giovedì 28 novembre 2013

Fiducia e no

A proposito della giornata contro la violenza sulle donne da poco "celebrata".
Domenica sono andata a casa di un tizio al quale ho lasciato un bel segno su entrambe le portiere della macchina per completare la constatazione amichevole, iniziata sabato sera sotto la pioggia.
Quando, prima di uscire, l'ho detto a mia madre lei, spaventata, mi ha chiesto: "Ma vai a casa sua?!"
"Sì, perché?"
"Non sai neanche chi è!"
"Insomma, visto che il torto ce l'ho io, mi sembra normale venirgli incontro e accettare le sue condizioni".
"Almeno vacci con papà…"
"Mamma, ti prego, ho 35 anni! E poi mi è sembrato una persona civile: non mi ha insultato, è stato gentile e collaborativo e ha anche una moglie".
"Cosa centra se ha una moglie?!"
"Ok, hai ragione, non è una garanzia, ma non mi è parso un tipo ambiguo".
"Eh, lo sai che si presentano bene…"
"Lo so, lo so, probabilmente ha dei bambini piccoli e gli secca uscire la domenica pomeriggio."
"Sarà, ma io non sono tranquilla".
Certo che, dopo questo discorso, ho smesso di esserlo anch'io, perché purtroppo, mia madre non ha tutti i torti: le cronache son piene di orrori che nemmeno Dario Argento nei suoi giorni migliori si sarebbe potuto immaginare. Orrori che riguardano prevalentemente le donne.
Alla fine raggiungiamo un faticoso compromesso: "Mamma, ascolta, mi ha dato nome, cognome, indirizzo e cellulare: te li scrivo su un post-it e se tardo mi chiami, va bene?"
"Va bene".
Per fortuna le mie previsioni erano azzeccate: l'incidentato aveva in casa, oltre a una moglie, insegnante di latino e greco con tanto di "Rocci" e Anabasi di Senofonte aperti sul tavolo (quasi quasi m'è venuta nostalgia), anche un bambino di pochi mesi che s'era appena addormentato.
Abbiamo compilato quel che dovevamo compilare, fatto un paio di chiacchiere di circostanza, a bassa voce per non svegliare il pupo, e ci siamo salutati, augurandoci di non "scontrarci" più.
Insomma, a parte i soldi che dovrò sborsare per riparare la mia auto e quelli che mi farà sborsare in più la mia assicurazione per l'incidente, direi m'è andata bene.
M'è andata bene?
Eh no, accidenti! E' andata semplicemente come è giusto che vada: perché è orribile pensare che una donna debba sempre tener nascosto da qualche parte di sé, più o meno a fondo a seconda del carattere e delle esperienze vissute, un vago timore quando si trova da sola con un uomo.
Perché è orribile pensare che ogni uomo, che sia un compagno o uno sconosciuto, possa sempre rappresentare per noi una minaccia, per il solo fatto che, per natura, si porta appresso, oltre a due braccia mediamente più robuste delle nostre, anche un'altra arma impropria nei pantaloni (ehm, scusate…).
E lo so che questa faccenda va avanti da secoli, ed è dura da scalzare con qualche campagna promozionale e una giornata di sensibilizzazione ogni tanto.
Ma so anche che dipende anche da noi: non perché dovremmo andare vestite più castigate (termine già di per sé molto significativo...) e non dare confidenza a nessuno: questa è un'altra delle orribili cose che ancora si sentono dire e che giustificano ancor più la disparità e la violenza.
Però dovremmo essere consapevoli per prime della nostra dignità. Rinunciare alla tentazione di usare la nostra femminilità come una scorciatoia o una merce di scambio (chi ci riesce, perché io proprio non ne sono capace).
E, soprattutto, lo dico alle madri e alle insegnanti, piantarla di educare in modo diverso maschi e femmine, assecondando la prepotenza degli uni e instillando la paura nelle altre.
Perché a me, davvero, piacerebbe tanto fidarmi, ma faccio tanta, tanta fatica...
Un abbraccio a tutte le donne. E agli uomini di buona volontà.
Ce ne sono. Lo so che ce ne sono!

venerdì 15 novembre 2013

E' la stampa, bruttezza!

Ieri sera ero a un incontro sul tema "pace e globalizzazione".
Eravamo in sei. E poi ci si stupisce che ci siano tante guerre nel mondo.
Anzi, no, a dire il vero, per i primi dieci minuti eravamo in otto; ma due erano giornalisti di qualche testata locale. E buon per loro che non ho avuto modo di chiedergli di quale. Anche perché sarebbe stato difficile: quando sono arrivata io - un po' in ritardo, come al solito - i due se ne stavano in disparte parlando dei fatti loro. Tanto che, vedendo due facce nuove, ho persino pensato: "toh, che bello: allarghiamo il gruppo!". Poi mi sono dovuta ricredere.
Ho capito che erano giornalisti solo quando, appena il relatore ha iniziato a parlare, la donna ha sfoderato con aria torva una notevole telecamera.
Non sono riuscita a capire che facesse nel frattempo l'uomo, distratta dal pensiero che, essendo io seduta a fianco del relatore (niente tribune o palchi: eravamo semplicemente disposti in un cerchio di sedie), ed essendo così pochi, sarei finita anch'io nel filmato. E la cosa non mi garbava per niente.
Non mi pare, però, d'averlo visto prendere appunti, e, anche se li avesse presi, non credo gli sarebbero serviti granché, visto che la riunione è durata più di un'ora mentre loro, con la stessa aria scocciata e distante con cui li ho visti entrando (e che io, ingenua, avevo attribuito alla timidezza), se ne sono andati poco dopo, salutando di sfuggita e interrompendo il relatore.
In realtà, non mi sarei dovuta stupire nemmeno troppo. Ho una mezza idea di come funzionino queste cose: si fanno dieci minuti di ripresa, si chiede al relatore o all'organizzatore di fare avere un resoconto o un comunicato stampa e poi si va altrove. Così, in una sola serata, la stessa malcapitata coppia cameraman & giornalista può con poco sforzo documentare un convegno, una premiazione, un'anteprima e una manifestazione con perfetta efficienza e ottimizzazione di tempi e costi.
Poi, però, non lamentiamoci che i giornali non li legge più nessuno, i telegiornali danno notizie banali e il web, per quanto vario e ricco di informazioni aggiornate in tempo reale, è anche pieno di errori e scempiaggini, visto che non c'è il tempo, né la volontà, di verificare le fonti.
Sarà che sono un po' naif, ma io, quando penso a un giornalista, m'immagino uno che ascolta e guarda tutto dall'inizio alla fine, anche se questo comporta, nella maggior parte dei casi, una solenne rottura di scatole. Perché non sta scritto da nessuna parte che la svolta, l'evento risolutivo, la chiave giusta per comprendere un avvenimento (e raccontarlo agli altri), non si scoprano negli ultimi due minuti, anziché nei primi dieci; anzi, è molto probabile che vada proprio così.
E m'immagino una persona curiosa e aperta, capace di provare almeno un minimo di vero interesse nell'affrontare gli argomenti più vari: dall'alta finanza alla bassa manovalanza; obiettiva, ma anche comprensiva delle opinioni degli altri (e consapevole delle proprie).
Insomma, penso a uno che, se appena può, arriva sul luogo dove è stato inviato un po' prima degli altri, per annusare l'aria, osservare l'ambiente, cogliere gli stati d'animo; e va via un po' dopo, per poter render conto di eventuali mutamenti e per paura che possa accadere qualcosa d'importante appena lui se n'è andato.
Qualcosa di simile al capitano di una nave: che non l'abbandona finché anche l'ultimo uomo non s'è messo in salvo, perché è così che si fa, perché è il suo mestiere.
Poi mi ricordo che siamo il Paese di Schettino.
E capisco molte cose...

mercoledì 13 novembre 2013

Il ditino e la luna

Afferro sbuffando la maniglia del portone di legno e vetro di un vecchio e pretenzioso edificio del centro nel quale sono andata, controvoglia, a consegnare dei documenti. E mi immobilizzo all'istante. Mi accorgo, infatti, che sotto le dita mi spunta una formella d'ottone con il bassorilievo di un leone.
Dove l'ho già visto? Ah, già: sullo scrignetto dove la mia prozia teneva i gioielli. Lo apriva con cura e mi diceva con aria tra il melodrammatico e il cospiratorio: "Un giorno sarà tuo" (un classico!). E in effetti lo è diventato. Lo scrignetto, per lo meno.
Una parte del mio malumore svanisce e torno verso l'ufficio in modalità "Ricordi d'infanzia" attivata.
A metà strada incontro un'amica che fa la baby sitter e sta scarrozzando su un passeggino un pupo dall'aria sveglia e simpatica. Mi fermo a salutarla. Il bambino ci guarda dal basso e a un certo punto solleva il ditino verso l'alto, indicando punto imprecisato ben al di sopra delle nostre teste.
"E' innamorato della luna" mi spiega l'amica: "prima c'era, ma ora s'è nascosta e la sta cercando…"
Alzo anch'io la testa e vedo che tra le guglie del Battistero il cielo non è completamente buio: ci sono nuvole più chiare su uno sfondo cobalto.
Poi guardo il bambino, gli sorrido, e decido di dare la stura al mio repertorio di brandelli di poesie che hanno a che fare con la sua precoce (e condivisibile) passione: Saffo, Pascoli, Leopardi… Il bambino, ovviamente, capisce molto poco di quel che gli sto dicendo, immagino, ma mi ascolta ugualmente piuttosto interessato. Devo dire che ci speravo: se preferisce andare in cerca della luna che gioca a nascondino con le nuvole anziché lasciarsi irretire dalle mille luci dei negozi del centro, già pronti per il Natale, e più a portata d'occhio, sono sicura che, in qualche modo, può comprendere anche il fascino delle parole che gli ripeto alla meno peggio a memoria. E mi sorride.
Anche l'amica che lo accompagna, anziché darmi per persa, mi chiede titoli e autori di quel che sto recitando: stavolta m'è andata bene!
Facciamo un pezzo di strada assieme e, a metà di Piazza Duomo, il bimbo indica un punto più in basso, di fronte a noi: "Sì, sì, adesso passiamo anche a salutare i leoni…" lo rassicura la donna. "Gli piacciono anche quelli?" chiedo. "Molto!"
Per poco non mi viene da ridere: "Piacciono tanto anche a me!" dico a entrambi; e comincio a raccontare che giusto quest'estate, nella piazza di una città di mare, ne ho cavalcato uno che faceva placidamente la guardia a una fontana, divertendomi parecchio.
Mi concedo di osservare ancora una volta lo sguardo attento del bambino e quello un po' stupito ma comprensivo della donna.
Poi ci salutiamo e, non so perché, torno al lavoro un po' più leggera.
"Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, silenziosa luna?"
"Che domande! Mi lascio guardare dai piccoli curiosi e dai grandi storditi come te…"
Grazie al cielo!