Vi giuro che quel che segue è realmente successo nell'arco di una mezz'ora in questa mattina bigia che annuncia, ahimè, l'autunno.
Pioviggina e mi avvio mogia alla fermata dell'autobus per andare al lavoro. Qui, appena uscito dal bar alle spalle della fermata, un signore sulla sessantina armato di bicicletta mi attacca una pezza lamentandosi del barista che gli ha appena rivelato di praticare lo zen e di volersi, perciò, recare sulla montagna più alta dell'Emilia-Romagna per caricarsi di energie positive. Il ciclista, però, non solo è perplesso a proposito dello zen, fin qui potrei anche capirlo, ma soprattutto è scocciato perché il barista crede di saperne più di lui di montagna e invece no, perché lui ha scritto più di mille articoli su Wikipedia circa le montagne del nostro Appennino e tenta di cominciare a descrivermele. Grazie al cielo arriva l'autobus e lo saluto cordialmente.
Sull'autobus, però, l'avventura continua: sale una signora corpulenta e leopardata, che chiede al conducente se ferma in Ghiaia, poi acquista un biglietto, si lamenta del costo e si siede, scordandosi di timbrarlo. Il conducente glielo fa notare, lei non lo sente, allora la avverto io. Tenta di infilare il biglietto al contrario. Le do istruzioni, mi ringrazia, si risiede e ricomincia a brontolare. Poi chiede quanto dura il biglietto: "Un'ora" risponde il conducente. "Ah, bene, allora quando scendo guardo che ore sono così mi so regolare". "No guardi, signora, l'ora si calcola da quando timbra il biglietto" intervengo io. "Ah...".
E non è finita. Un paio di fermate dopo sale un'altra signora: capelli bianchi legati in una coda scompigliata, impermeabile stazzonato, passo claudicante e un paio di lividi in faccia.
Anche lei chiede se il bus ferma in Ghiaia, poi chiede se da lì si può prendere non so che coincidenza. Il conducente risponde con garbo e la signora lo apostrofa con un "Che Dio la benedica", quindi anche lei tenta di timbrare il biglietto al contrario. "Dalla parte della freccia" dico rassegnata ma non stupita (anche a me capita di sbagliarmi). La signora non mi benedice, ma mi si siede accanto e comincia a lamentarsi di essere caduta dal letto stanotte cercando di accendere la luce, più di una volta, e che le fa tanto male un ginocchio.
Poiché anch'io devo smontare in Ghiaia, quando il bus arriva al semaforo che precede la fermata, ovviamente rosso, consiglio alla signora di alzarsi intanto che il mezzo è fermo (onde evitare un'altra caduta) e ne approfitto per divincolarmi. Lei, gemendo ad ogni movimento che fa, chiede di nuovo all'autista per la coincidenza che le interessa e lo ribenedice. Le dico di tenersi ben stretta prima che il bus riparta e beh, di farsi dare un'occhiata al pronto soccorso, ma lei manco mi saluta.
Ora, non so se in giro c'è tanta gente strana o sono io che li attiro.
Ho il sospetto sia più vera la seconda ipotesi. Forse anch'io ho spesso un'aria sufficientemente stranita e stropicciata che mi fa riconoscere come loro simile dalle persone a cui manca un venerdì, le quali mi si appiccicano con particolare piacere.
E sapete che c'è? La cosa un po' mi preoccupa... e un po' mi diverte. Perché ogni incontro è comunque una scoperta.
Saluti concilianti.
mercoledì 11 settembre 2013
Da vicino nessuno è normale
Etichette: pollaio
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