A Brescia facciamo in tempo a intravederlo, il nostro prossimo treno: ci appare in un lampo attraverso i finestrini dei suoi fratelli più giovani che lo affiancano. Tutta la stazione è in subbuglio per la sua presenza, ma noi abbiamo bisogno di un caffè, prima di presentaci a lui come si deve. Uscendo dal bar non dobbiamo cercare a lungo: intercettiamo un ferroviere che va incontro a un collega con un sorriso a trentadue denti ed esclama: "L'hai visto il treno storico?" e ci instrada al binario 3.
Eccolo! I vagoni sono degli anni trenta, si chiamano "Centoporte" e sono marroni, con finestrini piccoli, interni e pedane in legno, spartani ma graziosi. I sedili, pure in legno, sono meno scomodi del previsto e, soprattutto, più puliti e più freschi di quelli imbottiti sui quali ci siamo sedute nella tratta precedente. Tre di loro hanno il mio nome sopra e la cosa, capirete, mi ispira parecchio. Prima di salire, però, andiamo a guardare in faccia la motrice. Nera e rossa, tirata a lucido, sfiata vapore con grazia e già ne esce un filo di fumo: è una 625 del 1913. Bellissima. Ci accomodiamo e scopriamo di essere capitate, assieme a una coppia di nonni con nipotina smilza al seguito, nella carrozza riservata al personale: sono un manipolo di volontari delle Ferrovie Turistiche Italiane, caciaroni e bergamaschi. Quando scivolano dall'italiano al dialetto se ne escono in certe consonanti aspirate che nemmeno i muezzin!
Nonostante l'età, la macchina fila via liscia e veloce con il minimo sindacale di sobbalzi. Si ferma e riparte con un garbo quasi sorprendente; in realtà me lo aspettavo, perché l'ho letto, ma ora posso confermarlo di persona.
Perdiamo un po' di precedenze lungo la linea e gli uomini del treno entrano in fibrillazione: le coincidenze con il traghetto sono saltate. Occorre rimediare. Telefonano, si riorganizzano, imprecano (in bergamasco stretto), contestano, insomma, fanno più pollaio di quanto avremmo potuto fare tutte noi ciose messe assieme impegnandoci molto, ma alla fine risolvono.
Il tempo da trascorrere su Monteisola, l'isola verdissima e puntuta del lago d'Iseo, nostra meta finale, si riduce, ma non è un grosso problema, perché, infondo, la parte più divertente della gita è il viaggio. Lo trascorriamo a pranzo in un bar-trattoria alto sopra il paese di Peschiera Miraglio, lontane dal caos del lungolago, e in una lunga e torrida passeggiata digestiva fino a Sensole, durante la quale rimpiangiamo di non esserci portate il costume.
A Brescia, stanche, accaldate e con bricioline di fuliggine attaccate alla pelle, salutiamo l'amica 625 e acchiappiamo al volo un altro microtreno per Parma. Stavolta l'aria condizionata è rotta, ma non ci scomponiamo, anzi, coi finestrini abbassati e le tende blu che svolazzano nel controluce violento della sera, ci sembra d'essere ancora nella nostra carrozza anni trenta. Accanto a noi si siede un tizio un poco inquietante: faccia stropicciata, pochi capelli grigi, lunghi e scomposti; dormendo ciondola pericolosamente in direzione delle ginocchia di Costi, e dello zaino che ci sta appoggiato sopra, con dentro i sei bicchierini da sorbetto che ci ha regalato oggi la cameriera del ristorante, perché quelli che ritirano il vetro non li vogliono e lei non sa che farsene. Il tizio non lo sa, ma potrebbe avere un risveglio piuttosto traumatico. Per fortuna si ripiglia da solo appena in tempo, si riassesta e, mentre adocchiamo in una stazioncina un impianto per rifornire d'acqua le locomotive trasformato in un lampione, attacca bottone. E' molto meno scentrato di quanto sembra, anzi, è piuttosto simpatico. Scopriamo che anche lui, tempo fa, ha fatto il nostro stesso viaggio, chiede che giro abbiamo fatto e poi aggiunge: "Scusate la domanda difficile, ma era per caso una 740?" Gli sorrido. Lui non sa che è proprio per via di un (e di una) 740 che ho cominciato, anni fa, a sognare tutto questo e non è solo colpa di una canzone, sussurrata a mezza voce in galleria.
"Come i treni a vapore come i treni a vapore
di stazione in stazione di porta in porta
e di pioggia in pioggia
di dolore in dolore
il dolore passerà".
Saluti affumicati.
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