venerdì 21 gennaio 2011

Garibaldi fu... tradito?

Sono fuggita un'ora e mezza prima dal lavoro per andarli a sentire, incastrandomi nell'ultima sedia libera in fondo all'Aula dei Filosofi gremita. Il giornalista, entrando, ha abbracciato la stanza con uno sguardo largo, da nomade che si orienta in un nuovo spazio; il professore ha sorriso fissando dritta la piccola folla. L'uno ha occhi chiarissimi, slavi come il suo cognome, coi quali ha visto tanto mondo e tanta gente in pace e in guerra e una voce profonda, da esser curiosi di sentirlo cantare; l'altro ha un viso e una voce da ragazzino, pur non essendolo, e l'aria gentile ma decisa di chi, dopotutto, è ancora convinto che la storia possa insegnare qualcosa. Il giornalista è Paolo Rumiz. Lo so che l'ho già citato anche troppo in questo blog, almeno quanto il suo amico attore bellunese; ma non è colpa mia se nel giro di dieci giorni son capitati entrambi dalle mie parti, per un caso che, non si trattasse di me, non esiterei a definire fortunato. Il professore è Alessandro Barbero, che non ho mai citato, ma che conoscevo perché cura una rubrica a Superquark. Capirete che non potevo mancare. Come avrete intuito la conferenza riguardava Garibaldi e il Risorgimento e il titolo era "Quest'Italia che ci tocca raccontare": sufficientemente ironico e musicale per ipotizzare sia opera di Rumiz*. Giuro che non mi metterò a farvene il riassunto, anche se - a differenza dei molti studenti universitari presenti - ho preso appunti, direi quasi per deformazione professionale. Ma un paio di cose le voglio ricordare. Anzitutto è emerso chiarissimo il fatto che i grandi nomi dell'Unità d'Italia, quelli che di solito stanno vicini nella toponomastica delle città (via Mazzini, via Cavour e, ovviamente, piazza Garibaldi), in realtà non si potevano soffrire: avevano idee diversissime, ma su una cosa sola erano d'accordo: che fosse bene unire questo strano paese. Ci sono riusciti e poi... hanno ricominciato a litigare. E a farne le spese pare sia stato proprio Garibaldi, uomo dai mille mestieri e mille progetti, che però ci credeva ed era democratico quando dirlo era quasi una parolaccia; un po' osannato e un po' guardato con sospetto, allora come oggi, usato come un simbolo dai rossi e dai neri e, in fin dei conti, tradito da una numerosa schiera di politici intriganti e voltagabbana e, dunque, deboli e ricattabili (eh, sia chiaro, sto parlando dell'Ottocento!). Uno che, pur con i suoi limiti, si è battuto per la libertà propria e altrui, mentre a noi, oggi, più che la libertà, importa la sicurezza, perché "siamo sempre prontia farci prendere da grandi paure irrazionali" ha detto Barbero, "e a dare la colpa agli altri: al nord, al sud, agli stranieri, anziché a una classe dirigente fallimentare (di entrambi i colori) che ha governato troppo a lungo senza mai pagare i suoi conti" ha aggiunto Rumiz. Beh, lui in realtà citava l'esempio di quel che è accaduto 20 anni fa nei Balcani, comunque... Insomma, pare che l'Italia non sia altro che "una buona idea nata male" (Rumiz), "però non è detto che debba per forza continuare così..." ha concesso con la consueta grazia lo storico. Non troppo rassicurante, ma meglio di niente. Confesso che avevo in borsa l'ultimo libro di Rumiz e, visto il fuggi fuggi alla fine della conferenza, avrei potuto facilmente chiedergli un autografo, ma non me la son sentita. Mi affeziono molto alle persone che con le loro parole - scritte o pronunciate - mi aiutano a vivere e a pensare e ho una maledetta paura di romper loro le scatole. Accidenti. Saluti timidi, ma patriottici!
* Errata Corrige: ho scoperto che il titolo è quello della rassegna organizzata dall'Università e dall'Istituzione biblioteche che prevede più incontri con vari autori, quindi non può essere suo, ma è comunque bello.

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