giovedì 18 agosto 2011

Quattro a Sesta in prima


Sì, dai, quest'anno per ferragosto diamo i numeri! Non si spiegherebbe altrimenti con che coraggio mi sia fatta 10 km di sterrato con la mia auto, che non è esattamente un fuoristrada, con tre persone consenzienti a bordo.
Ma procediamo con ordine (sparso). Per la tradizionale gitina del 15 abbiamo deciso di fare un percorso artistico-letterario nei nostri Appennini.
A Sesta, il rifugio-atelier di Walter Madoi, si arriva con una svolta secca poco prima di Bosco di Corniglio, su per una stradina stretta e ripida da percorrere rigorosamente in prima - come ha osservato Dani - soprattutto se in macchina ci sono tre ciose e un'amica (Antonella) con tutto l'occorrente per un lauto picnic.
Il paesino è un grumo di case piccole con finestre piccole, d'alta montagna, affacciate su viuzze piccole, cortili stretti o orticelli ben curati. Sui muri quel che resta degli affreschi coi quali, negli anni '60, il pittore cercò di far diventare famoso il suo paese d'elezione. Alcuni sono andati perduti, altri sono stati restaurati l'anno scorso, ma i più impressionanti sono, senza dubbio, quelli della chiesa: una crocefissione colta nell'attimo in cui il cielo si oscura e si scatena la tempesta. Tutti i personaggi hanno i volti dei paesani, tranne Cristo (per rispetto) e i due ladroni (per vergogna). Maria, ai piedi della croce, è un'anziana donna livida, in fin di vita. Posati nel transetto ci sono alcuni cartoni a carboncino, molto belli. A sinistra, seminascosto, il ritratto del pittore, avvolto in un mantello come nell'affresco del Corpus Domini. Nel praticello della chiesa una comitiva di villeggianti ha installato un tavolo e si prepara al pranzo, così anche noi decidiamo che è ora di trovare un posticino comodo. Ci sistemiamo in un campo falciato da poco, appena fuori dal paese, e ci mettiamo un po' a estrarre dalle borse le vettovaglie... Un plauso particolare va alle torte salate di Costi e alla torta Susanna di Dani. Dopo una pennichella en plein air, mi tolgo una piccola soddisfazione: risalire, dopo anni, in cima a un ballone di fieno. E' comodo e profumato come lo ricordavo.
Raccattato tutto quello che avevamo sparso decidiamo di andare a prendere il caffé sui laghi. Arrivate ai Lagdei, pareva d'essere a Rimini. Proseguiamo per i Lagoni: la strada è invitante: tutta immersa nel bosco, peccato sia sterrata! Ma ormai che siamo in ballo... balliamo. Letteralmente: visto che la Opel non abbonda in sistemi d'ammortizzazione. Mi tranquillizzo vedendo che, parcheggiate lungo il percorso, oltre a jeep e suv, si vedono anche modeste utilitarie: se sono arrivate fin qui, posso farlo anch'io! Mi tranquillizzano un po' meno i discorsi di Dani e Co, assidue dei "Giardini della paura" (vedi post del 15 luglio 2010), che non fanno altro che rievocare truculente scene di un film horror ambientato, ovviamente, in un bosco. Raggiungiamo polverose la meta. C'è meno gente (chissà perché) e al rifugio troviamo una vignetta di Fogliazza e un murales di Madoi (toh, chi si rivede!).
Vogliamo raggiungere la Casarola di Bertolucci, e la via più breve prevede altro sterrato. Lo affrontiamo impavide, shakerando il caffé. Valichiamo persino un passo a 1100 metri e arriviamo sotto la pioggia, immancabile nelle nostre gite, ma, per fortuna, passeggera. Casarola e Sesta si somigliano: case antiche, di sasso, in salita, legna già accatastata nei cortili. Qui, però, sui muri, al posto dei dipinti, versi di poesia.
Una signora esce di casa per attingere acqua alla fontana col tetto d'ardesia. Da una stalla una vecchia con il fazzoletto in testa e un forcone in mano ci chiama: ha voglia di fare due chiacchiere e ci indica la casa di Attilio. Spiove. Dal recinto della sua stalletta spunta il muso di un asino smunto. Troviamo la casa e ci giriamo intorno, calpestando susine bianche e nere cadute dagli alberi. C'è un senso d'abbandono ordinato. Pare d'essere in un altro tempo. Torniamo nel nostro al solito modo: facendo merenda sedute nella pensilina delle corriere. Non è una pensilina qualunque: è in legno e pietra e c'è persino una piccola fioriera. Scendiamo a valle in controluce, osservando con piacere che la montagna è ancora viva: schiviamo ciclisti della domenica (anche se è lunedì), famigliole a passeggio e anziani intenti a conversare sulle soglie di casa, pericolosamente in mezzo alla strada: le intruse, dopotutto, siamo noi. Le paline per la neve ci parlano di lunghi inverni. Poi spariscono e comincia, inesorabile, la linea dei salumifici: è Langhirano. Siamo arrivate. Anche ferragosto è passato e, come dice Costi, "Dopo è già Natale"... Accidentaccio!
PS: Scusate, ma quando pubblico più foto ho problemi d'impaginazione...

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