Chi mi conosce da tempo di persona sa che a volte (raramente) riesco ad essere spigliata e chiacchierona (e anche un po' rompiballe); altre, invece, posso starmene zitta e intimidita in un angolo, proferendo poche parole mal connesse solo se costretta. E che, tra questi due estremi, ci sono molte variabili che dipendono, purtroppo, da vari fattori: come sto quel giorno, da quali pensieri sono presa, quanto mi affascinano o mi spaventano (o entrambe le cose insieme) le persone con cui ho a che fare o quanto io riesco in qualche modo a sentirmi a mio agio con loro.
Ma questo è un mio problema...
Esistono invece persone che sono quasi sempre silenziose e appaiono, perciò, a seconda dei casi, schive o burbere o anche sciocche agli occhi degli altri senza esserlo quasi mai davvero.
Con due di loro, non so perché, nelle estati di molti anni fa, sono riuscita a chiacchierare a lungo, suscitando lo stupore delle rispettive consorti. E anche il mio, beninteso. In entrambi i casi si era al mare.
Non ricordo più di cosa avessimo parlato passeggiando, forse di libri o di cinema; ma ricordo la leggera sensazione di stupore nello riuscire io, ragazzina, a scalfire non so come la corazza di silenzio di quei due uomini adulti, coetanei dei miei genitori. Ci parlammo alla pari, semplicemente, annullando per un momento le differenze di ruolo, d'età, di sesso che troppo spesso impongono paletti inutili ai rapporti tra individui.
Uno dei due era un mio parente, ed è morto qualche anno fa, l'altro un caro amico di famiglia, che se ne sta andando in questi giorni, pure se resta per lui ancora un filo di speranza. Entrambi erano, per me, pure se in modo diverso, un punto di riferimento: persone su cui sapevo di poter contare in caso di bisogno. A maggior ragione dopo aver avuto il privilegio di sbirciare, anche solo per una volta, un po' più a fondo nel loro animo.
Oggi, dunque, che mi sento, se possibile, ancora un po' più sola e più sguarnita, mi trovo a pensare che le parole che mi dissero quel giorno, e che ora non ricordo più, in realtà, sono ancora nascoste da qualche parte nella mia memoria e vivranno con me e torneranno, in qualche modo, nel caso dovessi averne bisogno.
Ne sono ancor più convinta dopo che, ieri, ho scoperto da dove è spuntato il curioso particolare di un sogno fatto qualche mese fa: l'avevo letto in un libro e poi, in apparenza, dimenticato. Ritrovandolo tra le pagine mi è venuta in mente una bella immagine che, se non sbaglio, è di Giovannino Guareschi: le parole volano, dicevano i latini. Volano, sì, ma non si volatilizzano. Restano da qualche parte. Forse là dove restano anche tutte le risate e le lacrime.
E' per questo che, nonostante tutto, nonostante non mi dia né la forza né la consolazione di cui avrei bisogno, credo ancora che da qualche parte ci sia una Parola che non muore e che contiene in sé tutte le altre. Quelle posate e profonde che mi hanno donato un giorno due uomini taciturni e, spero, anche le mie, molto più strampalate.
giovedì 5 settembre 2013
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