"Ciao mi chiamo Cri".
"Ciao, Cri, benvenuta. Te la senti di raccontarci la tua storia?"
"Va bene, proviamo…"
In principio furono due innocue scrivanie: quattro tavole di legno, quattro binarietti e una manciata di brugole. E già allora, pur consapevole che anche un bambino ci sarebbe riuscito, devo ammettere che provai una certa soddisfazione.
Qualche giorno dopo tentai con una cassettiera: era un modello basico, senza pomoli né piedini; ma comunque, oltre ai binarietti e alle brugole, fecero la loro comparsa tasselli e chiodini.
Poi, per alcuni anni più nulla. E quasi mi dimenticai della faccenda. Finché, dalla scorsa primavera, complice una casa da arredare con il mio magro stipendio, ahimè, ho ricominciato.
Subito mi sono accontentata di un paio di surrogati di un'altra marca: un carrellino per la cucina parecchio traballante con cassettini già pronti in rete metallica e ruotine da incastrare a pressione; e un già più impegnativo porta cd che, per diventare tale, partendo da una spirale di lamiera e dei quadretti di compensato, aveva bisogno di quaranta (40!) viti.
Poi ci si sono messi anche i miei, regalandomi una monumentale cassettiera blu, rimasta per mesi chiusa nelle sue brave scatole, prima che trovassi il coraggio di metterci le mani; ma alla fine, dopo tre dopocena di duro lavoro, ne ho avuto ragione.
Ricordo di aver provato, allora, una punta di orgoglio solo in parte giustificato dal fatto che, stando alle istruzioni, bisognava essere in due per dominare l'arnese; mentre io me la sono cavata, inevitabilmente, da sola.
Fu così che osai il divano. Appena vidi lo scatolone torreggiare in mezzo alla sala, l'ho guardato con la stessa emozione di quando avevo cinque anni, pensando a quali meraviglie avrei potuto inventare avendo a disposizione quella quantità incredibile di cartone.
Solo dopo qualche minuto di contemplazione mi decisi ad aprirlo per scoprire che il contenuto, benché apparentemente innocuo, così bianco e imbottito, nascondeva un'animo insidioso, come appurai quando una vite sfuggita al controllo, tentò, fortunatamente senza successo, di centrarmi un occhio.
Dopo qualche settimana mi sono resa conto che in camera, oltre all'armadio, mi occorrevano almeno un comodino e una cassettiera. E così ho avuto una ricaduta.
Anche ieri sera, purtroppo, ho ceduto: tirando la mezzanotte in compagnia di un mobiletto del bagno (quattro ripiani, quattro piedini, uno sportello) e di un'esile scaffalatura in bambù.
Adesso basta, però! Perché le stanze sono sufficientemente arredate e il portafogli sufficientemente sguarnito; inoltre, ho sulle mani calli che neanche un carpentiere: nemmeno Sherlock Holmes riuscirebbe a indovinare, osservandole, quale sia il mio vero mestiere.
Badate: so benissimo che, in realtà, è un inganno; che il vero lavoro non l'ho fatto io ma gli ingegneri/designer che hanno progettato tutto fino all'ultimo incastro e la bassa manovalanza sfruttata in qualche parte del mondo che ha tagliato e forato i pezzi al millimetro (o quasi), ha dato forma alla ferramenta e inscatolato il tutto a mio uso e consumo.
Però il signor Ikea ha avuto un'idea geniale: ha capito che tutti noi, animaletti tecnologici, coviamo il desiderio di costruire qualcosa con le nostre mani, di dire "questo l'ho fatto io", anche quando sarebbe più corretto dire "l'ho assemblato io". Perché se l'avessi fatto davvero io nessun altro al mondo avrebbe un oggetto uguale; mentre la cassettiera di cui vado orgogliosa se ne può stare identica in un salotto di Roma, in una camera di Stoccolma o in un bilocale a Parigi. Ma il brivido rimane, ed è forse uno dei pochi segni di resistenza dell'uomo a rassegnarsi ad essere solo un utente e un acquirente di cose fatte da altri. E che anche questo brivido sia stato trasformato in un business è affascinante e inquietante allo stesso tempo. Eppure l'esserne consapevoli non azzera il piacere.
Ah, dimenticavo: se vi occorre una mano a montare un mobile… fatemi un fischio.
Argh, no, ci sono ricascata: dovrebbero scrivere nelle avvertenze che le brugole possono dare dipendenza!
lunedì 2 dicembre 2013
AA: Assemblatori Anonimi
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