lunedì 8 agosto 2011

Metafore

Avete presente la faccia di Massimo Troisi nel Postino quando Noiret-Neruda gli comunica che ha fatto una metafora. Ecco, quella.

Domenica mattina. Esco dalla mia camera con addosso un'informe tuta lilla riadattata a pigiama, un occhio chiuso e uno aperto e la vitalità di uno zucchino, e questo è ciò che mi capita di sentire appena sveglia.
Mamma: "Che tempo fa?"
Papà, appena rientrato: "C'è un cielo musulmano."
Mamma, lievemente perplessa: "Come, scusa?"
Papà, convinto: "Eh, sì: è VELATO!"
Che faccio? Lo bacio in fronte o me ne torno a letto?

PS: Aggiungo una postilla che non c'entra nulla, o quasi. Venerdì sera sono andata per l'ennesima volta alla festa del paesuccio di campagna, quello dove sta la casa evocata nel post del 14 luglio. Finito di cenare sono andata a sbirciare in cucina, dove ho visto facce note di cuochi-volontari troppo indaffarati per riconoscermi e facce ignote di giovani camerieri-volontari che non erano nemmeno nati quando io stavo esattamente al loro posto. E ho provato la fortissima tentazione di infilarmi anch'io una maglietta rossa dello staff, imbracciare un vassoio e ricominciare a girare tra tavoli e panche a distribuire tortelli, grigliate e le inafferrabili patatine fritte ("guardi, c'è da aspettare qualche minuto..."); sorridere e scambiar battute con perfetti sconosciuti ritrovando una leggerezza che mi stupiva allora e che oggi temo di non possedere più. Neppure d'estate.

Nessun commento: