martedì 5 marzo 2013

Semplificare

"Ciò che accade tu lo scrivi?"
"Ciò che io scrivo accade"
(M. Ende, La storia infinita)

Semplificare. Semplificare, tagliare e banalizzare: questo è quanto mi viene chiesto ogni volta che mi trovo a scrivere un testo per i bambini.
Non usare metafore.
Non usare citazioni di libri, film, canzoni che loro non possono conoscere (non si sa mai venga loro la curiosità di chiedere ai genitori cosa sono e da dove saltano fuori...).
Limitare congiuntivi e condizionali (perché per i periodi ipotetici dell'irrealtà non hanno ancora inventato un vaccino!).
E, soprattutto, mi raccomando: paragrafi brevi con poche subordinate e testi non più lunghi di dieci righe alla volta, che se no non c'arrivano in fondo.
Ok, ok, guardate che lo so che sono prolissa e contorta anche quando mando un sms. E questo è sbagliato. Ci sto lavorando. Da anni ormai. E ben vengano suggerimenti e correzioni.
Ma, buon dio del cielo! Siamo davvero sicuri che proporre un testo che scorre via liscio e piatto, senza nessuna difficoltà, senza nessun guizzo di senso e di ritmo sia l'unico modo per far leggere i bambini?
Ok, ok. Io non scrivo libri, ma articoli per giornalini e siti internet, che stanno alla (buona) letteratura per l'infanzia come un hamburger del MacDonald sta a una cena da Cracco; ma voglio un mondo di bene ad ognuno di questi miei piccoli "figli di carta": le uniche cose che mi sia riuscito finora di mettere al mondo.
So che non sono perfetti e sarei disposta a correggerli fino allo sfinimento, se non sapessi che non mi si chiede di migliorarli, di renderli più chiari, comprensibili ed evocativi, ma solo di spiumarli quel tanto che basta per farli stare nello spazietto loro assegnato e perché non ci sia pericolo che volino, o che, per sbaglio, aiutino qualcuno a volare...
Eppure io sono tuttora infinitamente grata a tutti quegli autori di libri, film, cartoni animati e fumetti che, quand'ero bambina, non mi hanno trattato come una deficiente. E, pensate un po', mi piacerebbe essere capace di fare lo stesso. Anche se non sono certo Ende o Rodari o la Pitzorno.
Perché è grazie a Zio Paperone che so cosa vuol dire "autoctono" e so dov'è il Klondike (beh, più o meno)...
E sono convinta che nessuno si appassioni a nulla - tantomeno un bambino - se non si sente sfidato ad usare la sua intelligenza per comprenderlo.
Ma le convinzioni, dice un proverbio delle mie parti, sono come i sogni.
E Cenerentola insegna che i sogni son desideri.
Ma coi sogni e i desideri non si mangia. E nemmeno con la cultura, a quanto pare...
Oh, sì, oggi sono piuttosto arrabbiata. Si vede?
Saluti fumantini!

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