Un paio di settimane fa, a Roma, immobile davanti alla Fornarina di Raffaello, con un principio d'occhi lucidi, ho pensato alla malasorte capitata ai quadri appesi nella stessa stanza di lei - pudica e maliziosa, ironica e sensuale, insomma bellissima - destinati loro malgrado a essere osservati distrattamente o neppure degnati d'uno sguardo da turisti affamati di capolavori. Poverini. Non sono brutti e, se fossero altrove, in un museo di provincia, sull'altare di una chiesa di paese o sul muro d'una collezione privata catalizzerebbero gli sguardi e sarebbero, giustamente, valutati quel che meritano. Il fatto è - riflettevo sabato saltabeccando per i musei di Ferrara con Valentina, rivista dopo due anni - che noi italiani siamo abituati alla bellezza. Persino una piccola città come Parma offre almeno una decina di chiese degne di nota e altrettanti musei, per non parlare di piazze, monumenti e singoli scorci perlomeno pittoreschi.
Siamo così abituati da esser costretti a scegliere cosa guardare e cosa ignorare, in base a canoni estetici che ci son stati trasmessi da altri e abbiamo fatto nostri, magari arricchendoli con un poco d'esperienza e gusto personale. Siamo così abituati che, infondo, non ce ne importa più di tanto. Forse è per questo che siamo in grado di tollerare le orribili periferie che circondano le città, le aree industriali, i centri abitati senza centro: fatti soltanto di case, negozi e capannoni allineati lungo le strade. Perché sappiamo che a un certo punto finiscono e che, volendo, abbiamo mille possibilità per rifarci gli occhi.
Ne abbiamo visti di orribili, attraversando la provincia torinese dirette verso la Sacra di San Michele: ancora più straordinaria dopo l'anonimato di questi luoghi senz'anima. E guardando la Val di Susa dalla terrazza del "culmine vertiginosamente santo" ci è venuto naturale pensare che, se l'avessero costruita oggi, magari affidandola a qualche "archistar", di sicuro sarebbe costata di più, sarebbe stata più brutta e avrebbe resistito di meno. Eh già perché è evidente che anche quando i nostri amministratori si riempiono la bocca di grandi nomi e fingono di progettare la città del futuro i risultati, il più delle volte, ci lasciano delusi e non reggono il confronto, non dico con una cattedrale medievale o un palazzo neoclassico, ma nemmeno con una casuccia di pietra tirata su a suon di esperienza dai contadini o con qualche bella fabbrica liberty dei primi del '900.
E' solo questione di prospettiva? Abbiamo succhiato col latte il culto per l'antico e il nuovo, anche se ben fatto, ci appare sempre un po' squallido; mentre tra qualche secolo, magari, le comitive si fermeranno a naso in su ad ammirare i resti di un outlet.
E' possibile ma non mi convince. Sospetto, invece, che la mancanza di bellezza viaggi di pari passo con la mancanza di lungimiranza di un'intera classe di politici e imprenditori di cui abbiamo, proprio nella nostra città, parecchi esempi emblematici.
Certo, anche il patrizio romano che pagava a sue spese un mosaico nella basilica della sua città - e ci faceva mettere la targa col suo nome - lo faceva per dimostrare la sua potenza e la sua ricchezza e per racimolare consensi per farsi eleggere a qualche magistratura superiore; ma, visto che le sue pietre, spesso, sono giunte fino a noi, di sicuro non lesinava in qualità dei materiali e della manodopera. Badava alla sostanza, non solo all'apparenza e aveva, diremmo oggi, una visione di lungo periodo: voleva che i suoi pronipoti potessero passeggiare sul suo mosaico, non che durasse entro e non oltre le prossime elezioni. Univa, insomma, all'utile e al bello un'idea d'eternità. Anche il contadino che tirava su la casa ad occhio e ad esperienza la faceva non solo per sé, ma per crescerci i suoi figli e i suoi nipoti. Chissà, forse è proprio da quest'idea che nasce una bellezza capace di andar oltre il valore economico e superare le mode.
D'altronde guardatela bene la Fornarina: ha un bel nasone, le spalle cadenti, i seni piccoli ed è, di sicuro, più grassa di me. A Miss Italia non l'avrebbero presa, ma sfido chiunque, dopo 500 anni, a dire che è brutta!
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