martedì 8 luglio 2014

Due (E adesso?)

Non lo so per esperienza diretta, ovviamente, ma immagino - immaginare mi piace, lo sapete - che il momento più terribile e più bello di ogni matrimonio non sia il sì ma sia, ore dopo, quando anche l'ultimo degli amici e dei parenti se n'è andato, e i due si ritrovano a guardarsi negli occhi e, passata la tensione, l'allegria, lo stordimento, cominciano ad accorgersi del fastidio del riso che è andato a infilarsi ovunque sia umanamente possibile, delle impronte di scarpe inopportune sul bordo dello strascico, del mal di piedi, della stanchezza, della fame. E si rendono conto di ricordare a stento il sapore del poco che hanno sbocconcellato, tra un giro tra i tavoli, uno scherzo, un bacio imposto ad alte grida, un taglio di cravatta e una quantità tendente a infinito di sorrisi dispensati prima con gioia, poi con abitudine, infine per sfinimento...
Immagino, e forse sbaglio, visto che mi addentro a tentoni in un campo che, come sapete, mi è praticamente ignoto, che in quel primo momento di vera solitudine tra neo marito e neo moglie, a entrambi venga da chiedersi, in modo esplicito o implicito: "E adesso?".
Perché è a festa finita che comincia il vero viaggio. E non sto parlando, ovviamente, di quello di nozze...
E' il primo momento in cui si fanno i conti con qualcosa di grande, bello e spaventoso come l'eternità.
Perché anche ora che siamo colmi di disillusione fino alla punta dei capelli, cinici, prosaici e materialisti (me compresa), in qualche modo lo sappiamo che l'amore avrebbe il diritto di durare sempre: è la sua natura. E sappiamo che se e quando finisce qualcosa si spezza dentro di noi e, pure se ci illudiamo di poterlo riplasmare a nostro piacimento, sappiamo che, in realtà, non è di creta, ma di cristallo. E non c'è Superattak che tenga.
Questo vale di più, suppongo, per chi davvero comincia da quel giorno in poi a vivere insieme, ma credo qualcosa cambi anche per chi, come ormai capita spesso (e lo capisco), al matrimonio ci arriva dopo anni di convivenza.
Perché anche se fanno di tutto per convincerci del contrario, da qualche parte di noi lo sentiamo ancora bruciare il valore di una promessa, che sia fatta davanti a un sindaco o a un prete, e abbiamo coscienza del dolore che può provocare - a noi, all'altro/a e agli altri - non essere in grado di mantenerla.
E adesso? E adesso non vi resta che giocarvela, Meg & Fra. E sono certa che ci riuscirete.
Avete il passo lungo e tranquillo dei montanari, senza scatti brucianti né corse inconsulte, discreto, poco appariscente, forse, lontano anni luce da quello che sfoggiano gli amori da rotocalco; ma per questo assai più adatto ad andare lontano, a scalare le montagne dell'abitudine, dell'ordinarietà, persino del dolore, conservando fino al termine del cammino quel tanto di forza che basta per potervi ancora stupire l'uno dell'altra.
Auguri!

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