martedì 29 luglio 2014

Sassolini

"Alone is what I have: alone protects me."
(Sherlock, BBC, stagione 2, episodio 3)

Seriamente, signora, che potresti essere mia madre se solo lei si fosse sposata più giovane e non avesse dovuto penare sette anni prima di sfornare quella arruffata creatura che sarei diventata io; seriamente, dicevo, tu che a più di cinquant'anni ti trovi sola, con un matrimonio fallito tra accuse e dispetti, due figli che ti fanno disperare e allievi che non riesci a tenere a bada se non urlando, vuoi dare a me lezioni di vita e di sentimento?
Per fortuna, una delle poche cose che ho imparato negli anni è non tanto a non giudicare le persone - perché il confronto con gli altri è il modo in cui, bene o male, si prova a costruire sé stessi, per imitazione o contrasto - ma, almeno a provare a comprenderle e ad amarle lo stesso, consapevole che quasi certamente  io, nei loro panni, non avrei saputo fare di meglio.
Per questo mi limito ad ascoltarti e a risponderti a monosillabi, senza girarmi a guardarti, con la scusa, peraltro vera, di un enorme mazzo di lavanda da ripulire stelo per stelo con santa pazienza.
E strappo con più violenza del necessario foglie in eccesso, rametti sbilenchi e fiori spezzati, e ormai ho le dita di un curioso colore gialloverde e sono talmente immersa nel profumo fresco e forte da sentirne quasi il sapore sulla lingua. Solo così, quando te ne esci, candida, dicendo che, nonostante tutto, non ti dispiacerebbe avere un altro uomo, mi limito a dire che, sì, capisco: che è difficile star soli quando si è abituati fin dall'adolescenza a stare in coppia e che quasi sicuramente è vero che vale sempre la pena di amare qualcuno. Ed evito, invece, di aggiungere che io, al contrario di te, ho imparato a star sola fin dall'adolescenza: ad esser considerata - e alla fine a considerarmi - qualcosa di piuttosto neutro e asessuato, incapace di attirare l'attenzione di chicchessia, o, il che è anche peggio, capace di attirare soltanto l'attenzione di persone così superficiali da provarci indistintamente con tutte, me compresa, o così in disperata ricerca di qualcuno da "accontentarsi" persino di me. Anche a questo, col tempo, si fa l'abitudine. E si finisce addirittura per affezionarsi alla propria condizione, esattamente come tu sei affezionata all'idea di dover essere per forza innamorata di qualcuno.
Però, mentre io, col tempo, e con la consapevolezza che la tua condizione sia, in qualche modo, più naturale della mia, mi sforzo di capire il tuo punto di vista, non accade quasi mai il contrario: ovvero che qualcuno provi a capire il mio senza limitarsi a consigliarmi, semplicemente, di trovarmi un moroso. E questo un po' mi addolora.
Allora, per favore, lasciami sbagliare da sola e sappi che la tua storia, così come le molte altre storie di amori cominciati bene e finiti male, nell'odio o nell'indifferenza; tutte le storie di inganni, autoinganni e illusioni, mi piovono addosso da anni ma, disgraziatamente, non scivolano via come acqua: si vanno accumulando un po' alla volta, come pezzi di pomice sui tetti di una città squassata da un vulcano.
Quindi perdonami se non riesco a ringraziarti per aver aggiunto anche tu un altro sassolino alla mia già vasta collezione. Lo so che non hai fatto apposta, che avevi buone intenzioni, ma, per una volta, voglio provare a togliermelo questo sassolino... 

lunedì 14 luglio 2014

Fare l'idioma (ipsa dixit parte seconda)

Come preannunciato/minacciato, eccovi la seconda (e non ultima!) parte delle frasi normalmente usate dalla chiocciante accolita che si raduna sotto le protettive ali di questo piumato - e per fortuna anonimo - blog.
Più o meno…

1) Siamo donne calienti e mediterranee* (Costi)
Indica che noi ciose, con rarissime eccezioni, di una taglia 42 non sappiamo che farcene. In compenso, sappiamo esattamente come comportarci davanti a una fetta di sacher, una porzione di patatine, una pizza fumante eccetera eccetera...
2) Infondo era solo una storia di corna (AAVV)
L'infelice uscita di una guida turistica al castello di Gradara, che definì così la drammatica vicenda di Paolo e Francesca, rischiando il linciaggio da parte di un gruppo di ciose infuriate. Ci è rimasta talmente impressa da essere usata, altrettanto a sproposito, per troncare gli eccessi di romanticismo che a volte, inevitabilmente, ci colgono.
3) Intubiamo? (Costi)
Uso improprio di terminologia medica, derivante da esposizione troppo prolungata a serie tv d'argomento medico (da ER a Grey's anatomy ecc.). La domanda, in genere, viene pronunciata fissando intensamente l'interlocutore, il quale ha appena lamentato un disturbo di gravità variabile dall'unghia incarnita all'influenza. La reazione è immediata e taumaturgica: "No, no, grazie, sto già meglio!"
4) Tre volte! (Cri)
Si esclama con tono deciso e il corrispondente numero di dita sventolanti in aria. E' un modo tuttosommato gentile per esprimere con ironia e fermo disappunto che non si ha la benché minima intenzione di fare una cosa. Ad esempio: "Cri, vieni a vedere il prossimo horror ai 'Giardini della Paura'?" "Tre volte!".
5) Camomillizzati/ camomilliziamoci (Costi)
Frase del repertorio paninaro anni '80 (eravamo piccole, sì, ma c'eravamo, e l'imprinting, evidentemente, è rimasto) riesumata e sfoderata in caso di crisi di nervi, non necessariamente derivante da squilibri ormonali...
6) Organizziamo una serata "Harry Potter" (o "Signore degli Anelli")? (Chiara & Costi)
Pare un innocuo invito, in realtà è una velata minaccia rivolta ai mariti/fidanzati delle ciose (santi subito!) nel caso tentino di intromettersi in qualche nostra serrata sessione di chiacchiere. In genere, la prospettiva di passare due ore abbondanti in compagnia di elfi, nani e stregoni basta a convincerli a rinunciare per qualche ora alla compagnia delle loro dolci e pennute metà. In caso contrario, nessun problema: nella Terra di Mezzo c'è spazio anche per loro e… in bocca al Nazgul!

To be continued…?

*Scusate, come mi ha fatto notare l'autrice, avevo dimenticato l'aggettivo "burrose", che rende ancor meglio l'idea!

martedì 8 luglio 2014

Due (E adesso?)

Non lo so per esperienza diretta, ovviamente, ma immagino - immaginare mi piace, lo sapete - che il momento più terribile e più bello di ogni matrimonio non sia il sì ma sia, ore dopo, quando anche l'ultimo degli amici e dei parenti se n'è andato, e i due si ritrovano a guardarsi negli occhi e, passata la tensione, l'allegria, lo stordimento, cominciano ad accorgersi del fastidio del riso che è andato a infilarsi ovunque sia umanamente possibile, delle impronte di scarpe inopportune sul bordo dello strascico, del mal di piedi, della stanchezza, della fame. E si rendono conto di ricordare a stento il sapore del poco che hanno sbocconcellato, tra un giro tra i tavoli, uno scherzo, un bacio imposto ad alte grida, un taglio di cravatta e una quantità tendente a infinito di sorrisi dispensati prima con gioia, poi con abitudine, infine per sfinimento...
Immagino, e forse sbaglio, visto che mi addentro a tentoni in un campo che, come sapete, mi è praticamente ignoto, che in quel primo momento di vera solitudine tra neo marito e neo moglie, a entrambi venga da chiedersi, in modo esplicito o implicito: "E adesso?".
Perché è a festa finita che comincia il vero viaggio. E non sto parlando, ovviamente, di quello di nozze...
E' il primo momento in cui si fanno i conti con qualcosa di grande, bello e spaventoso come l'eternità.
Perché anche ora che siamo colmi di disillusione fino alla punta dei capelli, cinici, prosaici e materialisti (me compresa), in qualche modo lo sappiamo che l'amore avrebbe il diritto di durare sempre: è la sua natura. E sappiamo che se e quando finisce qualcosa si spezza dentro di noi e, pure se ci illudiamo di poterlo riplasmare a nostro piacimento, sappiamo che, in realtà, non è di creta, ma di cristallo. E non c'è Superattak che tenga.
Questo vale di più, suppongo, per chi davvero comincia da quel giorno in poi a vivere insieme, ma credo qualcosa cambi anche per chi, come ormai capita spesso (e lo capisco), al matrimonio ci arriva dopo anni di convivenza.
Perché anche se fanno di tutto per convincerci del contrario, da qualche parte di noi lo sentiamo ancora bruciare il valore di una promessa, che sia fatta davanti a un sindaco o a un prete, e abbiamo coscienza del dolore che può provocare - a noi, all'altro/a e agli altri - non essere in grado di mantenerla.
E adesso? E adesso non vi resta che giocarvela, Meg & Fra. E sono certa che ci riuscirete.
Avete il passo lungo e tranquillo dei montanari, senza scatti brucianti né corse inconsulte, discreto, poco appariscente, forse, lontano anni luce da quello che sfoggiano gli amori da rotocalco; ma per questo assai più adatto ad andare lontano, a scalare le montagne dell'abitudine, dell'ordinarietà, persino del dolore, conservando fino al termine del cammino quel tanto di forza che basta per potervi ancora stupire l'uno dell'altra.
Auguri!