mondo. In genere ne usciamo - io per lo meno - piuttosto stordite e felici di non aver fatto le insegnanti...
Avere a che fare con i bambini, però, è sempre molto istruttivo e, lo ammetto, spesso anche divertente.
A parte l'amara constatazione che non so più fare le divisioni con le virgole, c'è una cosa che mi ha molto colpito: in più di un'occasione mi è capitato di aiutare alcuni di questi bambini a svolgere un compito che prevedeva di completare una storia.
I pargoli mi guardavano spersi, mentre io cercavo di far loro domande per stimolarli a inventare un finale, sforzandomi di non suggerirglielo.
La stessa scena, più o meno, si ripete anche quando sono chiamati a descrivere una loro giornata, o parlare della loro famiglia: vanno guidati passo passo con domande precise, perché da soli fanno una fatica atroce a mettere insieme un discorso.
E' vero che molti sono stranieri, ma non è una questione di lingua, perché l'italiano lo parlano bene e, se sono in vena, ti sciorinano tutti i nomi degli alieni di Ben10 o le prodezze della boy band di turno. E non sono nemmeno casi sporadici. La tendenza, infatti, mi è stata confermata anche da Costi, che ha dieci anni di insegnamento alle spalle: molti bambini non sono capaci di elaborare un racconto, sia esso realistico o fantastico. E la cosa mi mette una grande tristezza.
Intendiamoci, anche "ai miei tempi" (scusate, fa un po' ottantenne detta così) c'era chi era terrorizzato all'idea di inventare una storia, perché non c'era proprio tagliato; ma quasi tutti erano felici di descrivere qualcosa che gli era accaduto o di parlare di sé: fatti salvi i casi (oggi forse un poco più diffusi) di chi aveva alle spalle situazioni complicate e dolorose, che si vergognava di raccontare, era sempre meglio di una paginata di esercizi di grammatica.
E' fin troppo facile dare la colpa di questa mancanza di inventiva all'alluvione di cartoni animati, videogiochi e divertimenti prefabbricati (persino per le festicciole di compleanno si paga un animatore per suggerire i giochi!); ma anche noi, che ci siamo bevuti la tv degli anni '80, ce ne siamo presi una bella ubriacatura.
Forse l'unica differenza è che per noi film, cartoni e videogiochi non terminavano necessariamente dopo la parola "fine". Vuoi perché eravamo stati sufficientemente nutriti di favole lette e raccontate, vuoi perché avevamo più tempo libero da riempire come ci pareva, ci divertivamo a continuare a modo nostro le avventure dei nostri eroi preferiti o a inventarcene di nuovi.
Ho il sospetto che questo ora non succeda più, e dopo la parola "fine" ci sia solo il vuoto, lo stesso che poi diventa, al momento di fare i compiti, un precoce panico da foglio bianco.
Questo per quel che riguarda l'incapacità d'inventare storie. Per quel che riguarda l'incapacità di raccontare vicende accadute, forse dipende dal fatto che in famiglia si è persa l'abitudine di rievocare insieme il passato, prossimo o remoto: gite, vacanze, disavventure, frasi memorabili, per costruire una piccola "mitologia privata", banale finché si vuole ma utile a dare forma alla memoria e all'identità.
Credo anche che centri qualcosa con l'esaltazione della "creatività" che ha ormai sostituito nel linguaggio comune, la "fantasia". A un corso frequentato qualche mese fa, mi hanno spiegato che la creatività è una faccenda molto pragmatica e democratica: è la capacità di trovare una soluzione a un problema. Tutti la possediamo e, con un po' d'esercizio, si può imparare a utilizzarla al meglio. Ecco dunque tutto un fiorire di laboratori creativi, di corsi di scrittura creativa, di atelier della creatività e di persone creative...
La fantasia, invece, sembra una faccenda assai più elitaria e misteriosa: non si può racchiudere in formule, non si può insegnare, non ha bisogno di strumenti ed è di scarsa o nulla utilità pratica. La creatività, dopotutto, è un modo originale di usare la propria intelligenza, mentre la fantasia sfiora, in qualche modo, i territori dello spirito, perché non si limita a ricombinare ciò che già esiste, ma può andare ben oltre esplorando nuovi mondi che, in qualche modo, cominciano a essere perché li abbiamo pensati e nominati. Per questo fa paura.
Un bambino che fantastica non ha bisogno di giocattoli né di consigli per divertirsi. Un bambino che fantastica non è mai solo e non ha bisogno (o ha molto meno bisogno) di comprare cose per consolarsi. Non è più soltanto un consumatore di idee, immagini e storie costruite da qualcuno che gliele offre, chiedendo comunque qualcosa in cambio, ma può crearne a sua volta e donarle a chi vuole, se vuole.
Ed essere libero.

P.S. Per chi fosse curioso e clemente, c'è anche la "Prima lezione".

2 commenti:

WALTER FANO ha detto...

Brava Cri, osservazioni sempre molto attente e profonde, che fanno riflettere.
Ho condiviso questo post su tutti i miei profili.
Meriterebbe di essere pubblicato su una rivista di educazione e/o cultura.

Cri ha detto...

Grazie.